Un’altra spy story legata a questo “governo del fare”, che ha trovato il tempo per pubblicizzare i propri successi con un investimento da 700 mila euro (e uno spot di 30 secondi sulle tv nazionali) a valere sul PO FESR, è senz’altro la legge sui rifiuti. L’incompiuta numero uno per Musumeci, che proprio qualche giorno fa a Catania, durante le Giornate dell’Energia, s’è attribuito il merito di aver condotto 167 comuni siciliani, nel 2020, a raggiungere il 65% di raccolta differenziata (ma la media regionale è del 42). E ha promesso un ulteriore investimento da 15 milioni in termini di premialità.
Parlando di rifiuti, però, non si può certo omettere che questa legislatura, giunta ormai agli sgoccioli, presenta un vulnus evidente alla voce monnezza. Il ddl sui rifiuti, che avrebbe dovuto riorganizzare la governance, è infatti collassato alla prova dell’aula. Raso al suolo, nel novembre 2019, dal voto segreto e mai più ripresentato. E’ una delle molteplici sfaccettature di un’emergenza che attanaglia la Sicilia da anni. E per la quale Musumeci aveva preteso e ottenuto il ruolo di commissario (che lui stesso, però, definirà “dimezzato”). L’unico strumento messo in campo dalla Regione per gestire l’emergenza è stata la concessione di rinnovi o ampliamenti alle maggiori discariche private dell’Isola: quella di Misterbianco, gestita dalla Oikos, s’è vista rinnovare l’autorizzazione ambientale per dieci anni (nonostante le inchieste che riguardavano il suo ex patron, Mimmo Proto); quella della Sicula Trasporti, a Lentini, ha beneficiato di un ampliamento pari a 1,8 milioni di metri cubi (con la famiglia Leonardi coinvolta in una pesantissima inchiesta giudiziaria).
Ma torniamo ai fatti: il 6 novembre 2019, Sala d’Ercole boccia con 30 voti favorevoli e 29 contrari l’articolo 1 della legge di riforma. Musumeci perde letteralmente le staffe e si esibisce in un attacco frontale al parlamento. Un discorso paragonabile, per astio, solo alla sfuriata che seguì la votazione sui grandi elettori del gennaio scorso, quando il governatore finì terzo nella speciale classifica: “Onestà. Onestà. Onestà – fu l’urlo di Musumeci -. Onestà è quando un deputato sa metterci la faccia anche dopo essersi pentito. E non si nasconde dietro il voto segreto. Sia i deputati della coalizione che quelli della maggioranza hanno mostrato pavidità, cinismo e mancanza di coraggio. Adesso, fuori dal palazzo, chi dirà grazie per questo stop sulla legge dei rifiuti? Chi abbiamo fatto contento, onorevole Fava? Chi vuole bloccare questo disegno di legge?”. Il riferimento al presidente della commissione Antimafia non cadde nel vuoto: “Credo che siamo di fronte a un equivoco madornale – fu la replica di Fava – Questo disegno di legge riguarda la governance e l’organizzazione complessiva. Ma ciò che può determinare la pulizia o meno delle nostre strade è un piano dei rifiuti che non c’è, che aspettiamo da due anni e non è ancora arrivato all’esame di quest’aula. Ed è l’assenza del piano dei rifiuti che ha permesso ai privati una condizione di monopolio”.
Il piano dei rifiuti, dopo un iter tortuoso fra Ministero dell’Ambiente (dove ai tecnici venne contestato pure l’utilizzo dell’italiano) e Cga, fu adottato molto tempo dopo: nell’aprile 2021. Ed è stato (in parte) disatteso dalla Regione quando Musumeci, assieme ai suoi uffici, ha scelto di procedere con un bando per la realizzazione di due termovalorizzatori che dovrebbero sorgere – chissà quando – nei due lembi di Sicilia. La procedura è entrata nel vivo con l’apertura delle buste che hanno confermato l’interesse di sette società (private ovviamente). Sintomo del caos che sulla materia è stato alimentato, fra l’altro, dalla sostituzione in corsa dell’ex assessore Alberto Pierobon, che aveva provveduto a redigerlo. Al netto di questa parentesi, però, la legge sui rifiuti non ha più fatto passi avanti. Nonostante l’apparente intenzione della maggioranza di modificare alcuni articoli e riproporli all’attenzione dell’aula prima della scadenza del mandato.
