Peggio di un parlamento vuoto, c’è solo un parlamento inutile. Dove le opposizioni, anch’esse raccogliticce, si presentano una volta a settimana – di fronte ai banchi vuoti del governo – per trattare le rubriche riferite ai vari assessorati: interrogazioni e interpellanze, risalenti a settimane o mesi prima, del tutto scollegate dall’attualità, a cui gli interlocutori (vedi la leggendaria Volo) non sanno neppure rispondere. Ma peggio di tutto questo c’è l’inoperosità della giunta, che in questi primi mesi di legislatura non ha trovato il bandolo della matassa. Non ha proposto una riforma, non ha alimentato una visione, non ha mostrato un guizzo, si è limitata all’ordinaria amministrazione: a cominciare dalla distribuzione di mance e incarichi.
La Regione siciliana è tenuta sotto scacco dalla prossima infornata di nomine: prima i Consorzi universitari, con l’incarico a Marcello Caruso, il fidatissimo uomo-ombra di Schifani, di raccogliere i desiderata dei partiti; poi i commissari delle ex province (in attesa di una riforma che si è complicata); infine la sanità. I nuovi direttori generali andrebbero scelti entro la fine di ottobre, ma le difficoltà a parlarsi fra alleati, e a contenere i malumori fra compagni di viaggio, sta complicando tutto. Schifani non è ancora venuto a capo delle questioni giuridiche e amministrative (quanti sono gli elenchi dei papabili? Due o soltanto uno?) seguite al bando pubblico di selezione, poi dovrà rivolgersi ai segretari di partito per confermare la mappa iniziale: sei a testa per Forza Italia e Fratelli d’Italia, due per tutti gli altri. “Marcello caro, apparecchia un altro vertice”.
Questa spartizione delegittima l’operato del parlamento, anche se – specie sulla sanità – le opposizioni promettono di essere intransigenti sui curricula dei nominati (anche se il parere della commissione Salute non è vincolante). Ma l’Assemblea, come detto, è la prima a patire l’immobilismo. E a rimediarci una pessima figura. Non c’è una proposta (del governo) da analizzare o sottoscrivere, giacché alla maggioranza mancherebbero anche i numeri per sostenerla. Le cronache di questi giorni riportano di una bozza di Finanziaria, già consegnata dall’assessore Falcone ai colleghi della giunta, che l’Ars dovrebbe approvare al termine di un iter che si snoderà prima nelle commissioni di merito. Per la prima volta nei tempi indicati dalla Legge, cioè il 31 dicembre. Ma da qui alla fine dell’anno non c’è altro in programma. Anche il ripristino delle province ha subito uno stop inatteso in commissione Affari istituzionali al Senato: una questione di copertura finanziaria e di opportunità politica (senza l’abrogazione della Legge Delrio, ogni sforzo in Sicilia sarà vano).
Le vacanze continuano anche dopo l’estate, trascorsa per lo più sui giornali a indagare le cause degli incendi che hanno devastato la Sicilia; o le conseguenze della gestione di Sac a Fontanarossa. Il presidente Schifani, la cui presenza era stata sollecitata in aula da M5s e Pd, se n’è rimasto alla larga. Ha dato buca sui temi più scottanti, a cominciare dal dibattito sul turismo (già proposto dai Cinque Stelle). Forse metterà piede a Sala d’Ercole, entro la fine del mese, per riferire sull’emergenza roghi, sulla mancata prevenzione, sugli accorgimenti futuri. Così è stato concordato in conferenza dei capigruppo. Un presidente fuori dal tempo e dallo spazio. Le difficoltà attuali – tra cui il rischio già paventato di dover rinunciare a un miliardo di fondi europei – richiederebbero un segnale forte. Invece il governo è incartapecorito: sembra aver risolto le sue magagne interne (fino a poche settimane fa si parlava di rimpasto) solo nella prospettiva di spartirsi qualche incarico di sottogoverno, o di trovare la quadra per le prossime Europee. Non è abbastanza per far felici cinque milioni di siciliani.
Chi dovrebbe difendere e tutelare il lavoro dell’Ars, Gaetano Galvagno, osserva nella speranza che qualcosa si sblocchi. Ma può stare certo che non si sbloccherà. A meno che la prossima sessione finanziaria, solitamente lunga e concitata, non cancelli con un colpo di spugna mesi d’imbarazzo. Ché qui non c’entrano più i minuti o le ore trascorse in aula, ma la “carne al fuoco” (cit.). Dopo aver votato la Finanziaria – già lucidata da Falcone con la promessa di un incremento dei trasferimenti ai Comuni – ci saranno le vacanze di Natale. E una volta rientrati dalle ferie, non si farà in tempo ad allestire due leggine, o a discutere delle sciagure prossime venture (il dissesto idrogeologico? l’emergenza rifiuti?) e scoccherà il momento della campagna elettorale. Che già da ore assorbe tutte le energie: nella definizione delle strategie e anche dei candidati.
L’esperienza di questo governo, come volevasi dimostrare, si sta rivelando una parentesi infinita (e anche un po’ noiosa), fra campagne elettorali. Un esercizio di banalità che non offre alcuno sfogo all’iniziativa politica. Una ricerca di equilibri che finisce per acuire le distanze (vedi Fratelli d’Italia). Una rappresentazione sbiadita di cosa significa governare nell’interesse dei cittadini. Prevalgono le vetrine – Schifani che s’imbroda per la nomination dei suoi deputati al congresso nazionale di Forza Italia – e i regolamenti di conti (sempre sulle nomine, cosa credete). Finché ci sarà spazio per sopportare, avanti tutta. Le vacanze non finiscono mai.