Musumeci ha detto che l’obiettivo era “esaltare la bellezza del Palazzo”. Ma l’allestimento della aiuola con palle e catene di fronte alla residenza di Luigi Filippo d’Orleans, diventata da una settantina d’anni la casa permanente della Regione siciliana, ai più pare bislacca. Paolo Inglese è docente ordinario alla Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell’università di Palermo, oltre che responsabile del Sistema museale dell’ateneo. Da lì transita di frequente: “Lo spazio è rimasto oscurato a lungo – racconta Inglese – ma la prima cosa che ho notato è stata la rimozione (discutibile) delle Chamaerops secolari. Spero, anzi sono certo, che le trapiantino altrove”.
Ma il destino delle palme nane, caratteristiche della macchia mediterranea, è soltanto uno degli aspetti curiosi di questa vicenda. Il progetto di Musumeci, finanziato per 920 mila euro, prevede la creazione di “un collegamento in armonia fra zona esterna e interna del palazzo”. Ma non sembra aver centrato in pieno l’obiettivo: “Le palle e le catene sono un’immagine ottocentesca, appartenente alla monarchia – spiega Inglese – Quel palazzo non è una fortezza, bensì una residenza. E oggi rappresenta l’istituzione “prima” della Regione siciliana. Avrebbe meritato un’attenzione particolare”.
E’ una questione estetica o simbolica?
“Nessuna delle due. E tanto meno amministrativa. Ma una cosa è la correttezza amministrativa, che non discuto; un’altra è la correttezza del processo culturale, sul quale ho forti dubbi. Il problema nasce non tanto dal “cosa fai”, ma dal “come lo fai””.
E come andava fatto?
“Un giardino, come qualunque manufatto, prevede una fase progettuale. Che andava assegnata a un architetto paesaggista o a un gruppo di agronomi paesaggisti: cioè a qualcuno che avesse un curriculum per intervenire di fronte a un palazzo che è stato fondato da Giovanni Monroy, principe di Pandolfina, nel 1775; che è stato abitato dall’erede al trono di Francia, dai duchi di Guisa, dalla figlia di Ferdinando di Borbone. Che ha una storia di grandissimo rilievo, impossibile da trascurare”.
Il responsabile unico del procedimento (Rup) è l’attuale capo dipartimento dell’Urbanistica, Rino Beringheli. Un architetto.
“Sarà bravissimo, ma probabilmente non ha alle spalle una storia di progetto architettonico e paesaggistico di giardini. Sarebbe bastato seguire l’esempio dei Giardini reali. L’Assemblea regionale si è affidata all’Orto botanico di Palermo, con cui ha tuttora una convenzione da 10 mila euro l’anno, per la cura, la manutenzione e la direzione scientifica di ciò che viene fatto. Non lo dico perché c’entro personalmente, ma perché è giusto garantire la trafila delle competenze. Ripeto: non pretendo che l’incarico venisse affidato all’Orto botanico, ma che il percorso fosse il medesimo”.
Ci spiega perché questo giardino, questo “semplice” giardino, sia così disdicevole?
“Nella mia premessa ho chiarito che non si tratta di un giudizio estetico. Ognuno ha il proprio… Ma se me lo chiede, le rispondo che il mio è orribile. Non si possono spendere 922 mila euro – una cifra importante – senza un intervento paesaggistico di rilievo. Se vuoi preservare il verde, ci sono molti modi per farlo: ma cosa c’entrano le palle di un marmo completamente diverso rispetto a quello dell’edificio? E quelle catene nere? Lo stile non rispecchia la bellezza e la leggiadria di quel palazzo che – lo ricordo – non è un ministero romano, ma nasce come una casa di campagna, fuori le mura. Anche gli ulivi tosati come barboncini e la fontana in stile Casamonica mi lasciano perplesso”.
Ogni singolo elemento esige una spiegazione che non c’è stata.
“Il problema non riguarda buono o cattivo gusto. Ma quando scegli fare un giardino o qualsiasi intervento in un manufatto storico, devi giustificare dal punto di vista culturale e dell’analisi storico-documentale cosa stai facendo. Realizzi una fontana? Spieghi i criteri che ti hanno guidato… Invece c’è una mancanza totale di dialogo culturale fra ciò che è stato realizzato e quello che era già presente. O, se c’è stato, è un dialogo terribile, di conflittualità”.
Qualcuno ha segnalato sui social che questo “disegno”, con le palle (i dissuasori) e le catene, sancisce una linea di separazione fra il potere e il popolo. Fra chi sta dentro il palazzo e chi c’è fuori.
“E’ una forma antiquata, che non esiste neanche a Versailles. Il giardino apre il palazzo, non lo chiude. L’intervento, in generale, non si sposa nemmeno con quello che c’è intorno: il giardino romantico, la Fossa della Garofala, i giardini reali, la piazza. E’ venuta fiori un’aiuoletta da fermata dell’autobus. Ci mancano solo i sette nani… Siamo arrivati al punto in cui le archistar lavorano a strutture temporanee di sei mesi, a forma di primula (Stefano Boeri, ndr), per ospitare la somministrazione dei vaccini; e in Sicilia mettiamo le palle e le catene di fronte a un palazzo di governo settecentesco. Uno che ha studiato architettura e paesaggio non avrebbe mai concepito una cosa del genere”.
Crede che si possa ancora rimediare?
“Immagino non sia un argomento che interessi l’oggi. Domani, probabilmente, qualche altro governo si porrà il problema. Da cittadino palermitano lo trovo un intervento orribile, che meritava una maggiore sedimentazione culturale”.
Seguire tutti i crismi avrebbe giustificato il costo?
“Non posso fare un computo metrico ex post. In queste settimane stiamo piantando delle aiuole all’Orto botanico: se dovessimo spendere quelle cifre avremmo già chiuso. Per carità, non si tratta soltanto di piantare degli ulivi: ci sono i manufatti, le orrende fontane, la sistemazione idraulica, le luci. Il costo al metro quadro è rilevante. Ma io sto parlando di un percorso culturale e professionale: mi pare del tutto inadeguato e non sono il solo a dirlo”.