Se ciò non è avvenuto, è questione di metodo ma anche di merito. Di metodo, nel senso che poche delle proposte avanzate dal governo in questa legislatura hanno trovato il coinvolgimento del parlamento. Ma non è questo il caso della legge sui rifiuti, che è stata discussa innumerevoli volte in commissione Territorio e Ambiente. Di fronte alla proposta, però, la maggioranza non ha retto alla prova dei numeri. Si è disintegrata. Come confermato non molto tempo fa da Gianfranco Miccichè, che di fronte alle solite provocazioni di Musumeci (“In un anno abbiamo preparato il ddl, lo abbiamo presentato al parlamento, ma lì nessuno vuole discuterlo”) ha risposto a tono: “Se è lì da tre anni – ha spiegato il presidente dell’Ars – è perché fa schifo, appena viene portata in aula è bocciata da tutti”. Una tesi avvalorata da pezzi nutriti delle opposizioni, a partire dal Cinque Stelle Giampiero Trizzino: “Quella di Musumeci è una proposta irricevibile, che non aiuta la crisi e soprattutto non aiuta i Comuni, che si trovano sommersi dai rifiuti e da spese esorbitanti da sostenere per spedirli fuori dai loro territori. D’altronde anche la Corte dei Conti, in passato, ha condannato la divisione provinciale degli ambiti territoriali, fortemente voluta da Musumeci. Per non parlare del fatto che una riforma così gravosa, ad un anno dalle elezioni e con i fondi del PNRR da spendere, è un rischio che la Sicilia non può correre”. Archiviata per sempre, a quanto pare.
L’unica ipotesi alternativa prospettata da Trizzino e delle associazioni ambientaliste “è modificare l’attuale legge (la n.9 del 2010) e correggere gli errori più eclatanti: intanto accelerando i processi di gara per la realizzazione degli impianti, e poi facendo confluire la gestione delle liquidazioni delle ex Ato presso un organismo unico che già esiste (l’ufficio speciale per la chiusura delle liquidazioni istituito presso l’assessorato all’Economia, ndr)”. Anche Fava è sempre stato sulla stessa lunghezza d’onda: “Oltre che dannosa, la riforma è inutile perché fa proliferare i centri di spesa. Si va verso ambiti provinciali che sono i meno adatti alla gestione del processo di smaltimento, ma soprattutto si ritiene di intaccare il malessere complessivo che ha governato il sistema dei rifiuti attraverso un intervento di maquillage sulla governance. Quello che manca è un’idea strutturale che modifichi questo sistema: cioè investire sull’impiantistica pubblica e togliere una significativa quota di fatturato che i privati gestiscono in condizione di monopolio. Questo non è accaduto perché probabilmente non c’è interesse da punto di vista della tenuta del consenso a intaccare alcuni diritti consolidati”.
La legge è stata bocciata e ri-bocciata a più riprese. E non finirà, probabilmente, sul libricino illustrato di Musumeci con le riforme più importanti del suo quinquennio: da quella sull’Urbanistica a quella sui Marina resort, passando per la Pesca e il diritto allo Studio. Niente di altisonante, va da sé. La brochure delle buone intenzioni – erano previste le riforme sui Forestali, sui Consorzi di Bonifica, sulla Pubblica amministrazione, sul Turismo – è rimasta nel taschino della giacca. Fra il timore di sbattere sul voto segreto e le mille incombenze del Covid (un alibi buono per tutte le stagioni), il governo s’è arreso quasi subito. L’unico primato sulla monnezza che davvero appartiene alla Sicilia è il costo della Tari: 386 euro a famiglia, il più alto d’Italia. L’unica soluzione, in attesa dei termovalorizzatori (e che scoppi l’ennesima emergenza), è portare i rifiuti all’estero. Una strategia, a lungo annunciata e accantonata, che farebbe lievitare i costi. Ancora.