Dai migliori il meglio. C’è un concetto antico come l’uomo che in linguistica è stato teorizzato come ipotesi di Sapir-Whorf. Secondo questa ipotesi il modo di esprimersi determina il modo di pensare. C’è una connessione diretta tra la lingua che si parla e la realtà che si percepisce. E viceversa. Fino all’incapacità individuale o collettiva, anche di un intero popolo, di sapere cogliere elementi della realtà perché mancano le parole per esprimerli. “I limiti del mio linguaggio indicano i limiti del mio mondo”, diceva Ludwig Wittgenstein, uno dei filosofi più autorevoli del Novecento.
Dopo avere messo le mani avanti con dotte premesse, desueto “introibo ad altare Dei”, confortiamoci con un florilegio di dichiarazioni del miglior governo che l’Italia abbia mai avuto, nonostante i tempi siano tra i peggiori.
Cominciamo dal migliore tra noi, il presidente del Consiglio di cui il paese non si può privare, secondo la versione di Mattarella che non ne ha accettato le dimissioni e lo ha rimandato alle Camere, da cui, peraltro, non era stato sfiduciato. Situazione surreale. Impossibile da spiegare agli italiani, giornaloni e addetti ai lavori a parte. Figuriamoci agli stranieri. Anche se, nel frattempo, tutti, dagli Stati Uniti, all’Ucraina fino alla Unione europea, dalla Chiesa ai sindacati, dai sindaci ai sanitari, hanno imbastito un cordone per salvare il soldato Draghi, “whatever it takes”. Di elezioni manco a parlarne. Un esercizio non particolarmente gradito al capo dello stato. Mica siamo come il resto dell’Occidente, noi.
Nonostante qualche sparuto seguace di Cossiga, rimasto ancorato al Britannia che incrociava le acque italiane trent’anni fa, Mario Draghi, che su quel panfilo si trovava a bordo, ha goduto sempre di una stampa che ha valorizzato il suo curriculum “internazionale”. Per questo ha destato stupore il suo esordio in politica estera, appena nominato presidente del Consiglio da “tecnico di alto profilo”, secondo i desiderata di Mattarella.
Draghi, da uomo concreto come solo un banchiere può essere, definì Erdogan “per quello che è, cioè un dittatore”. Col risultato di provocare il peggiore incidente diplomatico nella storia recente delle relazioni tra Roma e Ankara e di doverci mettere precipitosamente una pezza sopra: “Dittatore sì, ma necessario. Ce n’è bisogno”. Adesso, dopo il placet della Turchia all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, dopo un breve tira e molla sulla pelle dei curdi, Erdogan e Draghi si definiscono “amici”. Un affiatamento scattato sulla capacità di voltarsi o meno dall’altra parte secondo destini imperscrutabili e altrettanto imperscrutabili alchimie morali.
Un po’ come: “Non ti vaccini, ti ammali, muori e fai morire gli altri”, pronunciato da un Draghi rigoroso di fronte alla pandemia dilagante. Non è andata proprio così. E chi sopra i cinquant’anni non è morto, dovrà pagare ammenda.
Pazienza se qualcuno è stato discriminato e ha perso il lavoro. “My body, my choice”, vale per il gender, l’aborto e altri “diritti” spacciati per “civili” da una società non a caso definita liquida. “My body, my choice” non vale per l’inoculazione di Stato. Non in Italia.
Inoltre, vuoi mettere? Non c’è niente di meglio della vecchia, aurea regola del “divide et impera” per controllare un paese, una società. Spaccandola e fomentando discordia. Così i cittadini hanno altro a cui pensare.
Anche il super green pass – chissà perché “green”, poi – spacciato come “garanzia di non trovarsi tra persone contagiose”. Oppure, a proposito della guerra d’Ucraina e delle sanzioni alla Russia che sono cadute come tegole in capo a noi: “Preferite il condizionatore acceso in estate o la pace?”. Sul modello dello slogan: “Volete burro o cannoni” di mussoliniana memoria.
Semplifichiamo. E’ male ciò che è contrario agli interessi del paese. C’è qualcuno che si ricorda di queste frasette tanto elementari quanto banali nel frattempo che si chiede a Draghi di rimanere al suo posto, unico presidente del Consiglio possibile su milioni di italiani?
