Ricordate Bellolampo? E’ la discarica pubblica del Comune di Palermo, gestita dalla Rap, dove a fine agosto sono stati consegnati i lavori per la realizzazione della settima vasca. I rifiuti non ci entrano più, per questo vengono abbancati nel piazzale in attesa che il Tmb, il sistema di trattamento meccanico-biologico, li “depuri” per consentire a Rap di procedere allo smaltimento vero e proprio: nelle discariche private della Sicilia orientale. A costi spaziali. Ebbene, in quello stesso sito, o meglio in un terreno a fianco, potrebbe sorgere un termoutilizzatore. Ossia un moderno impianto di incenerimento che oggi rappresenta la bussola del governo Musumeci in fatto di ambiente. Quello dei termovalorizzatori – chiamiamo le cose col loro nome – è una delle barzellette in salsa siciliana che condisce la (pseudo)agenda politica dell’esecutivo di turno. Più o meno come avviene col Ponte sullo Stretto o l’insularità: temi buoni per tutte le stagioni (elettorali).
Il governo della Regione pensava di aver messo un punto a questa triste vicenda quando, il 27 giugno dello scorso anno, il dipartimento Acqua e Rifiuti ha pubblicato un avviso per la realizzazione di due termoutilizzatori in project financing. Per non restare “prigionieri dell’oligopolio delle discariche e dell’oligopolio dei privati”, Musumeci decise bene di chiamare a raccolta altri privati cui affidare, per altro, la gestione di queste “macchine mangiarifiuti in grado di generare denaro e ricchezza. Nel 2035 il 65% dovrà essere riciclato – disse il governatore, presentando l’Avviso pubblico come una svolta -. Ma il 30%, cioè la parte che non potrà più andare in discarica, dovrà finire nei termoutilizzatori”. Così la Regione ha avviato un percorso a ostacoli che, in questa prima fase, ha subito diversi rallentamenti. I termini per la presentazione delle manifestazioni d’interesse sono slittati più volte, le buste sono state aperte a inizio febbraio. Sette le aziende interessate: una di esse, come rivelato da Repubblica, vorrebbe costruire un inceneritore a Palermo. E si sarebbe relazionata con Rap.
Il punto però è un altro. E cioè, che se davvero ci fosse quest’apertura da parte della Rap – smentita dall’amministratore unico Caruso, ma confermata da ‘Repubblica’ – il Comune sarebbe totalmente sconfessato. Da palazzo delle Aquile buttano acqua sul fuoco: “La giunta comunale ribadisce con fermezza il proprio no ai termovalorizzatori nell’area di Bellolampo. L’indirizzo politico seguito è sempre stato contrario alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione e tale indirizzo è cogente anche per la partecipata Rap”. Ma c’è un altro passaggio della nota che allontana la realizzazione di una “macchina mangiarifiuti” da questa porzione di territorio: “La giunta ricorda che la SRR Città Metropolitana, ove il Comune di Palermo è azionista di maggioranza, in occasione della richiesta pervenuta da parte della Regione per ospitare un termovalorizzatore ha espresso avviso contrario”. Finché al timone ci saranno Orlando e i suoi – pochi mesi in realtà – nessuna autorizzazione sarà concessa. E non tocca alla Regione, bensì alle SRR – secondo il piano dei rifiuti vigente – scegliere “la tecnologia necessaria a chiudere il ciclo”. Lo disse Alberto Pierobon, ex assessore all’Energia, all’indomani dell’approvazione di uno strumento che tuttora risulta opaco negli intendimenti.
Il piano, elaborato da questo governo e non da un altro, nel pieno rispetto della gerarchia europea dei rifiuti, mira “alla riduzione della produzione tramite attività di prevenzione, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclaggio, al recupero di energia tramite moderni impianti di termoutilizzatore e, solo marginalmente e in ultima istanza, allo smaltimento in discarica”. I termovalorizzatori, insomma, verrebbero dopo la differenziata – che oggi nei grossi comuni è ancora un handicap – e la realizzazione di impianti meno impattanti sotto il profilo ambientale. La questione, a Bellolampo o altrove, non dovrebbe nemmeno porsi. Come sostiene Giampiero Trizzino, deputato regionale del M5s: “Il governo Musumeci meno di un anno fa ha approvato il Piano regionale dei rifiuti che non prevede la costruzione di inceneritori. Ha comunque deciso di realizzarne ben due e sono presentate sette imprese interessate a costruirli e gestirli. Come si concilia questo con il Piano rifiuti? Andrà riscritto, riteniamo, e non sarà facile visto che per avere l’attuale Piano ci sono voluti dieci anni. Come si concilia questo con i buoni propositi del presidente Musumeci che ha sempre detto di essere contrario alla gestione privata dei rifiuti? Come si concilia questa scelta, inoltre, con l’emergenza rifiuti in corso, per la quale servono misure immediate, mentre per costruire gli inceneritori ci vogliono almeno tre o quattro anni?”. Domande che, insieme al ‘niet’ del Comune di Palermo, rischiano di rendere vano un percorso che molti addetti ai lavori, non solo gli ambientalisti, definiscono “fuori dal tempo”. Che non ha alcun margine di finanziamento europeo (a maggior ragione da parte del Pnrr, che premia la transizione ecologica). E che già in passato ha trovato parecchi ostacoli.
