L’Ente minerario dello scandalo

Alla saga dell’Ente Minerario siciliano, una società regionale in liquidazione da oltre vent’anni, ieri pomeriggio, all’Ars, si è aggiunto un capitolo grottesco. Che in parte rimedia – senza chiarire come – a uno scandalo ‘potenziale’ sollevato da Buttanissima. Sono ricomparsi, infatti, i 20 milioni di euro (diventati nel frattempo 23) che fino al 10 maggio scorso, con una nota alla presidenza dell’Assemblea, l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, dava per dispersi.

Ma riavvolgiamo il nastro. Si tratta del “tesoretto” individuato da alcuni parlamentari, dal dem Cracolici all’autonomista Di Mauro, che fanno parte del cosiddetto ‘riparto anticipato’ della liquidazione, che è prerogativa del commissario liquidatore dell’ente – l’attuale si chiama Anna Lo Cascio – versare in entrata al bilancio della Regione qualora, sulla base dei contenziosi pendenti, sia possibile farlo. All’Ems, la cui liquidazione è ormai in essere dal ‘99, di contenzioso aperto, secondo Cracolici, ne è rimasto soltanto uno. Le vicende dell’Ente minerario assumono una strana piega nel 2018, quando, con la delibera di giunta n.92, in assenza del governatore Musumeci, viene revocato l’incarico di commissario liquidatore alla prof. Rosalba Alessi. Senza un’apparente motivazione.

Nei corridoi della Regione del valzer da venti milioni (ma anche sul fatto che qualcuno potrebbe approfittarne) si vocifera da mesi. Nel corso dell’ultima discussione sulla Finanziaria, approvata due mesi e mezzo fa, questi soldi – certamente una bella cifra, date le ristrettezze delle casse regionali e la crisi di numerose categorie – non si trovano. Alla richiesta di chiarimento di alcuni parlamentari, l’assessore Armao, che dichiarava disponibilità per appena un milione di euro, si premura di organizzare un incontro con il ragioniere generale e con il commissario liquidatore per fare il punto della situazione. A seguito di quell’incontro, si legge nella nota di Armao, il liquidatore dichiara “l’indisponibilità dell’attivo della liquidazione in quanto ancora in corso di espletamento”. I soldi c’erano? Non c’erano? Boh.

L’11 maggio, il giorno dopo, il vicepresidente dell’Ars, Roberto Di Mauro, fa una richiesta di accesso agli atti, incrocia i dati con gli estratti conto bancari e, nel giro di qualche settimana, ottiene il responso: la Regione vanta nei confronti dell’Ems un credito di 27,64 milioni a titolo di liquidazione. “Cos’è cambiato in venti giorni?”, è il refrain che rimbalza dall’aula e dalla presidenza dell’Ars. Ma soprattutto, a Di Mauro, sorgono alcuni interrogativi: “O uno fra il ragioniere generale e il commissario liquidatore ha ingannato Armao, oppure è stato l’assessore, distratto, a tergiversare di fronte alle nostre osservazioni precise e dettagliate, assumendo fra l’altro un atteggiamento di sfottò”. Cracolici, che per giustificare la sorpresa cita l’uovo di Colombo, non crede però alla buona fede: “L’assessore Armao, in quest’aula, ha detto il falso. Il parlamento è stato schernito e ora dovrebbe rivoltarsi. Con quelle risorse avremmo potuto dare copertura a una serie di misure”. Anche il capogruppo di Forza Italia, Tommaso Calderone, ha puntato i piedi: “Perché i 20 milioni escono fuori soltanto adesso? Questo è un grave esempio di mala gestio. Le ipotesi sono due: negligenza o dolo”. A questa seconda ipotesi, con tutti gli avventurieri che si aggirano negli tra i corridoi degli assessorati, è meglio non pensare.

Armao ha fatto spallucce, ha balbettato e infine si è giustificato: “Il liquidatore avrà fatto i suoi approfondimenti. Era quello che io, facendo tesoro delle valutazioni sorte in quest’aula, avevo chiesto. E finalmente la cifra è stata formalizzata”. Ma c’è di più: dopo una ulteriore ricognizione il commissario liquidatore s’è deciso a sganciare altri tre milioni, per un totale di 23. Non verranno destinati all’Irfis e utilizzati per le Zes, come negli intendimenti di Armao: bensì per i cantieri scuola, per l’agricoltura e per una serie di contributi a pioggia.

Intanto è un sollievo per tutti che siano ricomparsi. Come la password dei server di Sicilia Patrimonio Immobiliare, ricordate? Quelli in cui, da una dozzina d’anni, erano contenuti i dati del censimento del patrimonio immobiliare della Regione, costato all’ente – che non ebbe mai l’opportunità di consultarlo – qualcosa come 110 milioni. Il codice fu magicamente recuperato da Armao e dai suoi uffici in seguito ad alcune segnalazioni parlamentari dei 5 Stelle. Ma una volta ottenuto l’accesso al database, ecco l’amara sorpresa: il censimento era inservibile. Restò la soddisfazione di aver scardinato il sistema. In questa Regione bisogna sempre scavare a fondo.

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