Non è la battuta dell’assessore alla cultura del Comune di Palermo Adham M. Darawsha sulle armi da comprare col reddito di cittadinanza che mi suscita una riflessione urente. Del resto le polemiche per quelle parole in libertà arrivano proprio da una componente politica che con le battute ha fatto fortuna. Da quelle del suo fondatore Grillo (“Vecchia puttana” alla Montalcini o le schifezze assortite contro gli autistici) a quelle di Di Battista (che diede del mafioso a Civati o che disse che con un terrorista bisognerebbe discutere senza considerarlo disumano), il Movimento 5 Stelle ci ha insegnato a ridere per non piangere e viceversa. Fatta salva la libertà di Darawsha di sbagliare e di pagarne le conseguenze – ormai gli amministratori pubblici hanno il diritto di sparare minchiate sui social esattamente come i loro concittadini – c’è una coda fastidiosamente grottesca in questa vicenda. Ed è quella che riguarda la pelosa ilarità di chi sfotte l’assessore non per il contenuto del post, ma per un errore grammaticale (… gli armi da fuoco…). Ne sto leggendo di tutti i colori qui e altrove e mi piacerebbe che chi sproloquia sullo svarione, lo facesse magari in una delle quattro lingue che Darawsha parla perfettamente. Perché come dice un vecchio detto, prima di criticare qualcuno fai un miglio con le sue scarpe. Così, per dire.
Gery Palazzotto per Il Foglio
in La lettera scarlatta
L’ilarità fuori luogo di una certa gentuzza
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