L’Assemblea regionale siciliana è andata in ferie lo scorso 29 luglio, approvando un ddl stralcio della Finanziaria con cui, per ordine di importanza, si è dato seguito ad alcune decisioni: sbloccare la spesa europea e riattivare i bandi, ch’erano stati preclusi per i problemi di cassa della Regione (incapace di attivare il co-finanziamento); allargare ai dirigenti regionali, dopo la partecipazione a un corso, la possibilità di concorrere per i ruoli di direttore sanitario e amministrativo nelle Asp; obbligare le società regionali a pubblicare i propri bilanci sui giornali. Inoltre, con 500 mila euro, si è data la possibilità ai lavoratori richiamati dalla quiescenza per l’illegittima applicazione di Quota 100, di tornarsene in pensione. Piccole norme utili, ma nulla in confronto ai voli pindarici del governo, che prima della scadenza estiva pensava di poter approvare qualche riforma in più. E organizzare altre kermesse – sul modello dello Spasimo – per comunicare ai siciliani il grande lavoro fatto.
Riforme che sono state congelate per almeno un altro mese, mentre l’Ars – con una spesa di 350 mila euro – sta provvedendo all’installazione dei microfoni sui singoli scranni di Sala d’Ercole per evitare, in tempi di pandemia, una frequentazione troppo assidua del pulpito. D’altronde è lì che si è contagiato il deputato del Pd, Nello Dipasquale: nella postazione del microfono che poco prima Giovanni Di Caro, a sua volta positivo, aveva “intaccato”. La prima riforma da trattare alla ripresa è quella dell’Irsap, l’istituto delle Attività produttive che ormai da anni ha preso il posto dei Consorzi Asi, e che è stato al centro dello scandalo Montante. Il disegno di legge è stato esitato dalla giunta a marzo, dopo aver tentato di agganciarlo – come articolo – all’ultima Finanziaria. Venne stralciato. Ma dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, il 31 marzo, il testo non è mai arrivato in aula.
L’obiettivo del governo è “semplificare le procedure e i regimi procedimentali speciali per l’insediamento, la realizzazione e lo svolgimento delle attività economiche e imprenditoriali nelle Zone Economiche Speciali della Sicilia Orientale e Occidentale, recentemente istituite nelle aree di sviluppo industriale e artigianale regionali”. L’articolo 2 del Ddl, nella sua gestazione originaria, contiene modifiche rispetto alla legge regionale 8/2012, soprattutto nella parte relativa alle procedure di liquidazione dei Consorzi Asi, che a distanza di nove anni non si sono ancora concluse. In questo modo le procedure decisorie dell’Irsap dovrebbero diventare più efficaci. Con le modifiche proposte dal governo, inoltre, potranno essere autorizzate sia “le riconversioni degli immobili abbandonati quanto quelle di nuovi insediamenti”, in modo da facilitare la vendita dei beni in capo alle Asi, accelerando le liquidazioni. Una serie di modifiche che l’aula dovrebbe adottare nei primi giorni di settembre, alla ripresa dei lavori.
L’approccio con l’autunno conserva, ovviamente, qualche scoglio da superare: ad esempio le variazioni di bilancio da 65 milioni di euro per il 2021, che hanno già ricevuto il parere negativo della commissione Affari istituzionali. E’ uno dei numerosi passaggi di natura contabile-finanziaria per tappare le falle di un Bilancio che fa acqua dappertutto. La manovrina proposta dall’assessore Armao e già vidimata dal presidente della Commissione Bilancio, fra l’altro, accantona un miliardo – cioè il rituale contributo annuale alla finanza pubblica – in attesa di raggiungere un nuovo accordo con lo Stato. In cui la Regione, va da sé, proverà a giocare al ribasso. Ma per allinearsi al giudizio di parifica della Corte dei Conti, che il 18 giugno scorso, in sede di parifica, ha segnalato numerose irregolarità, bisognerà passare da un più ampio assestamento di Bilancio, che la giunta non ha ancora elaborato. Con questo assestamento, probabilmente, verrà posto rimedio a un disavanzo che secondo Armao si aggira sui 170 milioni. Altri soldi da accantonare, e quindi non spendibili.
