Donizetti torna a Palermo, e Palermo dopo a duecent’anni dalla sua fuga infamante, trova un’occasione di riscatto. Il compositore bergamasco, ancora ventottenne ma già pienamente talentuoso, nel 1825, finì per approdare a Palermo come maestro di cappella del teatro Carolino con uno stipendio di 45 ducati mensili. Era nato poverissimo in un tugurio interrato nel borgo Canale “ov’ombra di luce mai penetrò”, quinto figlio di un padre gretto, forse tessitore o forse sarto, che gli darà il tormento e cercherà di scoraggiarlo in ogni modo. All’inizio della sua vita nomadica era sbarcato a Roma, dove avrebbe conosciuto la futura moglie Virginia Vaselli, morta poi giovanissima di colera, e dove il suo maestro bavarese Johann Simon Mayr era riuscito a propinargli una prima scrittura come librettista al Teatro Apollo che lo consacrò con la Zoraide di Granata. Poi era sceso a Napoli, dove trionfava Rossini e dove firmò un contratto con l’impresario di quest’ultimo, il tremendo e abilissimo Domenico Barbaja. Da lì nominato a Palermo, resistette in Sicilia solo un anno, e nel marzo 1826 se ne fuggì a gambe levate per lo stato comatoso in cui versava il teatro, per il quale comunque tra mille difficoltà era riuscito allestire le opere di Rossini, Paisiello, Cimarosa e Spontini: disorganizzazione totale, disparità di trattamento, interpreti scadenti…
Oggi il panorama panormita per la lirica sembra un po’ diverso. In concomitanza con Manifesta 12, la biennale itinerante di arte contemporanea, il Teatro Massimo apre la stagione estiva non solo con la rappresentazione di un’opera africana, “Bintou Were a Shael Opera” la prima presentata in un teatro d’opera italiana, ma con un’edizione del capolavoro di Donizetti, “l’Elisir d’amore”, opera buffa in due atti su un libretto di Felice Romano tratto da quello che il francese Eugène Scribe aveva scritto appena l’anno prima per “Le Philtre” di Daniel Auber. L’opera, un melodramma gioioso, fu musicata a rotta di collo in soli quindici giorni per il Teatro della Canobbiana di Milano nel 1832. Donizetti, che scriveva musica come respirava, con un’estrema facilità, una straordinaria inventiva e sempre a ritmo fluviale, era sotto pressione, ma diede il meglio di sé, giocando su vari registri, il buffo, il patetico, il melanconico, la melodia gioiosa, le arie travolgenti che tutti conosciamo, come la cavatina di Nemorino, quant’è bella quant’è cara, o la romanza del secondo atto, una furtiva lacrima… Il giorno del debutto però fu in ambasce: “Il tenore è corretto, la prima donna ha una bella voce, ma è l’unica a capire cosa dire, il buffo è un cane”, notava disperato. Eppure, malgrado il pessimismo e l’ansia di prestazione di un genio dalla creatività inesauribile, ma forse già in balia del male che lo fiaccò e se lo portò via a soli cinquantadue anni, dopo lunga e tristissima demenza, vissuta in solitudine e in stato di perfetto abbandono in un ospedale di Ivry, nella periferia parigina, l’opera fu un successo trionfale: trentadue repliche nella prima stagione, traduzioni in 14 lingue, e rappresentazioni in 36 paesi nei trent’anni a seguire. Quattro anni dopo la prima milanese, l’Elisir venne messa in scena in inglese a New York, e da allora continua ad essere incessantemente in repertorio nei teatri lirici del mondo intero.
La novità di questa edizione proposta dal Massimo è l’apertura al pubblico. Sabato 16 giugno alle 20.30, sarà infatti possibile seguire in diretta, su un grande schermo in piazza Verdi, la prima dell’Elisir, pagando un biglietto al prezzo simbolico di un euro. Grazie al dinamismo di Oscar Pizzo, il Teatro Massimo mira così a dilatare la fruizione del melodramma, attraverso i prodigi della tecnologia digitale che permette di trasmettere in simultanea le immagini riprese da cinque telecamere puntante sul palcoscenico in Sala Grande. Cast di tutto rispetto, col soprano Laura Giordano nei panni di Adina, la bella fittavola capricciosa, il tenore Artuno Chacon Cruz in quelli del suo spasimante sempliciotto, Nemorino, Giuseppe Altomare canta nel ruolo del sergente Belcore, e il basso Giovanni Romeo interpreta il dottor Dulcamara, lo speziale venditore ambulante, che fornirà la miracolosa pozione. La regia è dello spagnolo Victor Garcia Sierra che si è ispirato al ciclo di Botero El Circo. A dirigere l’Orchestra e il Coro del Teatro Massimo sarà Alessandro d’Agostini. Riuscirà Palermo, capitale della cultura 2018, a farsi perdonare per la fuga di Donizetti nel 1826?