Da salvatore della patria ad agnello sacrificale è un attimo. Non contento di aver vinto la partita, Matteo Salvini non ha riservato a Luigi Patronaggio, il pm che lo aveva indagato per il sequestro di persona sulla nave Diciotti, quello che si definisce l’onore delle armi: “Chi ha indagato, cosa ha indagato? Il pm Patronaggio perché ha indagato? Quante è costata questa indagine? E quante persone potevano essere impiegate per altro?”. L’insussistenza dell’azione, almeno secondo Salvini, va esibita a più non posso. Senza aver paura delle conseguenze.
E le conseguenze non sono sempre insussistenti. Qualche tempo nell’ufficio del procuratore di Agrigento arrivò persino un proiettile. Poi, quel magistrato che oggi tutti riconoscono come l’anti-Salvini per eccellenza, e del quale si disse che nutriva simpatie per Renzi, ottenne l’appoggio incondizionato, per la sua azione penale, da parte di cento avvocati siciliani che acquistarono una pagina di Repubblica e gli dedicarono un pensiero: #stoconPatronaggio. Adesso che l’inchiesta rischia di scoppiare come una bolla di sapone è logico chiedersi chi farà carte false per manifestare vicinanza al pm, che dallo scontro col ministro esce ridimensionato. Come tutta la magistratura, che appare supina di fronte alla politica da bar imperante.
Gian Carlo Caselli, ex procuratore di Palermo, ha spezzato una lancia in suo favore: “Indagare Salvini era doveroso. Anche i politici obbediscono alle leggi della Costituzione”. Ma qualcuno si è già defilato dietro la pratica del “ve l’avevo detto”. Dire cosa? Che è vietato indagare un politico con il maggior indice di gradimento del paese? O che, forse, aprire un’inchiesta sul tema delle migrazioni, dove esiste la facoltà di scegliere l’azione politica da parte di chi governa, era affrettato e velleitario? Chissà. Intanto Patronaggio si defila, esce di scena. Meglio l’accerchiamento o l’isolamento?