È il primo cantante populista a essere ingaggiato da un parroco, fischiato dal web e licenziato dal sindaco. Da Mirabella Imbaccari, in provincia di Catania, ci arriva l’ennesima storia di strapaese che rischia di illuminare il Paese, l’inseguimento all’artista colpevole di essere filo governativo e dunque razzista e poco umanitario.
Il giallo riguarda Povia, vincitore di Sanremo 2006, ultimamente noto per le sue posizioni “salviniane” e non più per le strofe della sua “Quando i bambini fanno oh”. Ebbene, l’artista milanese rischia di diventare l’eroe del governo gialloverde, il Dottor Zivago della canzone italiana grazie al sindaco della piccola Mirabella che prima lo ha invitato per poi ripensarci perché colpito dagli insulti, dai commenti del web che avevano bollato Povia come ospite sgradito.
Reclutato per animare la serata del 18 agosto, il giorno della Santa che dovrebbe mettere il buonumore al paese, Povia è stato dimissionato in tronco dal sindaco e senza neppure un reddito di dignità. Si tratta di Giovanni Ferro, un uomo di sinistra, che insieme a Don Marco ha creduto bene di affidare il palco al cantante, al punto da fargli mettere nero su bianco cifre e clausole; insomma un vero e proprio contratto che improvvisamente Ferro ha stracciato motivandolo con uno stravagante ammanco di cassa: «Ci spiace, ma non abbiamo il denaro per pagarti» gli avrebbe comunicato.
A spaventare il primo cittadino sarebbero in realtà stati alcuni commenti piovuti sul suo profilo Facebook (commenti che sono stati rimossi) e che avrebbero ricordato il passato di Povia, da un po’ di tempo considerato “fascista” anche dall’Anpi che si era già opposta a un suo concerto a Trezzano sul Naviglio. All’artista, che non ascoltiamo ma che viene voglia di difendere, vengono contestati testi come “Siamo italiani” (ritenuto un invito suprematista), “Vorrei avere il becco” e “Luca era gay”, strofe che avrebbero irritato la comunità Lgbt. Povia si è infatti meritato un’analisi del quotidiano “Il Manifesto” che ha setacciato la sua musica giungendo alla conclusione che si tratta di identitaria e vicina nei temi a Casa Pound.
A Mirabella, dove evidentemente “Il Manifesto” è poco letto, sindaco e parroco hanno creduto che la sua musica fosse la migliore per mettere insieme la piazza e non certo l’arco costituzionale. Si sono sbagliati. Aggredito a sinistra, dai suoi compagni, Ferro ha scoperto che il cantante avrebbe causato una crisi in consiglio comunale. Che ha fatto? Ha pensato bene di scaricare la colpa sul Don, che presiede la celebrazione e che avrebbe voce in capitolo sui fondi. Ha quindi telefonato a Povia facendogli sapere che il concerto, come il matrimonio del Manzoni, “non s’ha più da fare”. Peccato che la data era stata già inserita sul profilo Facebook del cantante a cui non è rimasto che denunciare tutto in un video che sta a metà tra Striscia la Notizia e la perfomance del dissidente cinese Ai Weiwei.
Povia ha mostrato infatti il contratto firmato e ingrandito la postilla che prevede, a spese dei cittadini di Mirabella, una penale in casi di questo genere. Tranquilli, Povia ha fatto sapere che non si rifarà sul comune di Mirabella. Gli è bastato mettere alla berlina il sindaco, il quale si è scusato adducendo perfino “la fuga del parroco all’estero” e quindi l’impossibilità di motivare con maggiori circostanze. In pratica, non ha avuto il coraggio di contestarlo politicamente ma ha preferito farfugliare qualche scusa. Siamo certi che il sindaco non volesse ostracizzare l’artista ma che forse, in questi tempi in cui bisogna tenere la schiena dritta e confutare le tesi complottiste, anti vacciniste, il primo a farsi irretire è stato proprio lui. Avrebbe potuto strappare Povia alla destra e farlo iscrivere a sinistra. Ecco, quello sarebbe stato un vero successo. Ha preferito invece darla vinta agli urlatori della tastiera. A loro, e al sindaco, dobbiamo pure questo. Hanno fatto diventare Povia più eversivo di Lou Reed.