Leader e partiti: queste le pagelle dopo il crack

Se si fa a chi ha vinto e a chi ha perso – un giochino non sempre intelligente – allo stato odierno dell’arte, in attesa di ciò che succederà dopo l’incarico a Draghi, al primo posto assoluto della strampalata gara che si è giocata per diverse settimane sulla pelle del Paese, in un campo chiuso, lontano ed estraneo al mondo reale, direi che il primo classificato in assoluto è Renzi. Il rottamatore, usando questa volta i mezzi più micidiali messi a punto magari nel corso della frequentazione con wahabbiti sauditi, dai quali sono venute le prime cinture esplosive, si è fatto saltare in aria insieme ai partiti che sostenevano Conte. Il senatore toscano può ben rivendicare il merito di aver accelerato il processo di frantumazione del Movimento cinque stelle, già di suo a buon punto, di avere bloccato il fantasioso progetto di un nuovo centro sinistra e di avere svelato la natura di “incompiuta di pregio” del Partito democratico e insieme, ma questo è stato proprio un gioco da bambini, di avere messo a nudo la insipienza del presidente del Consiglio e dei gruppi dirigenti dei partiti di maggioranza, che hanno agevolato l’operazione, riportando nel recinto comune, dopo avere cercato inutilmente di lasciarlo fuori dalla porta, il leader toscano-saudita, con l’idea magari di potere disinnescare l’esplosivo della cintura. Poi non si deve chiedere qual è il seguito a chi è specializzato nella rottamazione e nella deflagrazione; gli bastano il botto e le macerie. Il resto non lo riguarda.

Nel gioco a chi ha vinto, al secondo posto si classifica Berlusconi. Il povero – si fa per dire – uomo, asciugato quasi fino all’osso dei propri consensi, ridotto alla stregua di quei vecchi cantanti rimasti senza voce a calcare il palcoscenico, simulando gli acuti, è ancora oggi prigioniero di Capitan Uncino che lo tiene chiuso nella gabbia costruita con i fili inestricabili della legge elettorale e con il ricatto di portargli via molti dei suoi. Con Draghi, Berlusconi può liberarsi dalle catene e ritrovare una posizione più coerente con quella del Partito popolare europeo al quale, malgrado nei fatti sia stato quasi sempre lontano dalla moderazione e dalla misura, è rimasto legato.

Tra i vincitori c’è sicuramente Di Battista, il guerrigliero del raccordo anulare, che non ha mai accettato un movimento di governo, continuando a rimpiangere quello di lotta, quello del gesto un po’ dannunziano e un po’ burino. Di Battista avrà ciò che resta di quella formazione, anche con una percentuale ad una cifra che gli consentirà, comunque, di cogliere la protesta e il dissenso di quei cittadini che preferiscono manifestare, urlare i loro insulti agli avversari, proclamare la loro onestà e, così, esaurire la militanza civile e politica.

Ha pareggiato Salvini, con un partito che, da pedemontano, è arrivato all’Etna, e che per suicidio, ha ottenuto la frantumazione degli avversari, un risultato che non avrebbe mai raggiunto continuando ad urlare: “elezioni, elezioni!”. Ora però, se vuole rientrare nel gioco che conta, deve inghiottire l’Europa, imparare a compitare un manuale nuovo, con caratteri diversi da quelli che hanno disegnato lo sciovinismo, che gli hanno offerto le facili parole d’ordine per ottenere consensi, non certo utili per governare.

Un pareggio ha ottenuto anche la Meloni, che si trova nelle stesse condizioni del suo socio e che sarà costretta a rinviare l’incasso dei consensi elettorali, contentandosi di quelli dei sondaggi e prendendo atto che, cambiato l’inquilino della Casa Bianca, il sovranismo ha subito una bella batosta. Le due formazioni della destra, non dovendo necessariamente continuare ad alimentarsi di slogan, ma dovendo dare una mano al governo del presidente, avrebbero il tempo per trasformarsi in forze della destra europea e liberale e, così, acquisire in pieno i titoli per guidare un paese dell’occidente.

Ha perso il Partito Democratico, sempre alla ricerca di un’anima, come usa dirsi di una identità, di un progetto chiaro e nettamente alternativo alla destra, abbandonando la oscillante posizione tra la vocazione irresistibile al potere e la natura di una forza di sinistra che al potere va per realizzare programmi e valori definiti. Sarebbe una gran bella sorpresa se questi due anni di probabile astinenza il Pd li impiegasse per chiarire a se stesso cosa vuol fare, prendendo atto che non serve a nulla essere Chirone, metà uomo e metà cavallo, metà sinistra e metà indistinta e pasticciata “incompiuta”.

Ha perso in modo rovinoso il Movimento Cinque Stelle che, pur avendo i sette undicesimi della squadra in campo, non ha toccato palla, confermando di essere un corpaccione molle, dentro il quale si muovono senza regole e senza meta pulsioni personali e posizioni politiche contraddittorie. Ai tempi della prima repubblica la Democrazia Cristiana, con un numero analogo a quello dei cinque stelle di consensi e di parlamentari, rappresentava l’elemento di stabilizzazione del sistema, dava le carte, offriva spazi ai gruppi minori, attutiva i loro contrasti. Per un tempo minore e rimanendo lontano dalla misura e dalla qualità della classe dirigente democristiana, analogo è stato il ruolo di Forza Italia nel rapporto con i satelliti che attorno ad essa ruotavano e da essa ricevevano luce. Anziché elemento di equilibrio e di forza del sistema, in grado di farsi carico del governo del Paese e della soluzione dei problemi, fin dall’inizio, il Movimento Cinque Stelle è stato il vero problema.

Alla fine ha perso la politica, hanno perso i partiti, sui quali nel mondo si reggono tutte le democrazie e sui quali si dovrebbe reggere la nostra che, ahimè, se poggia su questi pilastri, non sta proprio bene.

Si può concludere in modo apparentemente contraddittorio e un po’ qualunquista? Il consenso diffuso per Draghi dice che forse quei partiti non stavano bene già prima dell’attacco kamikaze di Renzi, anche lui investito dalle macerie, e che un uomo di quel valore, anche per chi si ostina a credere alla politica e non ha molta fiducia nei tecnici chiamati a fare un mestiere che a loro non appartiene, può rappresentare una buona soluzione per fronteggiare l’emergenza pandemica, per spendere bene i soldi dell’Europa, dando il tempo alla politica, se saprà utilizzarlo, di trovare le motivazioni e la forza per tornare a svolgere il ruolo che le è proprio.

Vuoi vedere che, senza capirlo, Renzi ha centrato un buon risultato? Se fosse così, “sangu e latti”!

Calogero Pumilia :

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