L’ultimo graffio a Tamajo

Fra i diciassette dirigenti generali nominati ieri dal presidente Schifani e della giunta, ne mancano alcuni di grido: ad esempio Patrizia Valenti, reduce dai brutti pasticci che hanno interessato alcune procedure di concorso al Libero Consorzio di Ragusa, dove agisce nelle vesti di commissario. Era a capo del dipartimento Ambiente ed è stata tagliata fuori. Ma l’esclusione dalla forte valenza politica è quella di Carmelo Frittitta, che suo malgrado si è ritrovato al centro del braccio di ferro fra il governatore siciliano e l’assessore alle Attività produttive, Edy Tamajo, che ha provato a difenderlo fino allo stremo.

Non è bastato l’intervento delle organizzazioni di categoria a fargli conservare la poltrona: Frittitta, infatti, aveva superato i cinque anni d’incarico a capo della stessa struttura (cioè il tetto massimo previsto dalla direttiva anti-corruzione). E non è servito neppure il più classico degli interventi dall’alto: come si apprende da fonti autorevoli, infatti, Tamajo avrebbe smosso Totò Cardinale per fare in modo che intercedesse addirittura presso Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, per caldeggiare la conferma del dirigente alle Attività produttive. Ma quando parte l’ex chiamata dell’ex ministro a Schifani, taaac: la sorte di Frittitta è segnata. L’altro elemento significativo è che il pupillo di Edy non parteciperà nemmeno al turnover, cioè non ricoprirà altri incarichi ai vertici della burocrazia regionale. Il suo nome non c’è (Schifani si è limitato a un generico “ringraziamento anche agli uscenti”).

E questa, al netto delle possibili smentite, è un segnale chiarissimo da parte di Schifani. Il governatore ha ruotato Cartabellotta, ha confermato la Di Liberti (su richiesta della DC) alla Famiglia e La Rocca, spinto dai patrioti, ai Beni culturali. Ma sul nome di Frittitta ha fatto muro. Negli ultimi giorni non aveva fatto nulla per nascondere la propria insofferenza di fronte alle insistenze di Tamajo e degli artigiani. Il ras di Mondello, 121 mila preferenze alle ultime Europee, aveva provato a marcare il territorio spiegando che “pur nel rispetto delle regole, privarsi di un direttore che si occupa con competenza di un settore strategico sarebbe controproducente. Creerebbe una pericolosa discontinuità”. Una versione ribadita l’altro ieri a Live Sicilia, quand’era ormai troppo tardi: “Il direttore generale Carmelo Frittitta ha fatto e sta facendo bene ed è un validissimo burocrate. Sarebbe un errore spostarlo altrove”. E infatti non è stato spostato, è stato semplicemente depennato. Tamajo aveva farfugliato inoltre che “non esiste nessun braccio di ferro con il presidente Schifani”, anche se il risultato di una settimana di ordinaria follia – partita con un appello tipo quello di don Sturzo ai Liberi e forti – è terminata addirittura peggio.

Con una bocciatura su tutta la linea, che peraltro ripropone la questione dirimente: Forza Italia è spaccata, ma sul “chi comanda” non ci sono dubbi. Un’altra risposta a Tamajo – che aveva chiesto a Marcello Caruso di fare “più spogliatoio” all’interno del partito – è arrivata proprio dal segretario regionale, che ieri ha annunciato un traguardo storico per FI: cioè il raggiungimento di 16 mila tesserati. Che Caruso non sia stato esattamente un equilibratore è storia nota: ha sempre agito per conto di Schifani, del quale è anche capo della segreteria particolare, scordandosi di salvaguardare le varie anime del partito. Ma che Tamajo passasse in così poco tempo da una posizione di forza a elemento di disturbo non era preventivabile. L’assessore sta pagando a caro prezzo il suo movimentismo e la ricerca sfrenata di una vetrina che possa garantirgli una nomination per la presidenza nel ’27.

Non gli è bastato ribadire che “il candidato è Schifani”, perché le azioni contano più delle parole. E quelle degli ultimi mesi, dal dopo Europee in poi, sono inequivocabili. Prima la richiesta dell’assessorato alla Salute (negato), poi l’appello per la centralità di Forza Italia (e di se stesso?), infine i tentativi reiterati di trattenere Frittitta a capo del dipartimento. Tamajo, grazie al portafogli del suo assessorato, è riuscito a creare un filo diretto con le imprese, sostenute e rilanciate verso traguardi che prima sembravano preclusi. E poi c’è stato anche un messaggino vocale verso i fedelissimi – rivelato da Repubblica – in cui “ai suoi avrebbe dato rassicurazioni di poter correre per la presidenza della Regione nel 2027, ritenendo improbabile un bis per il governatore in sella”. Anche sull’autonomia differenziata, per citare altri esempi, le posizioni dei due erano parse inconciliabili, con l’assessore a paventare il pericolo di “fratture fra il Nord e il Sud” e il presidente a ribadire che non c’era alcun rischio di spaccare il Paese.

In mezzo qualche foto a Mondello. Poca roba. Inutile a rilanciare il rapporto. Nemmeno la presenza del saggio Totò Cardinale è bastata a ricucire la distanza, che lo stesso Schifani, in un’intervista a Blog Sicilia qualche giorno fa, ha reso plastica: “Per quanto riguarda la valutazione sul ruolo politico (di Tamajo, ndr) lui non nasce dentro Forza Italia. Non è che io possa dare brevetti di primogenitura – ha sostenuto il governatore – ma è evidente che non nascendo in Forza Italia, contrariamente al sottoscritto che ne è uno dei fondatori, può avere anche visioni forse leggermente diverse”. Un modo garbato per esprimere una distanza ormai siderale, come testimonia il riavvicinamento del governatore all’area dell’ex assessore all’Economia Marco Falcone: cioè il competitor principale di Tamajo alle ultime Europee, che forte di 100 mila preferenze ha fatto i bagagli e si è trasferito a Bruxelles.

Tamajo è rimasto, ma ciò non è bastato per irrobustire la fiducia di Palazzo d’Orleans nei suoi confronti. Né a scalfire la sottile diffidenza. Ecco perché Schifani, fra lui e Galvagno, ha scelto da che parte stare. Col presidente dell’Ars, durante la visita alla Bit di Milano, ha condiviso la strategia politica intergenerazionale che prevede la conferma di entrambi: il primo alla guida della Regione, l’altro dell’Ars, prima di una possibile passaggio di consegne. Come se non bastassero tutti questi indizi, ecco l’ultimo graffio clamoroso: Frittitta è fuori. A Tamajo le conclusioni.

Alberto Paternò :

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