Sarebbe fin troppo facile accostare la richiesta d’impeachment pronunciata da Di Maio nel maggio 2018 contro Mattarella, e il lancio d’agenzia di un paio di giorni fa, col tentativo dei Cinque Stelle di farne il candidato di bandiera al prossimo valzer del Quirinale. D’altronde sono passati quattro anni, e il Ministro degli Esteri ha detto più volte di essersi sbagliato. Ma il filo della narrazione stravagante del MoVimento non s’è mai interrotto. Ne è prova la girandola di dichiarazioni – compresa quella del gruppo al Senato, favorevole al Mattarella-bis – che sta alimentando le giornate di Giuseppe Conte. Quello che qualcuno (Dino Giarrusso) definisce “il premier migliore degli ultimi 30 anni”. In realtà Giuseppi è in grande imbarazzo e non riesce a tenere le redini. Anche in Sicilia, in realtà, dove proprio l’ex Iena gli ha tirato un brutto scherzo dichiarandosi disponibile a candidarsi per il dopo Musumeci. Alimentando una baruffa di cui nessuno avvertiva l’esigenza.
A Conte dice male. Servirebbe un bel Dpcm – come ai tempi di Palazzo Chigi – per stoppare le fughe in avanti e richiamare tutti all’ordine. Non che da parte sua arrivino segnali di chiarezza: fino a qualche giorno fa, infatti, il capo politico dei Cinque Stelle ha proposto una donna al Colle. Senza parlarne prima con Letta e con Speranza, cosa che aveva promesso di fare. E calpestando le recenti uscite sull’affidabilità di Draghi. Il marasma è dettato dal fatto che un trasferimento dell’attuale premier al Quirinale riproporrebbe come tema del giorno le elezioni anticipate. Ed è risaputo che al cospetto di una riforma costituzionale voluta dai Cinque Stelle (con la riduzione dei posti in parlamento) e dei sondaggi poco ammiccanti, molti dei deputati e senatori in carica rischierebbero il confino (politico). Da qui la diffidenza, al limite dell’indisciplina, da parte dei gruppi. La richiesta di compattezza pronunciata a più riprese da Conte deve fare i conti con questa diffidenza nei suoi confronti, che nemmeno i suoi cinque vice riescono a tenere a bada.
L’altra partita aperta, che riguarda anche la Sicilia, è l’individuazione dei referenti regionali. La nomina di Giuseppi era attesa per lo scorso ottobre, all’indomani delle elezioni Amministrative dove i Cinque Stelle sono riusciti a difendersi grazie agli accordi locali col Pd e con la sinistra. Ma questa nomina non è mai arrivata. E ciò, di fatto, rende quasi impossibile stabilire le mosse future: a partire dal metodo per la scelta del candidato d’area a Palermo, dove in primavera si vota. Al Partito Democratico manca un interlocutore diretto, mentre le riunioni allargate rischiano soltanto di generare confusione. Così ognuno si sente legittimato a fare ciò che vuole. Ne è prova l’uscita (innocente?) di Dino Giarrusso in tivù, dove ha manifestato la propria disponibilità a partecipare alle primarie di coalizione, e di conseguenza a correre per la presidenza della Regione. Una dichiarazione che ha infranto la cortina di ferro dietro alla quale si rifugia il ‘campo largo’ di sinistra, che in questi mesi ha fatto di tutto per trovare un diversivo (le agorà democratiche, ad esempio) e rallentare le operazioni.
Giarrusso, però, si sente perfettamente legittimato a fare quel che ha fatto, sebbene da parte degli stati generali del MoVimento sia arrivata una stroncatura. L’iniziativa dell’ex Iena è stata bollata come del tutto “personale”. “Forse qualcuno era distratto ha replicato l’europarlamentare su Repubblica -, perché nel M5S già due esponenti hanno già annunciato la loro candidatura: i deputati Sunseri e Di Paola. Non avendo sentito alcuna remora su Sunseri e Di Paola, non vedo perché dovrebbero essercene sul mio conto”. Il metodo c’è ma non si vede. In effetti sia Sunseri che Di Paola, in tempi non sospetti, si erano fatti avanti. Ma solo in seguito a un incontro del gruppo parlamentare dell’Ars, in cui la domanda era uguale per tutti: chi se la sente di correre per palazzo d’Orleans? Giarrusso, che nel gruppo parlamentare vanta pochi amici, invece s’è mosso da solo. Anche se la sua fama televisiva lo precede e, nonostante gli ostacoli posti lungo il percorso, s’era aggiudicato un seggio a Strasburgo quasi in ciabatte (con 116 mila preferenze, primo degli eletti).
