Lunga vita al centrodestra. L’opposizione non c’è più

Era maggio e l'opposizione, compatta, interveniva sui fondi Fsc. Promettendo di darsi una nuova leadership. E invece...

L’appuntamento in cui il Partito Democratico ha dato il peggio di sé non è stata una consultazione elettorale, bensì un’Assemblea in cui decidere le regole d’ingaggio per il prossimo congresso. Ha vinto la mozione Barbagallo, che prevede di dare la parola agli iscritti piuttosto che ai gazebo con le primarie. Ma non è solo questo: perché l’esito del voto è stato accolto da una baruffa clamorosa, che non rende onore al secondo partito nazionale. “Ieri si è proceduto con un voto anomalo – ha detto il deputato Tiziano Spada -. Oltre a coloro che erano nella sala, 100 in tutto di cui solo in 20 hanno votato, c’erano 200 persone collegate da remoto: di queste, 150 hanno espresso il loro voto ma non è stata presa in considerazione la nostra richiesta di disporre l’appello nominale allo scopo di verificarne l’identità”. A scatenare la furia dei dissidenti sono state, soprattutto, le parole del segretario: “Questo modello per cui si attacca il compagno di partito o peggio ancora, chi rappresenta il partito, e poi si è proni contro gli avversari politici è insopportabile”.

Barbagallo aveva già fatto notare, alcune settimane fa, l’appiattimento del gruppo del Pd all’Ars rispetto alle scelte assunte dalla maggioranza di Schifani. Tant’è che all’indomani dell’ennesimo “inciucio” sulle mance – 80 milioni suddivisi in maniera scientifica tra deputati dei due schieramenti – arrivò a minacciare un esposto alla Corte dei Conti. Le critiche del segretario si concentrarono principalmente sull’utilizzo di un maxi-emendamento che ha accorpato oltre 1.200 voci di spesa, destinate a una varietà di iniziative locali, tra cui feste e sagre. Secondo Barbagallo, questo approccio avrebbe potuto configurare un uso improprio delle risorse pubbliche, finalizzato a ottenere consenso elettorale attraverso la distribuzione mirata di fondi (voto di scambio?).

L’esposto alla Corte dei Conti, oltre a indignare i parlamentari del Pd, fece saltare sulla sedia anche Sud chiama Nord, partito di Cateno De Luca, il cui giudizio sull’operato del governo, fino ad alcuni mesi fa, era di gran lunga peggiore rispetto alle dichiarazioni un po’ estemporanee del segretario dem. E’ il segno dei tempi: “Siamo davanti a esternazioni deliranti che mostrano lo stato politico-confusionale del segretario del Pd siciliano che ha deciso di fare una mera sceneggiata sulla finanziaria denigrando anche l’intenso lavoro fatto dalle opposizioni, con in testa proprio i deputati del Pd. Con ogni probabilità su imposizione di Roma”. In altri momenti di questa legislatura De Luca avrebbe trovato parole persino più efficaci per descrivere la tentazione delle opposizioni di fungere da stampella dei partiti di maggioranza. Ma le cose sono cambiate dopo che alcuni dei suoi seguaci – a partire dall’ex iena La Vardera – hanno deciso di palesarsi e abbandonare il progetto originario.

La Vardera, l’unico a tirarsi fuori dalla lottizzazione del maxi emendamento, è andato via da Sud chiama Nord all’indomani delle aperture del leader nei confronti di Schifani. Era ottobre dello scorso anno: “Il mio obiettivo è contribuire a cambiare la Sicilia – disse De Luca – e, se per farlo dovrò rinunciare e fare un passo indietro, sono pronto. Sono pronto anche a essere il numero due di una nuova coalizione, una nuova classe politica che sappia rappresentare i nostri obiettivi e i nostri valori”. Alla fine del 2024 per Schifani arrivò addirittura un invito alla conferenza stampa della Città Metropolitana di Messina, in cui De Luca ha ricordato l’impegno del governatore per portare a compimento il patto della Madonnina (con Forza Italia e Berlusconi) e lo sbaraccamento della città da lui amministrata fino al 2022. Lo stesso Schifani ha esaltato le doti amministrative di De Luca, dopo averlo a lungo ignorato come il predecessore Musumeci a causa del frequente turpiloquio nei suoi confronti (“servo sciocco di Roma”, “ologramma”, eccetera eccetera).

Ufficialmente i due rimangono maggioranza e opposizione; ufficiosamente è bastato il contributo di Sud chiama Nord alla solita Finanziaria per rendere plastico il nuovo sentimento dell’uno verso l’altro, e viceversa. L’ex candidato presidente, che nelle urne aveva raccolto mezzo milione di voti grazie a una campagna elettorale urlata e per niente disposta al compromesso, non ha atteso neppure il giro di boa (nel prossimo marzo) per questa svolta governativa. Culminata con la proroga accordata dal presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, al gruppo parlamentare di Sud chiama Nord nonostante sia formato da tre soli deputati (ne servirebbero almeno quattro).

De Luca era stato proposto da alcuni deputati del Pd come prossimo, condiviso candidato a palazzo d’Orleans. E anche il M5s non aveva disdegnato la soluzione più pratica per tutti, passando però da un percorso comune come le primarie. Avrebbero dovuto a iniziare a scrivere insieme un’alternativa alla destra, ma si sono ritrovati su posizioni del tutto divergenti, quasi inconciliabili. I grillini, da quando sono divenuti contiani, si sono ammorbiditi. Dopo aver perso la chance di confrontarsi con Schifani e la Amata all’Ars sugli scandali del turismo (appuntamento sempre rinviato da Galvagno), hanno perso molta della verve iniziale. Non sono più una spina nel fianco. Durante la sessione di bilancio si sono trasformati quasi in stampella, avendo incassato anche loro parecchie misure sui territori. La politica dell’inciucio non ha risparmiato nessuno (tranne lo sbirresco La Vardera) e il tentativo di urlare ai quattro venti gli effetti del caso Auteri, alla fine si è rivelato una farsa. Anzi, i Cinque Stelle sono stati i primi a battersi affinché i contributi venissero assegnati ancora alle associazioni, benché meritevoli. E avevano tentato di allargare le giunte locali, con un assessore in più a comune (la riforma degli enti locali è poi naufragata).

Analizzando al microscopio i primi due anni di questa legislatura, si salvano in pochi. Anche se alla Sicilia, bontà sua, servirebbe non una opposizione imbambolata ma capace e propositiva. In grado di cavalcare le battaglie sociali, di sollevare la questione morale, di indagare i mali della sanità, di stoppare gli sperperi del turismo, di sbarrare le porte degli assessorati ai pagnottisti, di offrire una speranza di cambiamento. Ma il treno – anche questo – sembra passato. “Da vent’anni – ha detto nel corso dell’Assemblea del Pd Giovanni Burtone, deputato regionale e sindaco di Militello – questa terra, esclusa la parentesi sfortunata di Rosario Crocetta, è governata dalla destra. E la risposta di questo partito è una consultazione tra iscritti? Laddove le tessere nel Catanese sono state fatte da amministratori che sostengono giunte guidate da Fratelli d’Italia. Davvero vogliamo che il Pd venga rappresentato da questi?”. Il centrodestra può osservare questo dibattito con ossequioso rispetto (come sta facendo) e prepararsi a comandare per i prossimi vent’anni.

Costantino Muscarà :

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie