La lunga lotta per la sopravvivenza è appena cominciata. In Sicilia, dove un cittadino su quattro è povero (il 26% della popolazione, secondo l’Istat), il Coronavirus è un pugno nello stomaco. E laddove l’emergenza non assume i tratti tipici del dramma – come nel caso degli “invisibili” – fa emergere tutta la preoccupazione per un futuro incerto, a tratti lugubre, per tante categorie di lavoratori. E’ appena cominciata la conta dei danni: coinvolge tantissimi settori che in questi, giorni, al netto delle risposte del governo nazionale (un decreto da 25 miliardi, che pare poca roba), sta cercando una sponda anche alla Regione. Nel biennio 2020-21, l’agenzia di valutazione Cerved stima (in Italia) una perdita fra 2,8 e 3,8 milioni di posti di lavoro. In Sicilia sarebbero alcune centinaia di migliaia. Ma Palazzo d’Orleans non ha un motore tale da affievolire i morsi della fame, a causa di finanze risicatissime. Per di più con un Bilancio tutto da scrivere in cui, nonostante Roma abbia allargato un po’ i cordoni della borsa, non ci si può attendere investimenti dell’altro mondo.
A bussare alle porte di Musumeci & co. sono stati nelle ultime ore i rappresentanti della Fipe: si tratta della federazione italiana pubblici esercizi della Sicilia (affiliata a Confcommercio), cioè di coloro che si occupano di “somministrazione”. Ne fanno parte bar e ristoranti, ma anche pub e discoteche. Nella missiva indirizzata, fra gli altri, all’assessore all’Economia, Gaetano Armao, il presidente Dario Pistorio e il vicepresidente vicario, Antonio Cottone, chiedono interventi di natura emergenziale e straordinaria, come il blocco integrale di oneri e contribuzioni previdenziali e assistenziali, il ricorso alle banche con accessi facilitati o con rating meno rigidi e il riconoscimento dello stato di “calamità di pandemia” per poter fruire dei risarcimenti previsti dalle polizze assicurative. Il settore è rappresentato da 15 mila pubblici esercizi in tutta l’Isola, che danno lavoro (continuo e stagionale) che va dalle 90 alle 105 mila unità. Un esercito in marcia. Negli ultimi cinque anni il fatturato generale era cresciuto del 10%, e in quest’ambito si era registrato un picco di assunzioni. Sembra passata una vita.
I pubblici esercizi si sono detti d’accordo con la sanatoria degli assegni postdatati proposta dal governatore Musumeci (per impedire azioni di protesto e l’inserimento in blacklist, che pregiudicherebbero il rapporto con le banche), ma chiedono pure di poter pagare soltanto i consumi reali, annullando le voci attinenti al trasporto, all’energia, alle accise e all’Iva fino al 30 dicembre 2020. Il tempo di una boccata d’ossigeno. Oltre a una riduzione del 35-40% della contribuzione previdenziale sul lavoro subordinato, con la previsione di crediti d’imposta per eventuali nuove assunzioni, che oggi – diciamocela tutti – somigliano a un miraggio.
Bar e ristoranti, pizzerie e pasticcerie, sono – assieme alle attività turistico-ricettive – l’avamposto del terziario. Ma tutti gli operatori del turismo, in Sicilia, stanno vivendo una fase complicatissima. Secondo un recente studio di Demoskopica, la Sicilia non sarebbe tra le sei regioni che soffriranno maggiormente gli effetti del Covid-19 (in estate si prevedono 143 milioni di presenze in meno, e 18 miliardi praticamente bruciati). Eppure gli effetti erano già nefasti a una settimana dall’esplosione della pandemia: nella sola provincia di Palermo, la cancellazione del 90% delle prenotazioni, aveva determinato un danno economico per 5 milioni di euro. Le settimane successive sono ancora da contabilizzare. Ma tutte le attività – alberghiere ed extra alberghiere (case vacanze e B&B) – si trovano di fronte a un de profundis.
Tanto che la deputata regionale del Movimento 5 Stelle, Valentina Zafarana, ha chiesto al governo di intervenire con delle misure di sostegno: “La Regione Siciliana per il comparto turistico ricettivo risulta essere non pervenuta – ha detto l’onorevole grillina – La risposta del governo nazionale è stata tempestiva, sia sul fronte della prevenzione che sugli aiuti economici. Ma sappiamo benissimo che non saranno bastevoli a colmare il disastro di alcuni comparti, quali quello ricettivo, che per la Sicilia sono vitali. I cittadini conoscono bene le parole di certa politica che non perde occasione per definire il turismo in Sicilia quale occasione prioritaria di sviluppo ed economia, salvo poi non operare mai scelte concrete che vanno in tale direzione. Aldilà degli annunci di Musumeci e delle sue dirette social e televisive, non capiamo quali di questi strumenti la Regione stia mettendo in campo”. Bisogna attendere qualche giorno, il tempo di mettere in piedi una Finanziaria o qualcosa che gli somigli. L’unico provvedimento annunciato fin qui da palazzo d’Orleans riguarda i cento milioni per garantire agli indigenti l’assistenza alimentare. Per le imprese – esclusa la moratoria dei mutui con Irfis, Crias e Ircac – ancora nulla. L’orientamento è iniettare liquidità per 150 milioni di euro. Tempi e modi restano da stabilire. Gli operatori del turismo e dello spettacolo, inoltre, non potranno certamente bearsi dell’una tantum da 600 euro (al pari di tutte le partite Iva) promessa dal governo centrale.
La partita è più impegnativa di così. E riguarda pure un’altra carovana: i concessionari del demanio marittimo. Proprietari di chalet e stabilimenti balneari, che attendono la bella stagione per mettere su un po’ di quattrini. Mai come quest’anno, però il terreno appare arido. Giusto qualche mese fa l’Assemblea regionale, in seguito all’impegno dell’assessore Toto Cordaro, ha approvato la proroga delle 2.910 concessioni attuali fino al 2033. Antonello Firullo, rappresentante delle imprese balneari, ha subito rivendicato un’azione da parte del governo: “Noi, concessionari del demanio marittimo della Sicilia, che contribuiamo ogni anno agli introiti delle casse della Regione siciliana per milioni e milioni di euro, siamo quasi sull’orlo del baratro, del fallimento a causa dell’emergenza Coronavirus. Se non si fa nulla della nostra proposta, tra due mesi nel nostro settore ci saranno migliaia di disoccupati e 10 mila aziende che chiuderanno”.
La proposta complessiva prevede: cassa integrazione in deroga con pagamento diretto da parte dell’ Inps e senza alcuna anticipazione da parte delle aziende; premio per le aziende che non eseguono licenziamenti sotto forma di credito di imposta; no alla sospensione dei versamenti erariali e contributivi, ma nessuna contribuzione per sei mesi; indennizzo di 1000 euro per almeno sei mesi per i titolari di imprese; prestiti in conto corrente di euro 50 mila euro garantito dalla regione e senza interessi. E, last but not least, il congelamento del pagamento dei canoni demaniali al 15 settembre 2021 con possibilità di rateazione.
Soffrono pure teatri e intrattenimento. Il Coordinamento Ce.n.pro teatro e danza Sicilia, organismo che raccoglie i tre centri nazionali di produzione di teatro e danza riconosciuti dal Ministero dei Beni e delle attività culturali, Teatro Libero di Palermo, Il Teatro della Città di Catania e Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza di Catania, ha chiesto un “tavolo di crisi” alla solita Regione. “L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del virus Covid19 potrebbe cancellare tre importanti istituzioni storiche. Siamo in una situazione molto difficile, di fatto la stagione è finita, tuttavia i finanziamenti richiedono dei minimi di attività che il perdurare della chiusura non consentirà di rispettare. Chiediamo che vengano adottate misure straordinarie per mettere al riparo gli organismi storici e, finita la situazione di emergenza, di rilanciare l’attività di produzione e di programmazione che contraddistingue i tre Centri di produzione siciliani”.
I tre centri di produzione hanno all’attivo una densa attività: un complessivo di oltre 11.500 giornate lavorative, più di 460 giornate recitative di produzione, oltre 260 giornate di programmazione, attività di promozione del pubblico e di formazione su tutte le province della Regione. I loro bilanci complessivamente ammontano a poco meno di 3 milioni di euro. In Sicilia attualmente è tutto chiuso: alcuni stabili, come il Biondo di Palermo va avanti con l’attività in streaming: ma non è esattamente la stessa cosa. E gli introiti si sono azzerati anche per i cinema e gli organizzatori di eventi. Quelli che ci regalano un po’ di intrattenimento e rischiano di finire gambe all’aria.
Ma c’è un ultimo settore, che a livello nazionale dà lavoro a centomila persone, e solo nel Ragusano conta su centinaia di aziende. Si tratta del florovivaismo. La chiusura dei cimiteri e dei mercati rionali, la cancellazione di matrimoni e funerali, e la congiuntura di per sé disastrosa, ha portato i produttori di fiori al collasso. Interi raccolti sono finiti al macero e lo scenario è apocalittico. “E’ necessario un piano straordinario di salvataggio – hanno riferito i componenti del Movimento politico Sviluppo ibleo – per consentire a queste imprese di proseguire la propria attività visto che in molte non hanno più a disposizione neppure un centesimo per continuare”. La deputata regionale dei Cinque Stelle, Stefania Campo, ha fatto appello alla Regione per adottare “tutte le misure possibili a sostegno del comparto, anche dichiarando lo stato di calamità, affinché si possa consentire agli operatori del settore di beneficiare di moratorie su mutui, finanziamenti e pagamenti per le aziende, cassa integrazione per i lavoratori in deroga alle attuali regole, rinvio del pagamento dei contributi previdenziali e delle imposte, sostegno al reddito per i soci produttori delle cooperative. Chiediamo inoltre di garantire lo sblocco dei pagamenti dei contributi per le aziende florovivaistiche in graduatoria di Pif e Psr che hanno già sostenuto gli investimenti”. Prego, mettersi in coda. L’attesa è lunga.