L’Isola della monnezza

Un'immagine di qualche giorno fa a Catania, città simbolo del degrado in questa estate all'insegna della monnezza

Il sequestro dell’area di compostaggio (per inquinamento e gestione illecita), da parte dei carabinieri del Noe, a Gela; l’ampliamento della quarta vasca della discarica di Bellolampo, a Palermo; gli esposti al prefetto da parte delle associazioni ambientaliste nel Siracusano. Sono tutti elementi che fanno parte della medesima storia. Tragica. Quella dei rifiuti.

Non c’è estate senza emergenza. E non c’è Sicilia libera dalla monnezza. Nonostante i piani e le riforme (mancate), i tavoli romani e le promesse. L’Isola, prima che dal mare, è circondata dalla spazzatura. Così è, e così sarà sempre. Così è stato nei cinque anni del governo Musumeci, che ormai intravede lo striscione del traguardo. Senza aver risolto nulla della piaga più funesta. La Regione si è sempre presa i meriti quando i Comuni – buona parte dei piccoli Comuni – sono riusciti a scavallare il 65% della raccolta differenziata; ma non ha mai ammesso che il fallimento degli altri – su tutti Palermo e Catania – dipende da una politica inadeguata che non è riuscita a scrivere una riforma e, per il rotto della cuffia, ha approvato un piano che la Commissione europea ha ritenuto insufficiente. Il Piano dei rifiuti è lo strumento di pianificazione per chiudere il ciclo secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Stabilendo, va da sé, le modalità di smaltimento.

“Se oggi i Comuni siciliani arrivano a pagare cifre che superano 300 euro a tonnellata non solo per l’indifferenziato, ma addirittura per la raccolta differenziata dell’umido, c’è un solo responsabile – spiega Giampiero Trizzino, deputato regionale dei 5 Stelle e avvocato ambientalista – ed è chi non ha saputo costruire una rete regionale di impianti di trattamento. Mentre qualcuno continua (inutilmente) a sognare inceneritori disseminati ovunque che probabilmente non vedranno mai la luce, c’è un territorio che adesso affoga tra i rifiuti”. Proprio un anno fa, e pur non avendoli indicati come priorità nei documenti ufficiali, Musumeci è passato all’attacco coi due termoutilizzatori.

Gli impianti, da realizzare secondo la formula del project financing (cioè con la gestione affidata ai privati), dovrebbero sorgere a Gela e a Pantano d’Arci, nel Catanese. Ma dopo la pubblicazione di un Avviso nel 2021, a cui hanno aderito sette diverse società, qualcosa si è inceppato. La Regione ha affidato l’iter a un nucleo di valutazione speciale diretto da Salvatore Lizzio, dirigente generale dell’assessorato alle Infrastrutture, e al contempo commissario ad acta di alcune Srr (Catania Nord-Sud, Siracusa e Messina). Ma il bando di gara vero e proprio non è mai stato pubblicato. Una fonte dell’assessorato all’Energia, a ‘La Sicilia’, sostiene che “l’iter per la parte tecnica sembrava esaurito con la pubblicazione dell’avviso”, mentre “era necessario esperire la cosiddetta fase ‘giuridica’, cioè quella che mette nero su bianco tutte le clausole, i requisiti e le modalità di partecipazione alla competizione pubblica. Infine le procedure di affidamento”. E, aggiungiamo noi, almeno tre anni di tempo a partire dall’aggiudicazione per la realizzazione dei lavori.

La bozza, però, giace nei cassetti dell’assessorato. Forse si sono rivelate decisive le resistenze politiche, come quella di Pd e 5 Stelle, o da parte di ambientalisti accaniti, come Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, che sul ‘Foglio’ ha scoperchiato il vaso di Pandora e spiegato il ‘no’ ai termovalorizzatori: “Si chiamano inceneritori, significa bruciare rifiuti. Non li vuole più Bruxelles, non li fanno più nemmeno nel nord Europa. Affidarli ai privati vuol dire che per garantire la loro redditività bisogna farli lavorare al massimo: a scapito della raccolta differenziata. Dobbiamo passare all’economia circolari”.

