Qualche tempo fa, in un paesino ad alta densità mafiosa del Corleonese, un picciotto del pizzo avanzava per telefono la sua richiesta estorsiva. Gli stava finendo il credito, però. E fu costretto a interrompere la conversazione nel momento cruciale della minaccia.

Con una mafia simile che antimafia ci si poteva aspettare? Il punto è che per troppo tempo si è sbagliato bersaglio. Si combatteva una mafia sempre più stracciona e si sono persi di vista i veri centri di potere dove per accrescere prestigio e potere qualcuno indossava il vestito elegantissimo dell’antimafia.

Imposture, comitati di affari e carriere sono proliferati sotto l’ombrello della lotta a Cosa nostra. E ora sul campo restano le macerie.

Roberto Helg, Silvana Saguto e Antonello Montante sono finiti nei guai giudiziari. Ma l’antimafia è stata un tratto distintivo di una lunga stagione politica che ha fatto la fortuna di uomini come Beppe Lumia e Rosario Crocetta, a cui ora tocca dare conto e ragione, non sul piano giudiziario s’intende, della loro amicizia con Montante a cui hanno consentito di incidere sul governo regionale. Si sono fatti guidare nella loro azione politica dall’ex presidente di Sicindustria.

È andato meno bene, anzi malissimo, ad Antonio Ingroia che ha sbagliato il momento storico per tentare di mettere a frutto, con la candidatura politica, i suoi anni da pm antimafia. Lo ha fatto però quando la gente cominciava ad avere le scatole piene delle chiacchiere dei talk show televisivi. Ha trovato riparo nel sottogoverno crocettiano, dove assoldare uno “sceriffo” faceva sempre un bell’effetto.

O come Leoluca Orlando che trent’anni fa teorizzava “il sospetto come anticamera della verità” e ora si scopre che – così rivelerebbero i documenti segreti di Montante – prima di essere un grande accusatore dell’industriale ne era grande amico e gli avrebbe pure chiesto “raccomandazioni”.

La verità è che il crollo di un simbolo dell’antimafia come Montante ha svelato non solo una rete di connivenze ad altissimi livelli – carabinieri, finanzieri, poliziotti e uomini dei servizi segreti – ma anche l’esistenza di uno stuolo di cortigiani che scimmiottavano l’industriale di Serradifalco nella speranza, se non di vivere di antimafia, almeno di sopravvivere. Ed ecco spuntare i favori, i curriculum, i posti di lavoro, le richieste di trasferimento, le minaccia un tanto al chilo. Perché una lettera minatoria non si nega a nessuno.