Un’altra questione, che potrebbe riproporsi nel caso in cui l’autocandidatura vada in porto, riguarda l’opportunità politica di abbandonare una carica elettiva per occuparne un’altra (mal che vada, da parlamentare regionale). Anche qui, sfuggito al controllo del MoVimento, c’è il precedente di Giancarlo Cancelleri, che abbandonò Sala d’Ercole per trasferirsi al Ministero delle Infrastrutture col primo governo Conte. Una ‘violazione’ procedurale che potrebbe riproporsi. E che all’epoca, per inciso, fu proprio Giarrusso il primo a contestare. Ecco: nell’assenza delle regole è più facile sguazzare. Ed anche litigare. Cosa che al M5s siciliano è successo più volte nel corso di questa legislatura in Sicilia. Lo smottamento più serio ha riguardato la fuoriuscita di cinque deputati, fra cui la neo moglie dell’assessore Razza, Elena Pagana, e il loro transito dai banchi dell’opposizione a quelli della maggioranza. Oggi Attiva Sicilia è la stampella privilegiata del governo Musumeci. La spaccatura venne sancita proprio dopo l’addio di Cancelleri, per l’elezione del vicepresidente dell’Assemblea: mentre il gruppo, assieme al Pd, si era espresso per Francesco Cappello, dall’urna saltò fuori il nome di Angela Foti, che oggi, per l’appunto, si è sganciata dai grillini.
Corsi e ricorsi storici. Frizioni e furori che negli ultimi mesi si è faticato a controllare. Anche se adesso l’indicazione unanime del nuovo capogruppo, Nuccio Di Paola (molto vicino a Cancelleri), sembra aver ristabilito la pax. Almeno a palazzo dei Normanni e sulle scelte che riguardano il futuro della legislatura. Ma i prossimi banchi di prova, le Amministrative di Palermo e le Regionali, potrebbero provocare nuovi tumulti. A partire dalla scelta di “un” metodo. Di Paola, per esempio, è sempre stato contrario a quello delle primarie, preferendo consultazioni più intime coi territori. Per questo ha fondato l’iniziativa ‘Voci in Movimento’. Un continuo peregrinare nelle province per ascoltare i cittadini e raccogliere le loro proposte. Da cui – si spera – verrà fuori anche l’indicazione “naturale” di un candidato. Anche Giampiero Trizzino, che resta l’ipotesi più credibile di candidato sindaco a Palermo, considera le primarie il piano-B: meglio se a pronunciarsi sul nome (unitario) sia la politica, cioè i partiti. Sunseri, invece, s’è detto possibilista.
Ogni posizione è legittima. Ciò che manca, però, è una chiara indicazione dall’alto. Non per impartire un ordine. Ma per indicare qualcuno che si occupi di coordinare una strategia. Conte non ha ancora stabilito il nome del prossimo referente regionale. Cancelleri ha perso quota dopo aver ipotizzato l’allargamento del perimetro fino a Forza Italia (poi l’ipotesi è stata ritrattata) e sarebbe pronto a rinunciare al ruolo pur di (ri)avere l’opportunità di scalare palazzo d’Orleans; le opzioni Barbara Floridia (attuale sottosegretario all’Istruzione) e Lucia Azzolina non hanno mai convinto; rimarrebbe l’ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, la madrina del Reddito di cittadinanza, quasi nel ruolo di garante. Ma c’è anche l’ipotesi, riportata da Mario Barresi su ‘La Sicilia’, che Giuseppi individui i nove coordinatori provinciali, e che siano poi loro a votarsi un rappresentante. Sarebbe una presenza meno ingombrante e più “annacquata”.
Il sogno di tutti, comunque, è che sia lo stesso Conte, dopo i comizi benauguranti dello scorso autunno e il sollievo per i risultati ottenuti, a interessarsi alla partita. E di scendere in Sicilia, oltre che per trovare un accordo con Letta e il Pd, per ricucire un tessuto lacerato, che risente della mancanza di un leader, di regole certe, di meetup abbandonati. Anche nell’Isola, secondo gli ultimi sondaggi, i Cinque Stelle hanno perso appeal. Ma siamo la seconda regione per percettori del Reddito di cittadinanza. La patria dell’assistenzialismo sfrenato. E questo torna sempre utile ai post-grillini. Sempre che non si riscoprano schegge impazzite, la cui ambizioni personali potrebbero cancellare il resto. Compresa la loro presenza sulla scena politica.