Il trionfo di Roberto Occhiuto in Calabria, con Forza Italia al 18%, e l’esperimento di ‘grosse koalition’ fallito a Noto e Canicattì (col Pd), hanno ricondotto Gianfranco Micciché a più miti consigli: “Il centrodestra unito, in Sicilia, non vince ma stravince le prossime Regionali”, ha detto all’indomani delle elezioni siciliane, il cui risultato è stato accolto dal leader di FI con lo champagne a colazione. Dopo aver sciorinato i numeri, e aver parlato di undici sindaci forzisti su 41 comuni al voto (compresi i civici eletti col maggioritario, altrimenti non si spiega), Miccichè ha ripreso in mano il taccuino e ricominciato a ragionare. Venerdì, inoltre, è volato a Firenze per incontrare il leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Si è parlato di liste uniche alle prossime Regionali: la vecchia promessa di “inventarsi qualcosa di nuovo” per la Sicilia e per Palermo resta valida.
Le Amministrative, al di là dei freddi numeri, riconsegnano al partito di Berlusconi le chiavi del centrodestra siciliano. E a Gianfranco Micciché il ruolo di kingmaker della coalizione. Il presidente dell’Ars, tre settimane fa, si era inserito da vero stratega nel conflitto istituzionale fra Salvini e Musumeci: col primo che aveva ribadito l’ambizione di governare la Regione (con Nino Minardo), e il secondo che aveva sbuffato amaramente, chiedendo alla Lega di uscire dal governo anziché logorarlo. Micciché, sfruttando l’assist, è tornato al centro della contesa per farli ragionare entrambi: “Se ognuno al mattino si sveglia e dice ‘o mi candido io, o vi faccio perdere’, tanto vale abolire il concetto di coalizione. Dal governo non esce nessuno”, disse in un’intervista al nostro giornale. E aggiunse: “I candidati non si scelgono a Roma”.
Mentre negli ultimi giorni, quasi a voler sancire il “peso” del suo partito nelle dinamiche di governo, è tornato a punzecchiare il presidente della Regione. Il concetto è più o meno quello di sempre: ‘Musumeci è il candidato naturale, ma sta facendo di tutto per non esserlo’. A ‘La Sicilia’, inoltre, ha dichiarato: “Certe volte la sua spocchia nei confronti dei partiti mi sembra frutto di un istinto suicida”. Mentre all’Italpress, intervistato da Claudio Brachino, ha esteso il ragionamento: “La politica è trovare i motivi per stare insieme e gioire dell’alleanza. Io non so bene perché, ma lui non sta facendo nulla perché si possa gioire di quest’alleanza”. Arrivando ad ammettere che “ci sono dei problemi. Ricordo a Musumeci che nelle squadre di calcio ci sono allenatori bravissimi. Se la squadra non vince, però, vanno via gli allenatori, non i giocatori”. Qualcosa già bolliva in pentola, ed è emerso venerdì scorso, in seguito alle rivelazioni del Giornale di Sicilia.
Riguarda la frattura istituzionale fra governo e parlamento. Un male quasi incurabile da quattro anni a questa parte. La decisione dell’assessore Ruggero Razza di procedere – da solo e senza tener conto dei rilievi della commissione Salute – alla riforma dell’assistenza domiciliare per i disabili, ha fatto imbestialire Micciché. Mai, però, quanto la mancata risposta di Musumeci al suo richiamo formale, contenuto in una lettera che aveva un unico destinatario: il presidente della Regione. Questo snobismo ha ulteriormente indisposto il leader di Forza Italia, che già in passato si era lamentato dei cattivi consiglieri del governatore, abili a mettere zizzania: “Chi continua a mettere in testa al presidente che siamo rivali o addirittura nemici, fa un danno incalcolabile alla coalizione. Ho invitato questi “cretini”, perché continuo a ritenerli tali, a finirla con questo gioco al massacro”.
Ben vengano, invece, i consigli di Berlusconi (“Deciderà insieme a noi il candidato”). E’ chiaro che da qui al prossimo anno molte cose potranno cambiare, ma è Micciché ad avere in mano il telecomando (per quanto attiene a Forza Italia). Anche il pezzo di partito che non si identifica nella sua leadership, negli ultimi tempi, ha palesato – privatamente – una certa delusione per la debolezza del condottiero Nello: scarico alle Amministrative (con Diventerà Bellissima facile bersaglio per la debacle di Caltagirone) e poco propenso a una condivisione dei percorsi. Anche la cabina di regia sul Recovery Fund, affidata alle cure di un solo assessore (Armao: ormai fuori dagli schemi di partito), aveva indispettito persino Marco Falcone, uno dei fedelissimi.
Forza Italia, che conserva al Sud e in Sicilia la propria roccaforte (la somma dei voti fra la lista ufficiale e Forza Azzurri, in Calabria, raggiunge il 28%), proverà a giocare una partita all’attacco, senza esporsi troppo al contropiede avversario. Le prossime candidature, a Palermo e alla Regione, passeranno dagli uomini di Berlusconi, che a parole non sono più disposti a sfilarsi. Specie se all’Ars dovesse concretizzarsi la federazione con Sicilia Futura, che non prevede però l’adesione immediata di Tamajo e D’Agostino, quanto una sorta di intergruppo fra i parlamentari di Forza Italia (13) e quelli di Italia Viva (3) allo scopo di non depauperare il capitale renziano. “Se non dovesse essere Musumeci il candidato – ha spiegato ancora Micciché – noi avremmo l’autorevolezza per rivendicarlo”. Idem con patate a Palermo, dove l’assalto a palazzo delle Aquile era scattato nello scorso luglio con una nota ufficiale, e adesso sembra essersi attenuato un filino, data la candidatura (quasi certa) di Roberto Lagalla, che per il mondo dei moderati rappresenta una sorta di assicurazione sulla vita.
La posizione centrale di Forza Italia nel dibattito siciliano è data anche dalle interlocuzioni: con Giancarlo Cancelleri, che era vicino a cedere alle sirene del modello Draghi, prima di rinculare a causa delle intemperanze grilline; con Barbagallo e il Pd, che ora sembrano aver ripiegato sull’usato sicuro del “campo largo” col M5s; con Renzi e Italia Viva, che dopo l’addio al centrosinistra sono diventati gli interlocutori più naturali e (forse) più affidabili. Oltre che naturalmente coi compagni di sempre – Fratelli d’Italia e la Lega – verso i quali è un’alternanza di complimenti e le stilettate. Arrovellarsi nell’ipotesi di un governo allargato, e nel frattempo portare avanti l’opzione classica – e per questo più credibile – del centrodestra unito, corrisponde a una prova d’equilibrismo temeraria. Per Micciché è tutto grasso che cola. Per Forza Italia l’occasione di mostrarsi sempre e comunque decisiva.