Un silenzio quasi surreale ha accolto, questa mattina, il non-dibattito all’Ars. La seduta, convocata da Micciché per comunicare le “dimissioni irrevocabili” di Musumeci (impegnato altrove), è durata mezz’ora scarsa. Il tempo utile a leggere le comunicazioni del governatore, anticipate ieri via social, e per tenere alcuni discorsi di commiato di fronte ai banchi del governo deserti. In aula, per la verità, un assessore c’era: ma Alessandro Aricò, nel duplice ruolo di capogruppo di Diventerà Bellissima, è intervenuto dagli scranni dei deputati per ribadire che le dimissioni di Musumeci sono “un gesto d’amore” nei confronti dei siciliani e che il presidente non c’è a causa di alcuni impegni istituzionali.
In un clima da liberi tutti, è stato Miccichè, citando Churchill, ad avanzare una riflessione sullo stato della democrazia: “E’ un concetto forte che, piaccia o no, non può venir meno all’interno di un parlamento. Non voglio dire che Musumeci non sia stato democratico, ma in questi anni non c’è stata la ricerca di tutto ciò che di positivo c’è nella democrazia”. “Sapete qual è il disastro degli ultimi decenni? Lo scontro fa poteri dello Stato – ha sentenziato Miccichè – Ma raramente è successo che il potere esecutivo si scontri con quello legislativo. Diciamoci la verità: in questa legislatura avremmo potuto essere più bravi, perché è venuto meno un rapporto leale di collaborazione e fiducia. Non sono certo che le responsabilità siano tutte del governo, ma da parte dell’esecutivo c’è stata una certa voglia di prevaricazione”, ha fatto notare il presidente dell’Ars.
Niente toni forti. Ma i concetti risuonano chiari: “L’esecutivo, in linea generale, fa delle proposte ma poi si adegua a quello che decide il parlamento. E’ così che funziona… Invece mi hanno rinfacciato di aver dato priorità alle prerogative del parlamento piuttosto che a quelle del governo. E non può esserci questo scontro ogni volta che qualcuno chiede il voto segreto: non piace neanche me, ma fa parte della democrazia. Inoltre, mi sono trovato contrarie persone che fino alla scorsa legislatura erano a favore”, ha sottolineato riferendosi a Musumeci e al suo gruppo. E ancora, evidenziando l’onestà istituzionale del rapporto coi suoi uffici, Miccichè ha assestato l’ultima bordata: “Non è che perché sei presidente comandi, non funziona così. Serve rispetto nei confronti degli altri”.
Da Catania, dove ha partecipato alla posa della prima pietra della nuova cittadella giudiziaria, Musumeci è tornato sui dissidi con il rivale: “Il candidato del centrodestra è il presidente della Regione Siciliana uscente. Fino a quando la coalizione non dirà ‘no, Musumeci non può essere, ce n’è un altro’”. E ancora: “Siamo con lo stesso governo dall’inizio, con gli stessi assessori. Abbiamo fatto giunta ieri e un’altra ce ne sarà lunedì. Abbiamo lavorato tranquillamente con l’impegno di sempre. La coalizione – ha aggiunto Musumeci – deve eventualmente trovare un candidato che non sia catanese, perché una delle accuse è questa, che sono catanese; che non sia antipatico, perché pare che io sia antipatico; che non sia alto 1,85. Quindi qualcuno con una statura un po’ più bassa, che non sia stato mai coerente idealmente, cioè che abbia fatto il saltimbanco, che abbia avuto problemi giudiziari, perché chi non li ha avuti non può fare il presidente della Regione. E’ facile o non è facile trovare un candidato…?”. Le solite paranoie.