Prima il Reddito di Cittadinanza, che nel silenzio più assordante continua a seminare record: la truffa più recente, scoperta a Torino, riguarda 330 cittadini romeni che, assieme ad altri 630 beneficiari di altre nazionalità, hanno intascato indebitamente il sussidio per 6 milioni complessivi. Ma non c’è solo quello. L’ultima tegola che si abbatte sul sistema Italia, desideroso come non mai di superare la fase pandemica, è un’altra misura voluta e pensata dai Cinque Stelle: il Superbonus per le ristrutturazioni edili. “Quelli che oggi più tuonano sul Superbonus, che dicono che questi frodi non contano, che bisogna andare avanti lo stesso… beh, questi sono quelli che hanno scritto la legge e permesso di fare lavori senza controlli”, ha tuonato il premier Mario Draghi, restando sul generico. Anche se il mirino era ben posizionato sugli esponenti del governo giallorosa, quello precedente al suo, che aveva partorito una misura impossibile da controllare.
Senza entrare troppo nel tecnico, ma attenendoci ai numeri forniti l’altro giorno dal direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Ruffini in audizione parlamentare, circa un paio di miliardi di crediti d’imposta maturati col Superbonus e gli altri bonus edilizi sono già oggetto di sequestro da parte della magistratura. Un cortocircuito generato dalla possibilità di cedere più volte i crediti, generati grazie ai lavori di ristrutturazione e riqualificazione degli immobili, tra privati e a banche e intermediari finanziari. Il tutto senza sufficienti controlli a monte. Per porre un freno a questo stillicidio – una truffa “tra le più grandi che la Repubblica ha mai visto”, secondo il ministro dell’Economia, Daniele Franco – il governo Draghi ha deciso per un giro di vite a partire dal decreto Sostegni Ter che ha rafforzato i requisiti (visti di conformità e asseverazioni), mentre ha limitato a una sola volta la cedibilità del credito.
Il mercato edile, che aveva preso il volo (sono stati effettuati lavori per circa 35 miliardi relativi a 5 milioni di pratiche), ha subito una brusca frenata. A cui si pensa di rimediare con un altro emendamento. Nel frattempo, però, è inevitabile ribaltare la polemica sul piano politico. Tanto che il primo ad essere toccato nell’orgoglio dalle dichiarazioni di Draghi è il padrino del Superbonus, ossia l’ex ministro Riccardo Fraccaro: “Draghi sbaglia due volte: la prima perché fa di tutta un’erba un fascio confondendo il Superbonus con tutti gli altri bonus. La seconda perché riconduce tutte le truffe al solo Superbonus 110%. Come confermato dal ministro Franco le truffe sono quasi esclusivamente relative ad altri bonus. Alla luce di queste dichiarazioni viene meno ogni alibi. Il governo lavori subito per far ripartire i cantieri del Superbonus bloccato ormai da troppe settimane”. L’elemento nuovo, che la piaga del Reddito di cittadinanza non ha svelato fino in fondo, è il malcontento di Draghi per chi l’ha preceduto (e oggi sta con lui). Al di là di Fraccaro, sono stati Conte e l’ex ministro del Tesoro, oggi sindaco di Roma, Gualtieri ad avviare la stagione dei Bonus. Una spinta propulsiva necessaria in tempi di crisi, che però esigeva una maggiore cura dei dettagli e, magari, qualche controllo in più.
Ed è lì che viene fuori il vecchio difetto dei Cinque Stelle, una forza votata all’assistenzialismo e, talvolta, al superamento delle leggi. Non al mancato rispetto, per carità, di cui si rendono protagonisti solo i ‘furbetti’. E’ accaduto col Superbonus, e in maniera persino più capillare con il Reddito di cittadinanza: i grillini diranno che le truffe esercitate col sussidio di Stato valgono l’1% della spesa totale (dal 2020 la misura è costata al Bilancio dello Stato 15 miliardi). Ma è logico che in un sistema di larga manica e senza controlli a monte, sia molto più facile infiltrarsi. La Sicilia è un caso emblematico a livello nazionale, giacché ha offerto a boss e picciotti, o parenti di condannati di mafia con sentenza passata in giudicato (fattispecie che esclude categoricamente dal beneficio), di “ripulire” la propria immagine dietro lo scudo della card gialla. C’è anche un profilo etico da valutare. Oltre all’incapacità endemica di gestire uno strumento che nasce con le migliori intenzioni, ma si manifesta come una gara di furbizia, che per di più non incoraggia alla ricerca di un’occupazione e non riattiva – come invece dovrebbe – il mercato delle politiche attive del lavoro.
