“Fino a ieri si tiravano i pesci in faccia e non credo possano durare a lungo. Ma io vado controcorrente: spero che questo governo duri. Se da oggi, e per i prossimi tre anni, Forza Italia riuscirà a lavorare con le proprie idee e i propri valori, riuscirà a tornare a livelli importanti”. Gianfranco Micciché è ottimista sul futuro del suo partito. Spera che l’evoluzione della crisi, e quel “traditore” urlato a squarciagola contro Matteo Salvini (che prima ha sfasciato il governo e poi ha proposto un nuovo accordo ai Cinque Stelle), abbia svegliato Forza Italia. D’altronde Micciché non ha mai cambiato linea. Ha sempre cercato – uno dei pochi – a divincolarsi dall’abbraccio della Lega: “Se tu scimmiotti un altro partito, il popolo va dall’originale, non da quello che gli sta dietro – commenta il presidente dell’Ars -. Noi abbiamo sbagliato e lo ripeterò in eterno. Ma spero che questo errore ci sia stato utile”.
Eppure la posizione di Micciché, sulla crisi in quanto tale, è uguale spiccicata a quella dell’ex Ministro dell’Interno: “Quello giallorosso è un governo fortemente voluto dall’Europa, da Mattarella, dai mercati. Erano costretti a farlo. Non credo che tra Pd e 5 Stelle ci possa essere convergenza su nulla, anche se è vero che sono entrambe forze di sinistra”. “Salvini? E’ l’unico responsabile della crisi. Il collante che ha messo d’accordo le nuove forze di governo è l’eliminazione di alcuni dei suoi baluardi, come l’immigrazione. Il decreto sicurezza è una misura violenta e noi abbiamo sbagliato a votarlo: per Forza Italia vengono prima il rispetto della dignità umana e le garanzie per tutti i cittadini”.
Ha visto i nuovi ministri? Ce ne sono tre siciliani: Provenzano del Pd, Bonafede e la Catalfo dei Cinque Stelle.
“Bonafede siciliano? In che senso? Un ministro deve essere riconoscibile. Nel 2001, dopo il famoso 61 a 0 alle Politiche, i tre ministri siciliani si chiamavano: Antonio Martino, eletto a Messina e messinese; Enrico La Loggia, eletto a Palermo e palermitano; Stefania Prestigiacomo, eletta a Siracusa e siracusana. E un paio d’anni dopo anch’io, eletto a Palermo e palermitano, diventai Ministro della Coesione territoriale. Ministri riconoscibili. A me sembra incredibile che nel momento in cui un governo smette di essere a trazione nordista, quelli che hanno fatto il cappotto in Sicilia (il M5S si è aggiudicato 28 collegi su 28, ndr) non vengano premiati. Ma è un problema dei Cinque Stelle e non tocca a me difenderli”.
Cosa pensa di Peppe Provenzano al Ministero per il Sud?
“Non lo conosco bene, ma mi dicono sia bravo. So che era stato utilizzato per un po’ di tempo in Regione, all’assessorato all’Economia. Ma è andato via perché non si trovava bene… Anche questa è una nomina un po’ curiosa. Mi sorprende, in generale, che ci siano pochi eletti. Come se fossero personaggi da non frequentare. Non voglio apparire nostalgico, ma i ministri di Forza Italia, quando stavamo al governo, erano di qualità e tutti eletti: Pera, Urbani, Martino… E poi c’erano le eccezioni, come nel caso di Lunardi, un bravissimo ingegnere, alle Infrastrutture e Stanca all’innovazione”.
I tempi sono cambiati. Però all’Economia è arrivato Andrea Gualtieri, un politico.
“Questa è una bella scelta. Io sostengo da tantissimo tempo che all’Economia serviva un politico. Gli “scienziati” alla Padoa Schioppa, li devi avere come consulenti. Ma al Mef la politica è fondamentale”.
Per la prima volta, dopo le consultazioni con il premier incaricato Giuseppe Conte, Berlusconi ha ammesso che nel centrodestra esiste un problema politico. E che Salvini ha consegnato il Paese in mano alla sinistra. Ha vinto la linea di Micciché e Carfagna?
“Qui non c’entra Miccichè né la Carfagna. In un paese come l’Italia l’estrema destra fa ancora paura. Quando nel ’94 Berlusconi cominciò ad avere problemi, non era perché aveva con sé Gianni Letta, Frattini, Pera, o Baget Bozzo, ma perché aveva come alleato l’Msi. La storia si ripete. L’atteggiamento sbagliatissimo di Salvini, che ha fatto l’uomo più a destra della destra, ha preoccupato il presidente della Repubblica, i mercati e l’Europa. Non lo voleva più nessuno”.
I Cinque Stelle hanno consegnato le sorti del Paese alla decisione di pochi eletti sul web. E’ la nuova frontiera della democrazia partecipata o una leggerezza?
“Non è possibile immaginare che sia la piattaforma Rousseau a scegliere la politica. Ci sono persone – tante – che non hanno la capacità di sapere cosa è meglio per l’Italia. Le faccio un esempio: il reddito di cittadinanza può essere utile per il disoccupato di Palermo, ma non per il Paese se crea buchi nel Bilancio dello Stato. Quindi non può essere il cittadino di Palermo a decidere qual è il governo della nazione. La politica è una cosa seria e lo capiranno anche i Cinque Stelle. Ma poi penso: chi sono Bonafede e Fraccaro? Sono espressione di quale pensiero?”.