Dai migliori il meglio. Metti il ministro degli Esteri, Di Maio, angosciato dalle dimissioni del presidente del Consiglio e dalla possibilità di perdere la poltrona. Tanto da azzardare che Mosca brinda sulla testa di Draghi, manco fosse Giovanni il Battista offerto a Salomé. E riapre, Gigino Di Maio, una lunga diatriba con la diplomazia russa che, chiamata in causa, lo accusa papale papale di non avere idea del suo compito, di essere uno che intende il suo ruolo come un viaggio intorno al mondo per assaggiare cibi esotici ai pranzi di gala. Certo, lui qualche occasione gliela ha data. Non solo definendo Putin in tv “un animale atroce”, anche se voleva dire “feroce”. Ma anche localizzando Beirut in Libia, la vicenda di Pinochet in Venezuela, chiamando il presidente della Cina Ping, parlando della “millenaria tradizione democratica della Francia”. Cose così. Bagatelle che fanno curriculum.
Colonna portante di questi anni pandemici iniziati nell’inverno del 2020 è il ministro della Salute tanto malinconico da smentire il suo nome, Speranza. Lo zibaldone che lo riguarda è troppo lungo. E poi lo chiamano: “l’Innominabile”. Meglio limitarsi al libro che ha scritto nell’estate del 2020 per Feltrinelli, subito ritirato dopo la pubblicazione. Forse perché il titolo prospettava una storia mai avvenuta: “Perché guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute”.
Il libro circola comunque sul web. A cifre stratosferiche. Soprattutto circola una paginetta autobiografica in cui il ministro racconta “par lui-même” che da piccolo rubava aglio crudo per mangiarselo, per cui sua madre lo schiaffeggiava e lo rinchiudeva in una verandina. Dove lui passava il tempo a contare i corvi sul filo della luce all’esterno. Verandina dei desideri e dei suoi pensieri. Leggiamo che: “Un giorno, di ritorno da scuola, seduto accanto a una bella ragazza, tentai il mio approccio. Se vuoi possiamo andare in verandina a guardare i corvi, ci chiudiamo dentro, li osserviamo, li ascoltiamo cantare”.
Il ministro ci delizia con la risposta della ragazza: “Ma tu si’ scemo assaie”. La poveretta non aveva intuito le magnifiche sorti dell’uomo a cui è affidata la salute degli italiani al tempo della pandemia. Sono già più di trenta mesi.
C’è poi la pubblica Istruzione, vero banco di prova di come un paese intende il suo futuro. Mattarella ha raccomandato agli studenti di “coltivare sempre il dubbio e lo spirito critico”. Ma sommersa dalla burocrazia, gravata da lockdown, banchi a rotelle, mascherine puzzolenti fabbricate da Fca di Elkann-Agnelli, lezioni a distanza, professori sospesi, ragazzi ostracizzati, la scuola non reagisce neppure più.
Arriva il presidente del Consiglio a Sommacampagna in Veneto e si fa fotografare senza mascherina obbligatoria in mezzo a un gruppo di allievi e docenti imbavagliati. Nessuno dice nulla. Non una domanda. Non una richiesta. Con questo spirito critico il ministro ha buon gioco a dire che a scuola “la mascherina ha un valore educativo”. Educazione a che, esattamente, signor ministro Bianchi?
In molte scuole per misurare il distanziamento è stato chiesto agli studenti di munirsi di bastoni. Se il compagno si avvicina troppo, ecco impugnare il bastone per mantenere le distanze. De profundis per la creanza, prima ancora dell’istruzione.
Per le pari opportunità una citazione nello zibaldone del governo dei migliori lo merita la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, detta Zelig per capacità mimetica. Solo solo per la giustificazione data in parlamento al comportamento dell’agente in borghese filmato durante gli scontri a Roma lo scorso ottobre. L’agente infiltrato picchiava i manifestanti e, nella stessa giornata culminata con l’attacco alla sede della Cgil, li fomentava a ribaltare una camionetta delle forze dell’ordine. Spiegazione della ministra: “Stava verificando la resistenza al moto ondulatorio della camionetta assaltata”. Una lezione di fisica, insomma. Chapeau.
Tanto di cappello anche al ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani che afferma con sicurezza che “il pianeta è progettato per tre miliardi di persone”. Lui che è un fisico saprà da chi, quando e perché. Ma se siamo troppi e ci sono in giro altri cinque miliardi “di parassiti”, non è detto che lui stia dalla parte giusta.
Lo zibaldone dei migliori è un racconto fantastico. “Una storia infinita” come nel best seller di Michael Ende, da cui ricavare uno, due tre, colossal.
Con un’avvertenza. “Il meglio è nemico del bene”. E’ la lezione di Voltaire incarnata da “Candido”, il protagonista del suo romanzo di viaggio e di formazione più celebre. Candido, lo studente che attraverso le avversità e i fallimenti guarisce dall’ossessione di perseguire la perfezione. “Si c’est ici le meilleur des mondes possibles, que sont donc les autres?”, si chiede Candido nel capitolo VI. “Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?”.