Le università siciliane non sono poi così male. Il quadro a tinte fosche presentato qualche giorno fa dal Censis, secondo Cataldo Salerno, presidente della Kore di Enna, non poggia su basi solide, né scientifiche. Anzi, è a netta trazione nordista: “Prenda la sottovoce legata alle borse di studio. Secondo lei al Sud quanti sono i privati che le finanziano? O ancora: il capitolo dell’occupazione a un anno dalla laurea. Detto che il dato, a tre anni, sarebbe più omogeneo, questo non è dare un voto agli atenei, ma al mercato del lavoro. E sappiamo che in Sicilia non è florido”. Le contestazioni di Salerno, più che ai risultati, sono rivolte al metodo. Ma il Censis, qualche giorno fa, ha fatto centro. Ha indotto alla massima preoccupazione e al solito giudizio ricco di pre-giudizio: “Cari studenti, andate altrove”. Sull’onda dello scandalo dell’Università (bandita) di Catania, ha pubblicato uno studio secondo cui, fra i mega atenei (oltre i 40 mila iscritti), quello etneo occupa la nona posizione su dieci (peggio fa solo Napoli). Fra i grandi atenei (20-40 mila iscritti), Messina e Palermo si trovano nei bassifondi, rispettivamente al 12° e 13° posto (su 15).
Sebbene il risultato sia la parte più sconcertante, tanto vale prestare attenzione agli indicatori utilizzati per stilare la classifica: c’è il grado di internazionalizzazione dell’ateneo, le strutture, i servizi allo studente, le borse di studio, l’occupabilità e la comunicazione digitale. “Nela maggior parte dei casi, si tratta di elementi che non c’entrano nulla con la qualità degli atenei – insiste Salerno –. Questi dati vengono strombazzati ai quattro venti come le classifiche delle migliori università. Si tratta di un vero e proprio imbroglio mediatico, che secondo me dovrebbe essere perseguito dalla magistratura o quanto meno dall’anti-trust”. E’ severo nel giudizio. Tocca chiedere spiegazioni.
“Quando si fa una classifica ognuno può scegliere gli indicatori che preferisce – ammette il docente – Ad esempio, una famosa università di Shanghai tiene conto dei premi Nobel che hanno frequentato, da studenti o professori, gli atenei. E’ legittimo, purché si indichi da dove sono stati presi i dati, qual è il loro peso e come viene realizzata la procedura di calcolo. Nel caso del Censis, questi elementi non erano stati inseriti nella “nota metodologica”. Soltanto in un secondo tempo sono state indicate le fonti, ma non il peso assegnato ai singoli indicatori. La classifica, pertanto, è parzialmente coerente con la metodologia della ricerca”.
Il test dell’istituto di ricerca ha toccato pure gli atenei privati. E non è stato tenero con la Kore (al quarto posto sulle cinque università fra 5 e 10 mila iscritti). Bocciata sul “grado di internazionalizzazione” e per la “comunicazione digitale”. Bene solo per le “strutture” (si tratta delle valutazioni fatte dagli studenti). “Vede – esordisce Salerno – anche se noi della Kore non ne usciamo bene, devo dire che il grado di internazionalizzazione è l’unico che si avvicina alla realtà. Tiene conto della percentuale di iscritti stranieri, degli studenti che hanno trascorso un periodo all’estero per studio o tirocinio, dei corsi di studio offerti in lingua inglese. Da noi sono zero. Inoltre, non abbiamo fondi particolarmente ricchi per sostenere la mobilità internazionale degli studenti, tanto meno da parte della Regione. Questa voce si può considerare parzialmente corretta, ma non completa”. A far sobbalzare Salerno è il capitolo dei “servizi”: “Tiene conto del numero di pasti erogati in rapporto agli iscritti, ma – obietta il professore – l’università non eroga pasti, non è un ristorante. Poi si fa riferimento ad alloggi e posti letto. Ma come noto, in Italia, queste cose rientrano nel diritto allo studio. Non tocca alla università erogarli, bensì alle Regioni. Non sono vitto e alloggio ad esprimere la qualità di un ateneo”.
Alla Kore l’80% degli studenti arriva da fuori provincia, a Palermo solo il 10%. Anche questo era un indicatore presente nel report, poi sparito: “E’ normale che nelle università residenziali delle piccole città arrivino più studenti da fuori. Ma non per questo Enna ha una qualità più elevata di Palermo” ammette candidamente Salerno. E le contestazioni proseguono ad ampio raggio: “Il risultato premia gli atenei del Nord – si spazientisce il presidente della Kore – In questo modo “aiutiamo” le famiglie e gli studenti siciliani che devono scegliere quale università frequentare a indirizzarsi verso il Centro-Nord, come già fanno un terzo degli universitari. La Sicilia è tributaria di oltre 52 mila studenti (a fronte di 150 mila complessivi) che stanno in altre regioni. E gran parte del “merito” è di queste classifiche inattendibili. E’ un inganno che produce il mercato drogato delle immatricolazioni. Noi lo contestiamo perché siamo di fronte a un imbroglio di carattere scientifico”.
