Domandare «che cosa rende un uomo migliore?» è un’ abitudine neoconsevatrice. Qualcuno, per esempio, risponde “la lettura”: come indica la voce del manifesto-sermone di “Una marina di libri”, per cui «un uomo che legge ne vale due». Questa ingenuità rinnova il tentativo di giudicare la lettura col metro di un presunto valore sociale. Ma è fatale che per una via simile si approdi a uno strano regno marxista delle nuvole, dove si spolverano i più retrivi fantasmi della Letteratura come strumento di utilità sociale, per collocare la dimensione morale della vita su un piano più alto. Mito radical della funzione correttiva della cultura, è l’idea che diventiamo ciò che leggiamo (strano pensare alla cultura come un trattamento terapeutico normalizzatore, che con qualche buffetto ci rende cittadini migliori).
Intanto, libri sempre più intrecciati alle promenades mangerecce. Per chi gradisse il genere torte della nonna, commissari, raccontini rosa-shopping, l’esordiente complicato, non c’è niente di più funzionale di un festival libraio. Una marina di libri o libri marinati? Sono tempi andati quelli in cui le considerazioni sulla letteratura erano critiche e saggistiche hard-boiled, e non cronachetta quantitativa e passacarte, rosa e soft. Suona l’ora del Masscult, a metà strada tra un barbiturico e uno scandalo, delegata a trattare con giornalisti e tenutari di rubriche letterarie: arrivano i festival del libro, in regime di immensa produttività e presenzialismo vasto. E tra gazebi di grevi e supponenti dettami scolastici, ideologici o addirittura pratici, con effetti e risultati (per lo più) da arrossire, si fa una passeggiata lungo tendoni di nuove promesse, stand di venerati maestri e bancarelle di soliti stronzi, accontentando “grandi e piccini” come le merendine.
C’è cibo per ognuno in questi appuntamenti all you can eat, così esclusivi ma alla portata di tutti: conformismi neorealistici, indulgenze corrive per le infanzie e le minestrine familiari grulle, narrativa che intrattiene sia l’accademico in feluca e ciabatte che “signora mia”, riraccontando sotto l’ombrellone il déjà entendu. Intimismi delle famigliuole dove ognuno si perde fra il divano-letto e l’angolo-cottura, antichi sapori e umori caserecci. Impegnata denuncia e protesta civile e sociale, e mineraria e agricola, disturbi&crucci di perdenti in crisi lungo microcosmi appartati e schivi, presa di coscienza sotto forma di intriganti provocazioni da “vaff” engagé, per portare avanti l’annoso ‘dibbattito’ e la vexata questio. E tanti dialoghi tra cattedre e sedie che si ripetono reciprocamente “come acutamente osserva il suo intelligente volumetto”. Presentazioni di libri multicolor: prosa oratoria e lutulenta o casereccia e marpiona? L’uno e l’altro, grazie! Preferibilmente in stile ‘fattuale’ da New York Times. Solo così si raggiungeranno le edicole degli aeroporti e gli ombrelloni con una lettrice sotto.