Nei conti di Forza Italia qualcosa non torna: i tre assessorati regionali attribuiti al partito, in realtà non sono altro che uno specchietto per le allodole. La figura politica è soltanto una, si chiama Edy Tamajo. Che oltre a detenere la delega multimilionaria alle Attività produttive, è anche il “garante” di Daniela Faraoni, che ieri s’è ufficialmente insediata a piazza Ottavio Ziino. O almeno lo era alla vigilia delle nomine dello scorso anno, da cui la manager era uscita rafforzata (con la riconferma all’Asp di Palermo). Nemmeno i beninformati, in queste ore, hanno fatto chiarezza sul rapporto fra i due, e così qualche sospetto sorge: la Faraoni, infatti, è molto vicina al leghista Luca Sammartino, ma se Schifani avesse deciso di attribuire un terzo assessore alla Lega, anziché al proprio partito, sarebbe scoppiato il putiferio. Cosa che non è accaduta.
Al netto della minaccia di revoca pendente sulla testa di Marcello Caruso, infatti, i murati vivi di FI non si scompongono più di tanto. E’ la cifra distintiva del loro operato. Anche se, a dirla tutta, le quotazioni di Tamajo all’interno dello schieramento azzurro è un po’ in flessione. Al netto dei fedelissimi – vedi Gaspare Vitrano – in Forza Italia non ci si fida l’uno dell’altro. A maggior ragione di un assessore con pieni poteri che, col passare dei mesi, sembra poter piegare in qualsiasi momento il frutto e i benefici di un incarico così potente, alle proprie ambizioni politiche. Tamajo nega fermamente di voler succedere a Schifani a Palazzo d’Orleans, e quella volta che un suo messaggio (innocente?) fu intercettato dagli uomini del presidente, scoppiò un putiferio. Quindi ha smesso di parlarne, lasciando che il rapporto fra i due, sbandierato pure a Mondello lo scorso 8 gennaio per un incontro d’auguri, prendesse il sopravvento sui rumors.
Resta il fatto che Tamajo, strategia o meno, si sta guadagnando sul campo i galloni per una candidatura alla presidenza. L’altro giorno, al tavolo che riuniva lo stato maggiore etneo di Forza Italia (compresa qualche new entry come il sindaco di Ragusa), era presente Totò Cardinale. Cioè il regista dell’operazione Sicilia Futura che, all’epoca, portò Tamajo sul palcoscenico regionale. I due non si sono mai mollati, come l’allievo e il maestro. E agiscono ancora in simbiosi: per depistare i giornalisti, all’indomani dell’affermazione alle Europee (121 mila voti che pesano come macigni) Cardinale in un’intervista suggerì a Tamajo di non andare in Europa, smentendo al tempo stesso l’interesse per la poltrona da assessore alla Salute.
Con Schifani i rapporti diventarono di colpo tesi, ma alla fine, da buon gregario, il ras di Mondello ha preferito rimanere in attesa. E giocare le proprie carte su un altro terreno: la conquista del consenso. Iniziative su iniziative, fondi a dismisura, migliaia di imprese ai suoi piedi. E, ultimamente, la svolta legalitaria (è stato a Lascari per inaugurare un murale in memoria nel piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido da Brusca). Tamajo è stato bravissimo a coltivare dei rapporti che si spingessero fin sotto Palermo, e pazienza per qualche brandello rimasto in giro: vedi la lite con il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè o i dissapori con Ottavio Zacco (il suo ex scudiero) al comune di Palermo (dove il padre fa l’assessore). Tamajo – contemporaneamente – è a fianco degli “esercizi di vicinato”, delle start up, dei lavoratori di Almaviva, dei ceramisti di Caltagirone. Presenta misure per l’internazionalizzazione, si batte contro il racket. Spartisce milioni attraverso l’Irfis, tutela l’occupazione nelle fabbriche. E’ l’uomo ovunque. Prezzemolino.
Ha imparato a fare politica dalle retrovie e prosegue la sua esperienza fra la gente, facendosi immortalare di sovente tra autentici bagni di folla. In quello che fa è il più bravo, con distacco. E può contare su un seguito attestato dalle centinaia di migliaia di preferenze (anche se non averle capitalizzate può essergli costato un credito di fiducia coi suoi elettori). Il suo motto potrebbe essere Make Sicilia Great Again, come un piccolo Trump de noantri. Sempre dalla parte degli imprenditori e del profitto. Oppure chiamatelo sviluppo. Non avrà al fianco Elon Musk, ma non gli mancherà mai un Dragotto. A differenza di Galvagno, che aspetta la venuta di La Russa per farsi consacrare (candidato presidente), Tamajo avrebbe già le carte in regola per provarci. E riuscirci.
Qualcuno gli imputa la breve militanza in Forza Italia, cioè lo stesso partito che – dopo la lite con Mulè – aveva deciso di sospenderlo per una ventina di giorni, salvo poi “graziarlo”. E in effetti non è troppo distante dalla verità… L’opa sul partito, dopo l’esperienza di sinistra e fra i renziani (il suo primo approdo fra gli azzurri fu figlio di un accordo fra Renzi e Micciché), è arrivata a suon di voti. E oggi l’assessore Edy non potrebbe mai risiedere altrove. Forza Italia, anche grazie al suo potenziale, nelle urne ha ricevuto il 24% delle preferenze e si appresta a dare le carte in tema di nomine e sottogoverno. Non sarà stato lui ad aver indicato direttamente la Faraoni, ma scegliendola sanno, quanto meno, di non avergli fatto un torto. Il cugino era fra i 49 ‘comandati’ all’assessorato alla Salute e all’Economia, prima che Schifani facesse saltare il banco. Non di solo pane vive l’uomo. Anche di voti.