Salerno non dice le cose per amor di campanile. E’ scettico sul Censis, ma ammette le debolezze delle università siciliane: “Sono penalizzate dall’assenza di un tessuto industriale, imprenditoriale e amministrativo che possa agevolarne crescita e sviluppo. I quattro enti regionali sono commissariati da anni e non hanno la dinamicità di quelli delle altre regioni. I finanziamenti sono più scarsi rispetto al resto d’Italia e la Regione non riesce a coprire l’intero fabbisogno delle borse di studio. Spesso accade che alcuni studenti siano idonei, ma non ottengono i finanziamenti. Inoltre, il tessuto imprenditoriale è critico e poco disponibile alla ricerca”. “Per il resto – prosegue nella sua disamina – le università siciliane sono di qualità elevata, con alcuni picchi di eccellenza, che si trovano a Catania, Palermo, Messina ed Enna. E’ chiaro che, essendo tutte generaliste, i dipartimenti possono funzionare più o meno bene. Talvolta sono di livello internazionale, talvolta faticano. Da un lato ci sono le eccellenze, da un lato i ritardi atavici”.
Quanto successo a Catania, con la sospensione (e le dimissioni) del rettore Francesco Basile e il sistema dei concorsi truccati, di certo non aiuta la cultura dell’università homemade: “Non è un fenomeno limitato solo a Catania – spiega Salerno –. In questo caso è venuto fuori per la particolare veemenza con cui è stato espresso da alcuni protagonisti che hanno danneggiato l’intera categoria dei docenti. In parte è patologico, in parte no. Certo, è molto diffuso. Non tutto ciò che è stato disvelato, secondo me, ha caratteristiche penali. Molte procedure di reclutamento dei professori universitari, non sono veri e propri concorsi, ma procedure comparative come quelle che si fanno per i magistrati. L’ateneo di Catania, scandalo a parte, è molto prestigioso e valido a livello internazionale. Parlare di università bandita, però, non danneggia solo Catania ma tutto il sistema delle università siciliane”.
In questa foto, di per sé un po’ sfuocata, subentra un altro fattore di competitività. Le università telematiche. “Anche se il target a cui si rivolgono è diverso” ci precede Salerno. Pegaso, ad esempio, è un colosso dell’istruzione. Ha raggiunto e superato i 70 mila scritti in tutta Italia, ha aperto oltre settanta sedi e offre un ventaglio di opportunità impensabili fino a qualche anno addietro: “Le telematiche operano su un mercato diverso rispetto al nostro – spiega il presidente della Kore – A differenza delle residenziali, che mettono insieme la didattica e la ricerca e in cui il rilascio di un titolo di studio è legato a un percorso più ampio, nella stragrande maggioranza delle università telematiche, si privilegia l’insegnamento (a distanza fra l’altro) e il conseguimento del titolo di studio. Una soluzione più rapida che per alcune categorie, come gli adulti e i lavoratori, è preferibile. Chi vive nell’età migliore per l’apprendimento, come i giovani, ha bisogno di quella relazionalità, di quella frequentazione tra pari e coi docenti, che solo l’università tradizionale può offrire”.
La Kore, la grande università privata di Sicilia, attiverà a breve un corso di Medicina – “Il Ministero ha dato l’ok, ma siamo in attesa delle procedure amministrative” – e lavora ogni giorno per “intercettare gran parte dei giovani che vanno via dalla Sicilia convinti di trovare al Centronord una migliore organizzazione e una didattica più affidabile. Con docenti giovani e strutture adeguate. Beh, noi le offriamo. Abbiamo queste caratteristiche perché abbiamo una storia giovane”. “Ci stiamo organizzando – conclude Salerno – per rivolgere un’attenzione maggiore agli studenti e sviluppare alcune aree di ricerca: abbiamo l’unico corso di Ingegneria aerospaziale a sud di Napoli e Bari; l’unico di Scienze strategiche della sicurezza da Roma in giù; il corso di laurea in Lingua e Cultura cinese; una presenza avanzata in Ingegneria informatica, e i collegamenti con le grandi aziende che fanno ricerca e dettano i tempi per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale; e poi abbiamo Scienze della formazione primaria che condividiamo con Palermo, un corso che prepara e abilita all’insegnamento nella scuola dell’infanzia e primaria. Cerchiamo di esprimere delle unicità, senza andare in competizione o concorrenza con gli altri atenei. Con Palermo, Catania e Messina lavoriamo in stretta sinergia. O facciamo sistema o gli studenti siciliani si rivolgono altrove”. Come fanno già.