Quante volte s’è detto che Forza Italia non sarebbe più esistita dopo Berlusconi. “E’ morta”, decretò Gianfranco Micciché dopo la scomparsa del Cav., il 12 giugno scorso. Ma non è facile né banale arrendersi. C’è una lunga legislatura davanti e una classe dirigente che spera di conservare un futuro nelle istituzioni (sempre redditizio). Mollare adesso? Giammai. Anche se il problema è tutto nei numeri: a partire dai 90 milioni di esposizione debitoria nei confronti della famiglia di Silvio, che nelle sue ultime volontà non ha accennato alla politica manco per sbaglio. Cento milioni a Fascina, trenta a Dell’Utri. E Forza Italia? Nisba.

Sembra che la malattia abbia prosciugato il sentimento e alimentato il senso del distacco. O forse, più propriamente, sono stati trent’anni in prima linea. Di gloria e vanità, certo. Ma anche di pesantissime battaglie giudiziarie, e di tradimenti inconsulti, che hanno fiaccato il fisico e lo spirito. Sarà quel che sarà, ma il Cav. non ha lasciato un euro al partito che ha reso iconico e utilizzato come taxi per consacrare la sua epopea. Né ha fatto accenno al “congelamento” del debito che però, sperano ai piani alti, dovrebbe essere salvo: l’asse fra Marina, la primogenita di Berlusconi, e la premier Giorgia Meloni è talmente forte da garantire la sopravvivenza di FI, che nel 2022 ha tirato su appena 581 mila euro con il due per mille e, ultimamente, ha vissuto nell’ombra di Fratelli d’Italia. Tanto che da mesi si vocifera di una possibile annessione. Forse non ce ne sarà bisogno né modo (al massimo un avvicinamento nel solco del PPE), ma la “stampella” di Forza Italia è un’assicurazione sulla vita per il governo e per Giorgia, che da parte sua ha già fatto breccia in Fininvest conquistando Rete4 (una tivù popolata da guardiani della rivoluzione).

Tornando a temi di carattere più “terreno”, i berluscones si apprestano a incoronare Antonio Tajani sulla strada verso il congresso, che verrà celebrato nel 2024 per trovare un nuovo leader. Perché Forza Italia non è il Pd: ha bisogno di una guida carismatica, che faccia sognare. Meglio se “un” Berlusconi. E’ quello che auspica Giorgio Mulè, vicepresidente alla Camera ed ex direttore di Panorama, parlando dell’eventuale coinvolgimento di Pier Silvio, amministratore delegato di Mediaset: “Spero di sì. Serve una leadership forte e riconosciuta perché mai come oggi abbiamo l’opportunità di allargare il campo dei moderati”. Mentre Tajani, che ha fatto il bello e il cattivo tempo con Draghi, e ridimensionato la Ronzulli, dovrà soltanto amministrare il vuoto: “E’ il primo a essere consapevole – spiega Mulè a Repubblica – che, scomparso Berlusconi, FI dovrà condividere negli organi direttivi strategie politiche e punti dirimenti. È il metodo che lui stesso ha applicato durante il governo Draghi: riunioni di partito con i ministri, dossier e aggiornamenti costanti su tutti i passi dell’esecutivo”.

L’unica cosa certa è che nessuno è disposto a farsi fare le scarpe, o a lasciare spazio alla “povera” Marta Fascina. La quale, in punto di morte del quasi-marito, era riuscita a imporre una sterzata, grazie a un triumvirato di fedelissimi che oggi come oggi è avvolto nelle nebbie: “Marta è la prima a sapere che non esiste nessuno tra noi in grado di sostituire quel sole da lei adorato fino all’ultimo secondo della sua vita – rilancia Mulè, sposando la tesi di Tajani all’indomani dei funerali – Un ruolo? Già ce l’ha. È deputato e segretario della commissione Difesa”. Tanti saluti al resto. Forse le toccherà un pezzo di Villa San Martino, ad Arcore, ma l’ex soubrette, eletta nella circoscrizione di Marsala, non sembra godere di grossa considerazione politica. Kaputt.

Non ne ha neppure Renato Schifani, che qualche giorno prima della morte di Berlusconi aveva chiesto più spazio per i dirigenti del Sud, cioè “quelli che prendono i voti” (in Sicilia, visto il responso delle ultime Amministrative, la teoria comincia a vacillare). Tajani ha detto ‘no’ a correnti e personalismi, e ‘sì’ alla gente che s’impegna. Ma Forza Italia, anche nell’Isola, sembra avere le ore contate. Il partito si è dissolto con Gianfranco Micciché, sfregiato da una storia di cocaina. Come evidenziato da alcuni esponenti politici – avversari fra l’altro – nessuno ha alzato il ditino per difenderlo o solidarizzare con lui. Tanto da far pensare, non soltanto a Micciché, che qualcuno abbia tramato alle sue spalle per infliggergli l’ultima coltellata, più umana che politica.

Un concetto riassunto da Davide Faraone, deputato ‘garantista’ di Italia Viva, su Buttanissima: “Idolatrato quando deteneva il potere, bullizzato quando l’ha perso, infine dimenticato. Non hanno la forza di pronunciare nemmeno una parola. Quelli che per Berlusconi, addirittura a processo per Ruby e le olgettine, dicevano: “L’unico eccesso cui abbiamo assistito è stato quello di guardare dal buco della serratura della vita privata di una persona, per cercare di distruggerne l’immagine. Tutto ciò, in un Paese civile è inaccettabile. Le responsabilità politiche e morali sono di chi ha permesso tutto questo. Perché lede la libertà di una persona. E non parlo solo di quella di Berlusconi, ma di ogni cittadino”. Per Miccichè tutto questo non vale, lui merita soltanto la gogna mediatica”.

La prima coltellata, con il Cav. ancora in vita, era servita a strappargli la leadership a favore del prestanome di Schifani, il nuovo commissario Marcello Caruso, dopo una terribile faida interna. Ma la caduta di Micciché, una colonna storica del berlusconismo, è il riflesso della repentina agonia di Forza Italia. Che alle ultime Regionali s’è fatta dettare il candidato da La Russa e s’è abbarbicata al potere, come per incanto, con l’unico obiettivo di assecondare le istanze patriote (il governatore pensò per ben due volte di ‘licenziare’ Scarpinato e mal gliene incolse). Se c’è un posto dove Forza Italia è letteralmente succube della Meloni, quel posto è la Sicilia. Sembra un’altra Rete4. Eppure nessuno si è posto la questione del futuro. Anzi, “meno siamo meglio stiamo” (con l’eccezione di Cancelleri). Forse è il nuovo claim: meno brillante de “L’Italia è il paese che amo”, ma certamente più concreto. A proposito: chi paga le prossime campagne elettorali?