C’erano una volta i giardini pubblici. C’era una volta il bar sotto casa, e c’erano una volta la piazza, i circoli del bridge, i cenacoli per amatori delle arti, il contemplativo cantiere dei lavori in corso da criticare a mezza voce, e poi la popolanissima bocciofila. C’era la chiesa. E la sede di partito. La barberia. Il salone del parrucchiere. C’era dove chiacchierare e accapigliarsi a parole, attizzare pettegolezzi o sconfessarli, farsi i fatti propri e quelli altrui.
C’erano e ci sono ancora. Ma dove sono, dove vanno, gli “stagionati”? Gli ultrasessantenni (e ultra-quel-che-vi pare) che in quei luoghi esorcizzavano il fantasma – in sempiterno agguato, oggi trionfante – della solitudine? Gli anziani, già. E chi si avvia a esserlo (compreso il sottoscritto).
Molti sono tornati bambini. Qualcuno ha dato loro una scatola delle meraviglie, una lampada di Aladino: basta uno strofinio di polpastrello e ti si spalanca un mondo. Il parente che non vedevi da anni. L’amico di cui avevi perso le tracce. L’ex compagno di scuola cui hai rimesso i peccati, complice il tempo. Un antico amore. L’ex vicino di casa al quale mandare, ogni giorno, un’immaginetta sacra (io ne ricevo, regolarmente, dalla cara signora X).
È questo un non-luogo che racchiude tutti i luoghi e tutte le stagioni della vita. Facebook, ma anche Instagram.
Non smette di stupirmi la caparbietà (l’iniziale timidezza, la tenerezza disarmante) con la quale una miriade di persone mature scopre, esplora e s’impossessa di certi territori impervi e rutilanti. La rapidità nell’imparare come muoversi. Mi rispondo che fuori di casa soffia la bufera, ruggisce il caos. Siamo più deboli, spaventati. E allora è umano, umanissimo che un settanta/settanta/ottantenne varchi i cancelli di quell’Eden sintetico chiamato social network. Perché questo siamo: animali sociali. Ci servono una tana per affrontare l’inverno e un varco dal quale sorridere al mondo. Tutto gratis, ma con un prezzo da pagare: quel che sembra un paradiso potrebbe rivelarsi altro. Per esempio, la caverna di Platone. Dove ogni cosa è illusione, e chi ci parla – amico o nemico – è un’ombra solitaria. O forse proprio sola. La nostra.