Post-ideologico. Di Maio le risponderebbe così.
“Quando con Berlusconi arrivammo in politica, ci arrivammo con le persone migliori. Molti di noi erano alle prime armi e si candidavano per la prima volta, ma eravamo accompagnati dalla migliore espressione del pensiero liberale”.
A proposito, il governo giallorosso potrebbe riscrivere la legge elettorale e imporre un sistema proporzionale? Senza alleanze, Forza Italia non rischia di sparire?
“Non mi preoccupa. Chi mi dice che col Rosatellum Pd e Cinque Stelle non finiscano per allearsi? Il proporzionale ci metterebbe nelle condizioni di tornare a Forza Italia, di poter riparlare dei nostri valori, di poter rilanciare le nostre misure, proposte e idee. Il meccanismo delle alleanze ci ha fatto commettere l’errore di diventare scendiletto della Lega, di andargli appresso sempre e comunque. E non ha pagato”.
Lei è presidente dell’Ars e non solo commissario regionale di Forza Italia. Quali sono i riflessi del nuovo governo gialloverde sulla coalizione di governo in Sicilia?
“Il risultato di questa folle strategia salviniana, qualcosa di buono ha prodotto. Il governo Musumeci è più forte”.
Ma le opposizioni si rinsaldano. Movimento 5 Stelle e Pd, insieme, potrebbero primeggiare anche all’Ars.
“Guardi, fino all’altro ieri il rapporto con gli alleati era diventato un tormentone. Chi va con Salvini, chi crea nuovi gruppi parlamentari… Oggi, invece, non c’è più questo pericolo e credo che l’obiettivo di tutti, compreso il presidente Musumeci, sia blindare ancora di più questa maggioranza. Finora, in Assemblea, abbiamo giocato spesso sulle divisioni fra il Pd e i Cinque Stelle, ma da domani non ci saranno più. Martedì abbiamo avuto un bellissimo incontro con Musumeci e tutti i capigruppo per parlare – seriamente – delle cose da fare. Siamo molto motivati”.
Qual è stata la prima decisione?
“Dare mandato a Musumeci di individuare l’assessore ai Beni culturali a prescindere dai partiti. Oggi dobbiamo stare uniti e non abbiamo motivi per litigare. La Sicilia è l’unica regione in cui resiste il vero centrodestra, senza la Lega”.
I rapporti del governo regionale con Roma non sono idilliaci. Lo Stato ci ha massacrato più volte, specie sui conti e sui trasporti. Come si fa a rimediare?
“C’è tutta una serie di problemi che ci derivano dal passato e dall’incredibile governo Crocetta che ne ha combinate una più di Giufà. Ma tante cose sono spuntate adesso, non ultimo il buco da 400 milioni. E’ evidente che qualcosa non funziona. Non so dove sta il problema, se nei rapporti bilaterali o altro, ma chiederei a Musumeci di muoversi in prima persona perché possiede una certa credibilità ed è ben visto anche dai nostri avversari politici. Rispetto ai singoli assessori, le garanzie che dà un presidente di Regione sono di gran lunga superiori”.
La sensazione è che questo governo – che non abbiamo esitato a definire un governicchio – non abbia le carte in regola per fare la voce grossa a Roma. E non parliamo solo di gestione della spesa e di bilanci. Prenda la questione morale: non sappiamo che fine abbiano fatto i 91 milioni di un censimento sul patrimonio immobiliare della Regione che nessuno ha mai visto. Come è possibile?
“Io questa storia la conosco poco, ma mi infastidisce molto. In Italia non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale? Mi sorprende che nessuno sia intervenuto. Fatta questa premessa, se qualcuno volesse togliermi il fastidio, potrebbe cominciare a fornire delle spiegazioni. Che sia il presidente della Regione, l’assessore al Bilancio o altri, non importa. Perché qualcuno dovrebbe difendere qualcosa di vergognosamente illecito accaduto dodici anni fa? Però, vorrei essere certo che da parte degli attuali rappresentanti di governo non ci siano problemi a chiarire”.
Un altro elemento che ci ha fatto perdere credibilità a Roma è la questione relativa al taglio dei vitalizi degli ex parlamentari regionali. Tutte le regioni, ad eccezioni di Sicilia e Trentino Alto Adige, si sono adeguati alla legge nazionale. Voi no.
“Se lo chiamate governicchio perché non sono ancora stati applicati i tagli, io lo considero un governone. Sarebbe una vergogna tagliare i vitalizi a gente che ha contribuito alla storia di questa Regione per dargli 1.200 euro lordi. C’è gente anziana, che non è più autosufficiente, e non potrebbe pagarsi il badante. Mica posso mandarli all’ospizio. Non avrei più la forza di guardarmi allo specchio. Se pensate che io possa crearmi dei problemi perché Giletti continuerà a sputtanarmi, beh, può continuare a farlo. Possiamo trovare un’altra soluzione, ma il taglio così com’è non lo faccio neanche morto. Devono cercarsi un altro presidente dell’Assemblea. Sono pronto a dimettermi, piuttosto. Io sono e voglio rimanere un uomo. Perché ai grillini vanno bene le pensioni d’oro da centomila euro e, invece, vogliono rifilare agli ex politici 600 euro netti al mese? Vadano a fare in culo”.