Non si può certo dire che un fresco candidato a sindaco di Palermo, e ispiratore di un nuovo contenitore del centrodestra, non faccia più politica. Saverio Romano, ex ministro del governo Berlusconi, ha indossato per qualche tempo gli abiti dell’osservatore esterno. Ha saltato un giro, è rimasto in disparte. Ma è bastato il discorso pronunciato un mese fa a Cefalù, alla reunion del suo Cantiere Popolare, per riconsegnargli quel ruolo d’influenza che la politica siciliana gli ha da sempre riconosciuto. Romano non è uno da effetti speciali, ma l’idea di candidarsi a sindaco per il dopo-Orlando un certo effetto lo fa. E ha scatenato una reazione a catena: Forza Italia che si arroga il diritto di avere un “suo” candidato, Fratelli d’Italia che pone una pregiudiziale pesante, il resto della truppa che s’interroga. Come se non bastasse la difficile composizione del puzzle per il prossimo, imminente appuntamento alle urne, ci si mettono di mezzo anche le Amministrative che, da calendario, si terranno nel 2022.
Onorevole, non crede che i candidati a sindaco di Palermo, tre anni e mezzo prima della scadenza elettorale, siano già troppi?
“Questo la dice lunga sulla credibilità dell’attuale Amministrazione. Non soltanto la classe politica, ma anche i cittadini pensano che Orlando non riesca a concludere il suo mandato. Affonderà assieme alla sua nave nel mare di guai che non riesce a risolvere”.
Ma la sua candidatura e quella annunciata da Gianfranco Miccichè durante un evento forzista a Palermo, non vanno in contrapposizione?
“Le prossime elezioni a Palermo saranno vinte da chi avrà un programma e offrirà una prospettiva di rilancio alla città. Non attraverso delle alchimie politiche. Fermo restando che ognuno di noi ha una sua storia e si rivolge al proprio elettorato”.
Invece quali sono gli attuali equilibri del centrodestra? A pochi mesi dalle Europee non si sa bene chi si allea con chi e sotto quale simbolo.
“E credo che i conflitti tra partiti aumenteranno. Nelle elezioni su base proporzionale tutti vogliono prendere un voto in più… I temi di confronto, mai come stavolta, sono europei. Nel senso che i cittadini non saranno chiamati a dare un giudizio sulla politica locale o nazionale, ma a esprimersi su un modello di Europa: da un lato ci sono coloro i quali non vogliono l’Europa, dall’altro quelli che la vorrebbero un giorno sì e l’altro no, come nel caso del Movimento 5 Stelle. Poi ci sono gli europeisti tout court, e infine – e io mi ritrovo in questa ultima schiera – chi crede che l’Europa vada salvata”.
Cosa serve?
“Una politica di difesa, una politica economica e una politica estera comuni. Ma soprattutto dei principi di democrazia che possano consentire ai popoli europei di eleggere i propri governi”.
Musumeci, dopo aver strizzato l’occhio a lei e Micciché a Cefalù, ha fatto la stessa cosa con gli autonomisti di Lombardo. A Enna, sabato scorso, ha prospettato l’ipotesi di un partito “sicilianista” che valga il 35-40%. E’ un progetto compatibile col vostro?
“E’ compatibile se ha una connotazione anti-populista. Diversamente, è di difficile comprensione come un soggetto del genere possa, ad esempio, fare un’alleanza con la Lega, che rappresenta un polo populista a tutti gli effetti”.
Ci stareste senza la Lega?
“Ci staremmo nel caso in cui questo progetto sposerebbe i principi che abbiamo sancito a Cefalù e sui quali sia Musumeci che Micciché si sono espressi favorevolmente e concordemente”.
Torna a sventolare il vessillo dell’autonomia siciliane e delle sue rivendicazioni?
“Non rivendicazioni, ma sottolineature. Bisogna aggiustare il tiro. Non è possibile che la Sicilia e il Mezzogiorno stiano ancora al palo rispetto a dinamiche che vedono la costruzione di una linea ferroviaria Torino-Pechino che permetterà di percorrere il tragitto in 26 ore, mentre da Palermo a Catania ne impieghiamo ancora cinque. Si tratta di temi concreti, che toccano la vita dei cittadini”.
Miccichè, nella sua idea di partito-federazione, parla di argine al populismo.
“Mi trova assolutamente d’accordo”.
Ma c’è anche una fase di proposta o creerete una nuova forza politica solo contrapponendovi a un concetto?
“Assolutamente no. C’è una proposta che prevede un modello di società alternativo a quello che vogliono disegnare Lega e Cinque Stelle. Il nostro modello non può che essere quello dell’integrazione, della solidarietà e della pace, perché alcune volte l’essenziale è invisibile agli occhi. Il progetto di pace degli ultimi 70 anni lo abbiamo realizzato grazie all’integrazione europea e non agli scontri coi paesi alleati. La pace è un elemento che va conquistato ogni giorno e si coniuga con lo sviluppo. Superare il divario fra il Nord e il Sud del mondo è l’obiettivo che si deve porre la società moderna, l’equilibrio delle risorse deve essere un punto di riferimento. Le divisioni sono quelle che portano ai conflitti e alla povertà. Quindi non c’è un tema relativo alla contrapposizione ma alla proposta, che ha radici antiche ma è nuova perché deve aprirsi alle novità del mondo globalizzato”.
Il sottosegretario leghista Candiani, commissario del Carroccio nell’Isola, ha detto che il vostro è uno “schema polpettone” che serve solo a salvaguardare una permanenza nelle istituzioni.
“Non possiamo prendere lezioni da chi ha trattato e continua a trattare – perché non lo dicono ma lo pensano – la questione del Mezzogiorno come reietta. Il fatto che mettano un lombardo a commissariare il loro partito in Sicilia la dice lunga. Non si fidano della classe dirigente locale”.
Anche il Pd potrebbe, in futuro, rientrare in questo assembramento di forze moderate? E’ nota la vicinanza, almeno sui temi, tra Faraone e Micciché.
“Credo che la prospettiva politica sia fatta di contenuti e non di fusioni a freddo tra partiti che, fra l’altro, si sono contrapposti per tanti anni. Di recente anche l’Ars, dove Musumeci ha una maggioranza risicata, si è avvalsa dei voti convinti di parte dell’opposizione. Questo non significa che c’è un inciucio, ma che su alcuni punti condivisi si può fare una marcia insieme. Da qui a parlare di prospettiva comune mi sembra prematuro. Io, però, inviterei la classe dirigente di Forza Italia a dare seguito alle indicazioni che una persona come Berlusconi, con tanta generosità, ha fornito alla costruzione di un polo moderato che sia realmente alternativo ai populismi e ai sovranismi”.
Berlusconi, però, ha detto che il suo partito alle Europee non rinuncerà al simbolo. Al massimo potrebbe ritoccarlo. Questo costituisce un ostacolo verso l’operazione per cui vi state spendendo in Sicilia?
“In politica non è mai un problema di simboli, ma di contenuti e di prospettiva che si offre agli elettori”.
Se si rivotasse domani, crede che la Sicilia sarebbe ancora un feudo dei 5 Stelle?
“A me sembra che gli eletti del M5S siano spariti dalla circolazione all’indomani del 4 marzo. Le loro politiche si stanno dimostrando, a livello nazionale ma anche negli enti locali in cui amministrano, assolutamente sbagliate. Mi aspetto che ci sia una presa di coscienza da parte di quell’elettorato. Dopo aver espresso un voto di protesta, ora serve un voto di proposta”.