Ma Zanna è andato ben oltre. Ha parlato della discarica di Bellolampo, che qualche giorno fa – per scongiurare l’ennesima stagione d’emergenza – è stata ampliata. Ancora. In attesa della consegna della settima vasca, è stato recuperato altro spazio nella parte sommitale della quarta vasca (per una sagoma definitiva di 300 mila metri cubi): “In particolare – si legge nella nota del Comune – la RAP viene autorizzata a depositare i rifiuti all’interno della IV vasca bis, previa attività di tritovagliatura e biostabilizzazione, secondo disposizioni comunitarie”. Inoltre, viene sottolineato che la RAP, entro 180 giorni, dovrà provvedere con urgenza allo smaltimento dei rifiuti giacenti lungo i piazzali della discarica. “L’abbancamento nella IV vasca bis permetterà di uscire dall’attuale situazione emergenziale, per passare gradualmente ad una situazione di normalità fino al mese di ottobre, quando potrà essere disponibile la VII vasca, già in fase di realizzazione”.

L’ampliamento è un’operazione resa necessaria da più fattori: “E’ come la coperta di Linus – ironizza Zanna sul “Foglio” – quando scoppia l’emergenza, che di regola accade ogni sei mesi, si apre un’altra vasca e si va avanti, continuando a peggiorare la situazione”. In realtà Palermo vivacchia sotto una coltre di spazzatura che non sorprende quasi più. Cumuli di sacchetti e di ingombranti assediano i collegamenti fra Mondello e Sferracavallo, in via Nicoletti, dove per una cinquantina di metri la strada è totalmente invasa. E’ stata data alle fiamme anche una telecamera della videosorveglianza. Ma i rifiuti abbondano anche nel centro città man mano che ci si sposta verso le periferie e il personale di Rap – che secondo l’amministratore unico Girolamo Caruso ha una carenza d’organico di circa 800 operai – non riesce a sopperire nemmeno col massimo dell’impegno. Zanna, a tal proposito, non ha peli sulla lingua: “Negli ultimi anni, anche prima di Orlando sindaco, l’azienda è stata riempita di personale inadeguato per motivi di voto e di consenso. Una grande mangiatoia – continua – che ha messo al lavoro personale dequalificato e demotivato, spesso assunto con le agevolazioni riservate agli ex detenuti. E, al vertice, scelte logistiche incomprensibili”.

Le cose non vanno meglio a Catania, dove la raccolta differenziata viaggia intorno al 20% e negli ultimi mesi, complice la chiusura (determinata dal Tar) della discarica di Motta Sant’Anastasia, i sacchetti si sono accumulati sui marciapiedi, offrendo un’immagine sudicia e sporca ai turisti. Catania è una città dove la differenziata non è ancora a regime. Ma anche su questo fronte è Palermo che recita la parte del leone: raggiunge appena il 14 per cento, una “percentuale ridicola – scrive Fabio Bogo sul Foglio – su una produzione di rifiuti che supera le 300 mila tonnellate visto che tra il capoluogo e Catania vive oltre il 60 per cento dei residenti regionali”. I disastri dei grandi comuni – mentre Messina sta provando a togliersi d’impaccio rimuovendo i cassonetti e imponendo la raccolta differenziata – influisce a cascata su tutti gli altri. Anche il Ragusano e il Siracusano sono due zone di frontiera: ai bordi delle strade che conducono ai centri più rinomati (Noto, Marzamemi, Modica per citarne alcuni) le discariche a cielo aperto spopolano. E non basta l’impegno di numerose associazioni ambientaliste e i solleciti dei sindaci alla Regione e alle SRR: l’unica prospettiva è il trasporto fuori dal territorio regionale, con quello che ne deriverà in termini di costi.

“Ad ogni modo – sostiene Trizzino (M5s) – la strada da percorrere nel breve periodo noi l’abbiamo tracciata: un fondo a favore dei Comuni per sostenere le esorbitanti spese legate al trasporto dei rifiuti. È un emendamento che abbiamo depositato in Variazione di bilancio che sarà in discussione questa mattina in Aula. Nel lungo periodo, invece, mi auguro possa esserci un governo più sensibile alla tutela dell’ambiente che sappia programmare per tempo ciò che da troppo tempo manca in Sicilia”. Da dove si comincia?

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