La forza di un grande Paese si misura dalla capacità di non dimenticare nessuno, anche quando si ha a che fare con l’emergenza. E’ atteso per oggi il primo decreto che sblocca 12 miliardi di aiuti (sui 25 promessi) a famiglie e lavoratori per via dell’emergenza Coronavirus. E in queste ore – da un lato il ministro dell’Economia Gualtieri, dall’altro quello del Lavoro Catalfo – hanno illustrato alcune misure: dai voucher baby-sitter per i genitori che non possono rinunciare a recarsi in ufficio (c’è anche l’opzione del congedo parentale), all’estensione della cassa integrazione in deroga per le imprese, passando per un sostegno al reddito nei confronti dei lavoratori non coperti da Cig. Ma il rischio è lasciare fuori gli ultimi della classe, chi non gode di regolare contratto di lavoro, chi si arrangia.
Qualche giorno fa il sindaco di Roma, Virginia Raggi, è stata derisa per aver detto, nel corso di un’intervista, che era dispiaciuta per i lavoratori “che stanno facendo un lavoro in nero e si sono ritrovati senza”. Detta così – in effetti – somiglia a una gaffe. Ma la sindaca, per una volta, ci aveva visto giusto. Se provaste per un attimo a non considerare il lavoratore in nero come un reietto o un parassita, vi accorgereste che sono tanti gli italiani meno fortunati. Quelli che – al netto dei “furbi” – si arrabattano, che decidono di sfidare la sorte pur essendo avanti con l’età, che non sono mai riusciti a ottenere protezione e garanzie dallo Stato. O un lavoro per cui valga la pena sottostare alle regole e pagare i contributi. Ce ne sono tanti, tantissimi, e non per forza furfanti.
Tra le vittime invisibili del Coronavirus, inoltre, ci sono tantissime categorie a norma: di recente è stata imposta la chiusura a centri estetici e parrucchieri, perché è impossibile rispettare la distanza di sicurezza di un metro quando esegui un’acconciatura o uno smalto. Sono tanti i professionisti in quest’ambito, e quasi sempre bistrattati. Ora, pur dedicandosi alla cura del corpo, sono stati costretti a chiudere. E sarà importante capire come verranno risarciti. Molti di essi, partiti da una condizione di piccoli imprenditori, hanno assunto, creato lavoro, dato il pane a single e giovani coppie. Ma senza un ritorno in cassa, come faranno a garantire un mese o due di stipendio ai dipendenti?
Per capire come il lavoro si stia disgregando, e rinunciare all’idea che fra un paio di settimane sarà tutto come prima, basta fare un giro nei negozi del bisogno: a ferramenta e idraulici è stato detto di rimanere aperti. Peccato che da qualche giorno non ci entri più nessuno. Come nelle edicole: alcune a Palermo si sono attrezzate per portare il quotidiano a domicilio, specie agli anziani, come si faceva una volta. Ma anche qui le casse sono vuote, e subentra la tentazione di chiudere baracca e burattini, smontare tutto. Come fai a pagare i fornitori, che continuano a produrre per garantire la filiera, se non hai un ritorno economico? O a onorare il pagamento dei tributi, nella speranza (vana?) che qualcuno te li sospenda per un po’? Cosa farà lo Stato con gli artigiani? La Regione ha trovato un accordo con Crias, Ircac e Irfis per sospendere le rate del credito agevolato. Ma anche Roma deve dare un cenno, concedere un ristoro, dimostrare di esserci: cercando un accordo con le banche e ratealizzare il più possibile i mutui, o sospendere il pagamento dei tributi per i lavoratori più provati, senza subissarli al minimo cenno di ripresa.
Ci sarebbero anche le partite Iva, chi lavora a progetto e affonda nel precariato da sempre. Chi fa il part-time. Per loro le poche “certezze” sono andate smantellate. Così come quelli dell’associazionismo, le cui prestazioni risultano francamente inutili col mondo paralizzato. Fai assistenza agli anziani? Non possono circolare. Ti occupi di migranti? Niente assembramenti. Di dispersione scolastica? Le scuole sono chiuse. In questi giorni non c’è modo di lavorare, e nemmeno di sopperire.
Persino le libere imprese – è logico ripensare a pub, ristoranti e pizzerie – vivono un momento di grande difficoltà. Al di là delle consegne a domicilio, per cui in tanti, specie in Sicilia, hanno dovuto attrezzarsi alla bisogna, molti hanno preferito abbassare le saracinesche e sospendere almeno fino al 25 marzo. Mandare tutti in ferie, e vediamo che succede. E poi ci sono i tassisti (le corse sono crollate del 90%), quelli che noleggiano auto, gli affittuari di b&b e case vacanze. Anch’essi non lavorano. Come gli operatori del turismo, che annusano un’estate tragica. Con le prenotazioni sospese e i voli cancellati, sarà dura rimettersi in riga. Soprattutto in Sicilia, dove il turismo è l’unico polmone verde di un deserto arido, dove i dati dell’occupazione non hanno mai brillato. Nessuno, di fronte all’emergenza, nasce con gli anticorpi. Qualcuno si è adeguato e col reddito di cittadinanza sta a posto. Ma proprio in occasione come queste – mai testate, ma per le quali occorrono contromosse tempestive – il sistema andrebbe ripensato. E schierarsi al fianco degli ultimi, quelli veri, che comunque ci provano. Sacrificando i divanisti per un po’.