Questa diceria della grande donna che sta sempre dietro un grande uomo andrebbe un po’ ridimensionata. Ché già “dietro” è una posizione da tergo e, nel caso specifico, sottende sempre un puntellamento ad uso di stabilità o un chioccesco accudimento, se non addirittura un ancillare ausilio. Diciamo dunque che Lisa Ricca ha camminato allo stesso passo di marcia con Michele Perriera che era sì suo marito ma era anche un grande uomo nel suo multiforme dinamismo intellettuale (giornalista, scrittore, drammaturgo, regista, forgiatore di talenti scenici attraverso la sua accademia e, non ultimo, pensatore, forse malgré lui, di vocazione oracolare). Lisa era dunque in quel senso una grande donna? Sì, ma se lo era lo era anche a sé, e nel caso in cui puntellava, accudiva, offriva ausilio a Michele, lo era au pair. Lo ha fatto per decenni pure per la sua prolifica attività di teatrante ambientando e vestendo gli spettacoli di Teatés, la compagnia di Perriera, condividendo più che assecondando l’idea (e l’ideologia) che c’era dietro ogni messinscena, attraverso un concetto che declinava arte e artigianato nel nome di un personalissimo estro creativo e di un’idea che viveva in felice combutta con la manualità, con la pratica.
Nella Palermo stoltamente disattenta ben venga allora questa mostra (fino al 4 dicembre al Museo del Disegno di Nicolò D’Alessandro) che si intitola semplicemente “Lisa Ricca. Costumi e scenografie” che compendia, grazie anche all’affettuoso ripescaggio di memorie domestiche dei figli teatranti, Gianfranco e Giuditta, bozzetti e figurini ideati per gli spettacoli di Perriera, a cominciare dai famosi abiti degli interpreti del «Gabbiano» cechoviano con cui il regista, all’alba degli anni Ottanta, ribaltò, come sempre amava fare, le prospettive interpretative del testo denunciando una malinconica, impotente propensione al volo e dunque abiti che sottolineavano, già in quei corpi protesi ogni sera verso l’alto dopo un massacrante training, il senso immateriale dell’ascesa.
Chi ha collaborato con Lisa Ricca la racconta come donna e artista di pragmatico senso del lavoro ma capace anche di dare fuoco alle polveri di un’intuizione improvvisa: nacque così, forse festosamente, l’ambientazione del Feydeau di «Occupati d’Amelia» che era uno scrigno sproporzionato di femminile civetteria o così sbucarono fuori, torvamente, certi squarci di minacciosa cupezza o di sbilenca incompiutezza per autori come Sartre, Durrenmatt e lo stesso Perriera. La creazione dei costumi era poi un affastellarsi di stoffe, scampoli, pezze, ritagli, di fodere che l’artificio del teatro spacciava per taffetà, era spesso l’industriarsi, il fare di necessità virtù e, in questo, il fatto che Lisa fosse autodidatta era probabilmente un valore aggiunto, non c’era norma cui non si potesse derogare, stile che non si potesse camuffare in una citazione vaga e malandrina, accessorio che non potesse simulare qualcosa che fosse lontano dalla propria origine. Fatti salvi il rigore, l’impegno, la dedizione messi a servizio dell’immaginario, con passione.
Certo, ci si chiede, alla fine del percorso espositivo, se la grande donna non fosse stata sempre cooptata, con amore e complicità, dal grande uomo, se cioè si fosse messa al servizio di altre cause teatrali, cosa avrebbe ancora potuto fare e dare, tanto palese, quasi sfrontato, s’affaccia in questa mostra il suo talento. Ma poi guardi una foto di loro due, Michele e Lisa, una foto estiva, una vita intera insieme, sorridenti, sodali, come sbeffeggiassero il mondo, lui in polo, lei con un copricostume e ti rendi conto che, nella vita e nell’arte, Lisa fu comunque ricca di nome e di fatto.
Lisa Ricca. Costumi e scenografie
Museo del Disegno, via Mogia 8, Palermo
Fino al 4 dicembre
Dal giovedì al sabato (dalle 17.30 alle 21.30) solo per appuntamento (cell 324 6930846 / 338 8544404). Previo presentazione Green Pass, mascherina obbligatoria.