Una lunga filiera di cui si parla poco, che va dal posizionamento delle reti alla trasformazione ittica, che genera ogni anno un fatturato prossimo al miliardo di euro. Parlano i numeri e testimoniano come, anche alle soglie del 2019, l’attività della pesca rivesta un ruolo fondamentale nell’economia siciliana. A capo del dipartimento regionale della Pesca Mediterranea, che costituisce una branca corposa dell’assessorato alle Politiche Agricole, c’è Dario Cartabellotta. Che di recente è intervenuto a un paio di eventi – Panorama d’Italia a Palermo e Blue Sea Land a Mazara – per rilanciare l’idea di una pesca compatibile e innovativa, che miri però ad ampliare potenzialità e confini di quella che oggi viene ribattezzata economia costiera.

“Oltre alla pesca, esistono altri due comparti – esordisce Cartabellotta, che vanta un ricco curriculum nell’ambito della pubblica amministrazione – Si tratta della trasformazione ittica e dell’acquacoltura. La trasformazione ittica, ossia il processo che prevede, appunto, la trasformazione del pescato, fattura mezzo miliardo l’anno. Che lo porta ad essere il terzo settore nell’ambito dell’agroalimentare siciliano dopo il vino (1 miliardo) e l’ortofrutta (800 mila euro). All’altro mezzo miliardo provvede la pesca così come l’abbiamo sempre conosciuta. Che ha alcune esigenze di carattere generale: offrire valore aggiunto e innovazione”.

Cos’è la ricerca del valore aggiunto?

“Oggi la pesca siciliana conta su 2700 imbarcazioni e 8 mila occupati. Gli economisti sostengono che ogni euro speso a mare ne genera otto a terra. Dopo anni passati a rottamare le barche – una politica imposta dall’Unione Europea – oggi si punta al recupero del savoir faire del mare e delle sue tradizioni. In questo la trasformazione ittica gioca un ruolo fondamentale”.

Come?

“La Sicilia, da questo punto di vista, rappresenta un’eccellenza. Pensi al gambero rosso di Mazara, alle acciughe, al tonno di Favignana. E in generale a tutto ciò che ruota attorno al pesce fresco e alla biodiversità del pescato. Mentre i consumatori si concentrano su pochi aspetti, va sottolineato che nei mari di Sicilia vengono pescate circa 40 specie. E che alcune di esse riescono ad affermarsi soltanto grazie all’abilità dei nostri chef. Il pesce spatola, che dieci anni fa veniva lasciato sulle banchine dei porti, nei ristoranti oggi ha preso il sopravvento sul pesce spada”.

Con il mondo della ristorazione si crea un tessuto connettivo quasi scontato. Ce ne sono degli altri?

“Il brand Sicilia Seafood, che è riuscito a mettere insieme 80 imprese siciliane, ha l’obiettivo di valorizzare tutto ciò che ruota attorno al settore ittico e metterlo in connessione con gli altri settori dell’agroalimentare. Durante Panorama d’Italia abbiamo presentato “Duetti al femminile” che connette le aziende del Seafood e Vino di Sicilia al femminile, cioè le imprenditrici del vino. Bisogna ancorare il pesce e i suoi trasformati a una logica di marketing territoriale, in modo tale da ottenere maggiori risultati in termini di percezione da parte del consumatore, ma anche per far crescere le aziende a livello di reddito”.

Oggi la pesca siciliana è un settore che riesce a innovarsi o, come in parte l’agricoltura, resta ferma ai metodi di un tempo che vengono scavalcati dalla concorrenza?

“Finora ci si è sempre occupati di “quanto pesce prendiamo”. Ora dobbiamo stabilire a “quanto lo vendiamo”. La pesca richiede tanta innovazione, che si può ottenere solo tramite un attento processo di valorizzazione. Il valore iniziale del pesce, di per sé basso, deve essere moltiplicato durante le fasi successive al prelievo. E’ sul valore aggiunto che si gioca la partita. Prendete la ditta dei fratelli Contorno: dopo essersi specializzati nella preparazione delle caponate di pesce, diventate celebri, si stanno lanciando sul Fish Ball, le polpette di pesce, una nuova categoria di prodotti che intendono “sfondare” il mercato. Ma non bisogna mai dimenticare che la trasformazione ittica deve seguire alcune linee guida come la qualità, la sicurezza e la tracciabilità”.

La programmazione comunitaria prevede lo stanziamento di 120 milioni nei prossimi 5 anni. Come verranno spesi questi soldi?

“Prima i soldi si spendevano per rottamare le barche, e quindi il tessuto produttivo veniva tagliato fuori. Adesso dovranno spendersi per ammodernarle, per migliorare i processi della lavorazione, per l’acquacoltura. Ma soprattutto per mettere in relazione l’attività del pescatore con l’attività turistica. L’asse si sposta dalla pesca all’economia costiera. Tutto questo permetterà di valorizzare l’identità marinara, il suo valore pedagogico e antropologico. In questo cambio di rotta, il pescatore diventa protagonista. Non si rottama più nulla”.

Un decreto del Ministero alle Politiche agricole, quello relativo alla ripartizione delle “quote tonno”, rischia di penalizzare i piccoli pescatori siciliane a beneficio delle grandi imprese. Come si sta muovendo la Regione per rimediare a questo “torto”?

“Abbiamo già presentato ricorso. La marineria siciliana è quella che paga il prezzo maggiore di questa riforma. La quota riservata al nostro sistema di pesca si è ridotta del 40%. Ma c’è anche un aspetto territoriale: il tonno ha sempre caratterizzato la storia culinaria della nostra terra.  Queste decisioni non ricadono solo sulla pesca, ma sull’intera filiera e sulla nostra identità culturale e gastronomica. Inoltre – elemento non secondario – le marinerie entrano in tilt e la carenza di tonno grava sui bilanci delle famiglie dei pescatori, che già trascorrono in mare dai 100 ai 120 giorni l’anno. Noi non vogliamo sfruttare le risorse, ma neanche essere danneggiati”.

A proposito di sfruttamento. Tra i compiti del Dipartimento c’è anche la tutela dei fondali…

“Questo è un tema che abbiamo posto con forza all’Unione Europea. Da anni si dice che il Mediterraneo è un mare da gestire e non da spartire. Però, fra il 2000 e il 2015, è successo qualcosa di strano: mentre l’Ue ha rottamato le barche siciliane, le flotte egiziane sono cresciute del 40%. Noi vogliamo rilanciare una politica comune di cooperazione e gestione delle risorse ittiche del Mediterraneo, e potremmo sperimentarla benissimo nel Canale di Sicilia. Bisogna fare chiarezza sulla durata del fermo delle barche, sulla quantità di pesce da prelevare, sulle misure di gestione che dovrebbero essere uguali per tutti i paesi del bacino. Altrimenti, mentre impediamo alle nostre marinerie di pescare, gli altri ne approfittano. Serve una tutela biologica estesa a tutte le aree che hanno una valenza”.

In aula arriverà a breve il disegno di legge sulla Pesca. Quali sono le misure più importanti?

“Mette al centro i pescatori, che sono soggetti da valorizzare e non da rottamare. Darà loro la possibilità di fare la vendita diretta e li difenderà da chi si occupa di pesca ricreativa – questa è la richiesta più urgente che ci arriva da quel mondo – che troppo spesso genera concorrenza sleale. Inoltre crea valore aggiunto e collega bene l’attività di pesca alla trasformazione ittica”.