Draghi si era accorto anche di questo. Ma ha preferito sorvolare. Salvaguardare l’unità del governo, non disperdere un investimento (in parte) utile e anche molto esoso. Con l’ultima legge di Bilancio la misura è stata rinnovata fino al 2029 per 8,8 miliardi. Anche se, grazie all’Osservatorio della prof.ssa Saraceno presso il Ministero del Lavoro, si è prevista l’introduzione di alcune strettoie per impedire che il Rdc si trasformasse in una pratica di “divanismo” esagerata. Il sussidio, ad esempio, sarà revocato al secondo rifiuto di un’offerta di lavoro, mentre fino a oggi la revoca scattava al terzo. Inoltre, il Reddito di cittadinanza può essere anche perso in caso di assenza ingiustificata a uno dei colloqui mensili obbligatori presso i Centri per l’Impiego (in Sicilia hanno da poco impiattato un concorso per assumere 1.100 dipendenti), oppure in caso di mancata comunicazione dell’avvio di un’attività di impresa o di un lavoro autonomo. Dopo il primo rifiuto dato a un’offerta di lavoro congrua, il Reddito verrà ridotto di 5 euro ogni mese.
Cinque euro. Briciole rispetto a quanto avevano chiesto alcuni politici – da Renzi alla Meloni – che addirittura speravano di raccogliere le firme per indire un referendum abrogativo. Ma tutto è stato riposto nel cassetto perché, di fronte all’ipotesi di cancellare una misura populista come quella del Rdc – una pratica legalizzata di “voto di scambio”, secondo il fondatore di Italia Viva – il governo avrebbe rischiato di disintegrarsi. Draghi, che ha sempre tenuto il profilo basso nel suo rapporto coi partiti, che ha sempre martellato tutti sul governo di scopo e di unità, che ha preferito rigare dritto col lavoro e scartato le beghe a prescindere, sembra però rendersi conto che non tutti, nell’esecutivo dei migliori, meriterebbero di starci.
La tenuta della Sicilia è profondamente legata a queste due misure. E non a caso è una delle poche regioni italiane ancora in grado di offrire ai Cinque Stelle il salvagente di un consenso a due cifre. Per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza, è stato superato da tempo il traguardo dei 700 mila beneficiari, per un gettito complessivo (a novembre scorso) di 1,7 miliardi. Cioè due punti di Pil regionale. E’ la seconda regione italiana, dopo la Campania, per nuclei familiari percettori: il 18%. Ma anche grazie al Superbonus 110 e ai bonus edilizi, il numero delle imprese è aumentato di oltre 3 mila unità toccando quota 51 mila, con un incremento di oltre il 30% di posti di lavoro e di quasi il 40% delle masse salariali. Come ricorda il presidente di Sincindustria Gregory Bongiorno, però, il settore rischia il default per le nuove regole introdotte dal governo Draghi: “Una scelta che, seppur condivisibile nell’ottica di contrasto alle possibili frodi, cambia nuovamente le regole del gioco a partita iniziata, danneggiando migliaia di imprese oneste impegnate in interventi di riqualificazione energetica e sismica, che si troveranno costrette a rivedere le condizioni contrattuali con i propri committenti con il rischio concreto di contenziosi” avverte Bongiorno.
Ma non solo. Il rischio, per il leader di Sicindustria, è che tirando il freno a mano di un’auto in corsa ci si ribalta. “La limitazione prevista comporta, infatti, che le operazioni di cessione del credito d’imposta potranno essere effettuate unicamente da banche di grandi dimensioni con capienza fiscale adeguata, venendosi così a creare una pericolosa concentrazione del mercato con un inevitabile allungamento dei tempi di istruttoria e di erogazione, se non addirittura un aumento dei costi delle operazioni di cessione”. Più che un controllo ex ante sui beneficiari delle due misure, ne sarebbe servito uno su chi ha partorito delle misure così controverse. Che nella loro applicazione primaria, al netto dei correttivi introdotti, hanno manifestato una debolezza di fondo: il rispetto della legalità. Un chiaro controsenso per chi aveva fatto dell’onestà-tà-tà una questione di bandiera.