In Sicilia non c’è più dove mettere la monnezza. E mentre l’Assemblea regionale si diletta nella spartizione di una settantina di milioni per far guadagnare consenso ai deputati nei rispettivi territori di provenienza, gli ultimi decreti firmati dal Dirigente generale del Dipartimento Rifiuti, prevedono lo sbarco di 90 mila tonnellate di indifferenziata in Finlandia, a Valko, e di quasi 6 mila in Turchia. La regione di Smirne rappresenta l’ultima meta, o se volete l’ultima frontiera, dopo aver già tastato altre opzioni: dalla Danimarca alla Bulgaria passando per l’Olanda. Le discariche siciliane, infatti, sono sature: a Bellolampo, nel Palermitano, si è esaurita anche la prima sezione della settima vasca, mentre la Regione si affanna a consegnarne un altro “pezzetto” alla Rap; a Trapani l’impianto pubblico è stato appena riattivato; a Lentini, dove regna la Sicula Trasporti (sebbene oggi si trovi in amministrazione giudiziaria) non entra più uno spillo.
L’alternativa rimasta è il conferimento all’estero, con costi che ricadranno sui cittadini attraverso il balzello della Tari. Per una tonnellata si arriva a pagare quasi 400 euro e i 50 milioni offerti “generosamente” dal parlamento siciliano durante la manovra-bis alla Finanziaria (approvata a luglio), sono già finiti. “I soldi coprivano i costi extra sostenuti fra il 2022 e la prima metà del 2023 – dice il presidente dell’Anci, Paolo Amenta, al Giornale di Sicilia -. In pratica c’è un altro anno di spedizioni che non ci è stato rimborsato. E ricordo a tutti che l’intero costo va inserito dai sindaci nei piani finanziari, quindi provoca un aumento corrispondente della Tari che i cittadini dovranno pagare”.
Questo sistema marcio si sviluppa sotto gli occhi distratti del presidente della Regione, che qualche mese fa – peraltro – è stato nominato commissario straordinario per il completamento della rete impiantistica integrata. Cioè dovrebbe operare in deroga ai tempi solitamente previsti dalla burocrazia, per offrire nuove soluzioni utili alla causa. Ma fin qui nulla, a parte l’istituzione dell’Ufficio speciale per la valorizzazione energetica e la gestione del ciclo dei rifiuti, istituito con una delibera dello scorso marzo e attivo – non si sa bene con quali risultati – dall’inizio di giugno.
Schifani, che (da deputato) ha chiesto e ottenuto anche lui un tesoretto sulla scorta dell’ultima manovrina, non ha pensato di investirlo sulla crisi dei rifiuti. Lui ha occhi solo per il Teatro Massimo, nella cui fondazione ha appena nominato la moglie del noto imprenditore Tommaso Dragotto, patron di Sicily by Car ed ex presidente dell’Irfis (per una manciata di giorni, prima di scoprire la sua incompatibilità per motivi giudiziari). La spartizione di mance e poltrone continua a rivelarsi il passatempo preferito del governatore, che qualche settimana fa – per la guida dell’ente – ha ingaggiato un duello verbale con il sindaco di Palermo, reo di aver perorato la conferma di Marco Betta. Schifani è intervenuto impropriamente anche sul piano di razionamento idrico proposto da Amap, e successivamente approvato dalla Cabina di regia, per chiedere la testa dell’amministratore della municipalizzata che gestisce l’acquedotto. Ma non ha mosso ciglio di fronte all’invasione dei rifiuti che, dal giorno della festa della Santuzza, tiene Palermo in ostaggio.
La Regione, però, non può lavarsene le mani in questo modo. I poteri speciali assegnati a Schifani da Roma si stanno rivelando una fatica ulteriore: “Sappiamo che il percorso è delicato e vogliamo evitare ogni contestazione procedurale – ha detto il presidente della Regione – Contiamo di individuare il progetto di massima entro fine anno, per andare a gara tra fine 2024 e inizio 2025. Vigilerò io stesso”. La realtà è un pochino diversa. Per arrivare alla realizzazione dei due inceneritori, bisogna esitare dei passaggi di cui non v’è traccia. A cominciare dall’adozione del piano dei rifiuti: “Il Piano apprezzato dalla giunta regionale a marzo è una scatola vuota – ha scritto il segretario regionale del Partito Democratico, Anthony Barbagallo – e non è mai arrivato in commissione Ambiente all’Ars. Anche questo è discutibile e la dice lunga sul metodo con cui (non) si vuole affrontare e risolvere la questione dei rifiuti dalle parti di palazzo d’Orleans”.
Gli obiettivi contenuti all’interno del documento erano stati annunciati lo scorso aprile dall’assessore Di Mauro. Si parlava di: recupero di oltre il 65% dei rifiuti urbani; recupero energetico della frazione residua (fino a 600 mila tonnellate) e dei fanghi di depurazione; conferimento in discarica inferiore al 10%; eliminazione delle spedizioni fuori regione; implementazione delle piattaforme di recupero; riduzione di almeno il 40% dei costi di trattamento; produzione di biometano (70 milioni di mc) e di compost (10 mila tonnellate). Per raggiungere questi risultati, però, il Piano si basa pure sull’incremento del tasso di raccolta differenziata (nelle grandi città come Palermo e Catania non ci siamo proprio) e sull’implementazione degli impianti destinati al trattamento, compresi i due termovalorizzatori. Che al momento, però, rimangono uno specchietto per le allodole.
Non è servita neppure la rassicurazione di Giorgia Meloni, che ha inserito una specifica voce da 800 milioni nell’Accordo di Coesione firmato lo scorso maggio con Schifani. La strada è lunga e tortuosa, come testimonia la nascita di questo ufficio speciale, con dentro 14 tecnici, il cui compito è supportare l’attività del commissario straordinario e adottare, previo svolgimento della valutazione ambientale strategica, il piano regionale dei rifiuti; oltre ad approvare i progetti di nuovi impianti pubblici per la gestione dei rifiuti, compresi quelli per il recupero energetico; e assicurare la realizzazione di questi impianti con procedure di evidenza pubblica. L’unica cosa che Schifani fin qui ha deciso è l’allocazione degli inceneritori: uno nel Palermitano e l’altro nel Catanese. Per il resto dovrà aspettare, e fare anticamera come tutti.
“Noi lo diciamo da tempo – afferma Barbagallo -. Servono centinaia di impianti distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio regionale, per il trattamento meccanico biologico, per il compostaggio, per l’umido. E invece negli ultimi 7 anni i governi di centrodestra, Musumeci prima e Schifani ora, ne hanno realizzati meno di 10. E pensano di risolvere tutto con due termovalorizzatori che, comunque se mai si faranno, non potranno risolvere sia la questione emergenziale nell’immediato. E nel frattempo continuano a lievitare i costi legati al trattamento e al trasferimento dei rifiuti anche all’estero, tutte a spese dei siciliani”. Anni di politiche assenti sul fronte dei rifiuti, oltre ad aver favorito il business dei privati, finiranno per gravare in maniera pesante sulle tasche dei cittadini. Che già adesso devono sborsare cifre consistenti a fronte di un servizio deficitario e di un livello d’attenzione, da parte della politica, che rasenta lo zero. Anche i sindaci, costretti ad aumentare le tariffe della tassa sui rifiuti, perderanno popolarità agli occhi delle rispettive comunità. E non basterà la comoda distribuzione di mance e prebende, da spendere per l’organizzazione di feste e festini, a cancellare la puzza nauseabonda e l’immagine terribile dei marciapiedi sepolti dalla monnezza. O si pensa davvero che i siciliani abbiano l’anello al naso?