Come nel passaggio dal governo Cuffaro, che avrebbe voluto costruire quattro termovalorizzatori, a quello di Lombardo, che dopo un intervento della Corte di Giustizia europea (che ravvisava una serie di irregolarità nelle procedure) e un paio di tentativi (andati a vuoto) di riproporre il bando, nel 2009 lo sacrificò più che volentieri per il timore di infiltrazioni mafiose. “La cosa che più mi ha turbato in questi anni – ha rivelato Cuffaro – è l’avere sentito, dal governo che è venuto dopo di me, che aveva bloccato i termovalorizzatori perché c’era il malaffare! Io ricordo che il governatore che è venuto dopo di me era lo stesso che stava con me quand’ero al governo ed i termovalorizzatori li aveva approvati! Dopo di ciò, è vero esattamente il contrario. Basta leggere, negli ultimi anni che cosa è successo sulle discariche per capire che il malaffare si insidia là, nelle discariche, non nei termovalorizzatori… Abbiamo fatto diventare la Sicilia una pattumiera”. Ma anche una barzelletta, dal momento che i termovalorizzatori rappresentano sempre l’ultima spiaggia (inesplorata) a fronte di soluzioni alternative – compresa la raccolta differenziata – che non ingranano. Rischia di finire così anche stavolta.
Sembra di assistere all’eterna querelle del Ponte sullo Stretto. Cinquant’anni di ragionamenti e soldi buttati, per arrivare sempre al punto di partenza: uno “studio di fattibilità – per dirla col Ministro Giovannini – che riconsideri il megaprogetto che non è più attuabile così com’è”, ma valuti “un progetto a più campate a fronte dell’opzione zero”. Cioè quello a campata unica, previsto vent’anni fa da Impregilo-Salini e ormai inservibile. Meglio ripartire daccapo, fare un po’ d’ammuina, e offrire residui di speranza a un popolo che l’ha già persa. “Questo studio – ha affermato Giovannini – ci dirà se è fattibile oggi alla luce dei nuovi standard, se è sostenibile, da tutti i punti di vista, compreso quello ambientale; se è costoso, perché non abbiamo un’idea di quanto costerebbe oggi” realizzarlo “dopo tutti i rincari degli ultimi dieci anni; e se è funzionale fino in fondo”. Poi il ministro si è spinto addirittura oltre: “La prima fase potrebbe concludersi entro la primavera del 2022 per avviare un dibattito pubblico e pervenire una scelta condivisa e evidenziare nella legge di bilancio 2023 le risorse”. Quanto tempo ci vorrà per costruirlo non lo sappiamo. E forse non lo sapremo mai.
Ma nel frattempo, statene certi, la Sicilia avrà ridotto il gap con le altre regioni d’Italia puntando sulle soluzioni offerte da Armao per combattere il fenomeno dell’insularità, una tassa occulta da 6,5 miliardi l’anno, che grava su ogni siciliano per 1.300 euro. Uno studio realizzato da Prometeia con le università siciliane, che è stato approvato dalla commissione paritetica Stato-Regione, ha permesso all’assessore all’Economia di ricevere il primo riconoscimento da Roma: ossia i 100 milioni annui – noccioline rispetto ai 6,5 miliardi – che dal 2022, saranno versati alla Sicilia “a titolo di acconto per la definizione delle norme di attuazione in materia finanziaria e sulla condizione di insularità”. Ma anche un pubblico encomio di Musumeci: “Il via libera del Senato all’introduzione in Costituzione del riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità è un traguardo storico atteso da decenni per la Sicilia e per i siciliani. Un plauso va anche al vice presidente della Regione, Gaetano Armao, per il costante impegno nel perseguire questo obiettivo, a partire dalla Relazione sui costi dell’insularità che ha presentato con oggettività il salatissimo conto che pagano i siciliani per vivere su un’isola”.
In attesa che qualcosa di concreto possa bollire in pentola, e che lo Stato si decida a superare questo gap con una modifica in Costituzione e liberando risorse aggiuntive necessarie, i voli aerei per il continente costano uno sproposito, l’addio di Alitalia ha chiuso la brevissima stagione della continuità territoriale su Comiso e Trapani, le tariffe sociali da Catania e Palermo sono limitate a una platea ristretta, e la rete ferroviaria è una groviera che andrebbe elettrificata (il Pnrr lo farà in parte sull’asse Pa-Me-Ct) per accogliere l’alta velocità. Nel frattempo che tutto questo accada, ci godremo l’avvento dei Frecciabianca e i cento milioni “a titolo d’acconto” che verranno utilizzati – forse – nella prossima Finanziaria: una caparra rispetto alla promessa di farci diventare una regione normale. Dove non ci sarà bisogno di termovalorizzatori né Ponti per sopravvivere. L’ennesima barzelletta?