Ma al netto delle questioni economiche, l’Ars resta in attesa di conoscere le prossime mosse del governo sulla riforma della governance dei rifiuti. La proposta, dopo una marea di revisioni, è rimasta per mesi all’ordine del giorno, ma Sala d’Ercole – a causa di veti incrociati – non l’ha mai discussa. E difficilmente potrà farlo nell’ultimo anno di legislatura (quello che si appresta a cominciare): il centrodestra sarà costretto a marciare unito e non può permettersi di far emergere le numerose divisioni riscontrate sull’argomento. Il presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché, questa riforma non la ritiene necessaria. E anche qualcuno del governo batte in ritirata. D’altronde c’è già un precedente: a novembre 2019 il ddl era stato ‘bocciato’ all’articolo 1, col voto segreto, per l’intervento dei franchi tiratori. Un passo falso che non può ripetersi. Le associazioni ambientaliste, quasi per voler togliere le castagne dal fuoco al governo, gli hanno chiesto di cestinare la proposta. E di prevedere, piuttosto, alcune modifiche alla legge attualmente in vigore, che risale al governo Lombardo: a partire dall’adeguamento degli obiettivi all’ultima direttiva Ue sull’economia circolare, la trasformazione della natura giuridica delle Srr (Società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti) in consorzi pubblici di Comuni, la riduzione del numero degli ambiti e il trasferimento della titolarità delle competenze in capo agli ambiti ottimali.
Fra le numerose proposte in attesa di un lieto fine, c’è la riforma della pubblica amministrazione, che prevede il recepimento delle direttive nazionali in materia di pubblico impiego e – quindi – una “impensabile” (fin qui) abolizione della terza fascia dirigenziale. Per vent’anni la Regione ha giocato su un equivoco, sebbene la giurisprudenza abbia fatto il suo corso e spiegato, a più riprese, come alle posizioni apicali della burocrazia possano accedere soltanto dirigenti di prima e di seconda fascia (che in Sicilia praticamente non esistono). La riforma, però, resta sulla carta. Nel frattempo la Regione ha aperto un tavolo, l’ennesimo, a Roma per chiedere alcune modifiche all’accordo firmato con il governo Conte il 14 gennaio scorso: innanzi tutto per rimuovere il blocco delle assunzioni.
Poi bisognerà rompere gli indugi su un altro paio di riforme che Roma e la Corte dei Conti ci hanno chiesto a più riprese: quella dei Consorzi di Bonifica e quella dei Forestali. La seconda è più avanti della prima. Nei giorni scorsi, a palazzo dei Normanni, si è tenuto un vertice col presidente dell’Assemblea, Gianfranco Micciché, alcuni rappresentanti dei partiti e i sindacati, da cui è emersa la pretesa di una riforma in linea con le esigenze del settore. “E’ necessario garantire al comparto forestale un futuro che guardi ai giovani – ha detto il capogruppo del Pd, Giuseppe Lupo – per questo sosterremo le proposte dei sindacati in commissione ed in aula durante l’esame del disegno di legge presentato dal governo e ci opporremo a qualsiasi tentativo di affidare in appalto il lavoro di manutenzione e antincendio dei boschi. È necessario dare ai sindaci, alle Città metropolitane ed ai Liberi Consorzi la possibilità di avvalersi dei lavoratori forestali per la manutenzione delle aree verdi comunali e per il diserbamento lungo le strade provinciali”.
La funzione dei forestali, ora che la stagione degli incendi è entrata nel vivo, è di fondamentale importanza: l’assessore all’Agricoltura, Tony Scilla, prevede una mini stabilizzazione per il personale precario, che dovrebbe passare a 180 giorni (ma senza gravare sul Bilancio: verranno incentivati i pensionamenti). Micciché ha garantito che “una volta che il disegno di legge arriverà in Commissione, convocherò una riunione dei capigruppo per individuare le norme più importanti e approfondirle”. Nel frattempo, a causa dello stato di allerta generale, a personale e dirigenti sono state revocate ferie e riposi settimanali: contro i piromani, tutti devono rimanere in prima linea.
La questione dei Consorzi di Bonifica, invece, è più spinosa. In Sicilia ce ne sono undici, e costano uno sproposito: 53 milioni l’anno. E sono tutti – perennemente – in perdita. Alcuni lavoratori hanno stipendi arretrati di sei mesi, ma negli anni è aumentato il numero dei dirigenti. Sulla gestione economico-finanziaria pesano di centinaia di contenziosi aperti con i lavoratori. Nell’ultimo Accordo Stato-Regione, Roma sollecita una riforma. Musumeci ha architettato una bozza di disegno di legge che prevede “una gestione unitaria delle attività degli attuali Consorzi in capo ad un unico Consorzio di bonifica, articolato in quattro distretti” per razionalizzare in modo efficace ed efficiente le risorse strumentali, umane e finanziarie, “comportando altresì un miglioramento qualitativo della spesa”. L’obiettivo è “l’ammodernamento delle infrastrutture ormai vetuste”, così come la “manutenzione degli impianti elettromeccanici, della rete distributiva e della rete idraulica”. Gli attuali Consorzi verrebbero liquidati entro una decina d’anni. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che la riforma, sbandierata durante la scorsa campagna elettorale, all’Ars non si è ancora vista.