Le ragioni del no a Musumeci

O sono tutti impazziti. Oppure c’è qualcosa che non va. Risolvere l’enigma Musumeci, a quanto pare, non è nei migliori interessi di Musumeci. Nell’ultima intervista concessa al Corriere della Sera, il governatore ha recitato – nuovamente – il ruolo di paladino della legalità, unico ‘lasciapassare’ per il bis a palazzo d’Orleans (secondo lui): “E’ innaturale mettere in discussione un presidente uscente se non ci sono fatti gravi – ha dichiarato -. Se non dimostreranno che sono socio di Matteo Messina Denaro o che, a differenza di quanto mi risulta, esistono candidati più competitivi di me, non ritirerò la mia candidatura”. La seconda ipotesi andrebbe verificata. Con la prima, invece, il presidente della Regione tende a svicolare. Perché basta ripercorrere quattro anni e mezzo di dichiarazioni per capire che l’origine del problema è diversa.

Non riguarda la moralità del presidente. Riguarda i modi, come ha spiegato per l’ennesima volta Gianfranco Micciché, suo acerrimo rivale: “Non ho mai condannato il presidente Musumeci come persona. Durante la legislatura, ho sempre e solo criticato il suo metodo di lavoro” ha esordito. “Musumeci, nella sua azione di governo, non ha mai coinvolto i partiti della maggioranza, con cui avrebbe dovuto condividere importanti decisioni, soprattutto quando si è trattato di approvare le leggi di riforma. Un atteggiamento, questo, che ha indisposto l’intero Parlamento”. “Anche io avrei voluto candidarmi ma, quando ho capito che era una proposta divisiva, l’ho immediatamente ritirata. Se tutti avessimo questo senso di umiltà, si troverebbe una soluzione in tempi brevissimi”.

Piccolo inciso. Musumeci non ha alcuna intenzione di farsi da parte. Anzi, sta provando a spremere i leader nazionali, dalla Meloni a Berlusconi, pur di restare in prima linea. Anche se, nel giorno dell’annuncio della ricandidatura (il 26 giugno 2021) allo Spasimo di Palermo, non era stato così categorico. Ecco cosa riporta un’Ansa battuta alle 18.09 di quella giornata “trionfale”, in cui a tenere il moccolo al (bi)presidente, in prima fila, sedevano 9 assessori su 12: “Ho cambiato idea sulla mia ricandidatura perché con la mia squadra vorrei raccogliere il frutto della mia semina – si giustificò in apertura -. E’ chiaro che non voglio rompere il centrodestra, ma se il centrodestra dovesse dire con chiarezza che non posso essere io il candidato è chiaro che non sarei sordo e cieco. Farei tre passi indietro. ma qualcuno mi deve spiegare perché”.

Gliel’hanno spiegato in tutti i modi. Ma anche questa promessa, che alla maggior parte dei suoi detrattori sarà sfuggita, rischia di diventare carta straccia. La prima, quella che ancora oggi inonda i social, riguarda l’impegno a non ricandidarsi terminati i cinque anni di governo. L’ha riproposta di recente Luca Sammartino, mostrando le immagini del suo ultimo comizio elettorale a Militello, nel 2017, con un commento a corredo: “Vi ricordate? Bene, come non detto: sono passati 5 anni, non è cambiato molto in Sicilia, ma qualcuno ha evidentemente cambiato idea…  Il governatore non si smentisce mai”. Il deputato etneo che da pochi mesi è entrato nelle grazie di Salvini, ieri ha concesso il bis con un post assai polemico: “Siamo ad appena 9 giorni dalla scadenza finale dell’esercizio provvisorio: senza un bilancio approvato la Regione sarà praticamente paralizzata, senza risorse per garantire stipendi, trasferimenti ed investimenti. Però assistiamo ad una surreale campagna elettorale anticipata da parte di chi cerca ad ogni costo la ricandidatura. Le imprese, le famiglie, i Comuni ed interi comparti non possono attendere e non posso assistere allo spettacolo indecoroso di chi antepone le proprie ambizioni alle esigenze dei siciliani”.

Anche questo è un tema molto sentito, soprattutto dalle opposizioni. Mentre la cronistoria dei duetti (mancati) fra Musumeci e gli alleati è facilmente desumibile dalle cronache politiche di questi anni. Tutti – nessuno escluso – hanno finito per enfatizzare la scarsa predisposizione del presidente della Regione al dialogo. Prendete Raffaele Stancanelli. Ottobre 2021, convegno sulle Infrastrutture a Taormina. L’europarlamentare di Fratelli d’Italia – partito che non si era ancora federato con Musumeci per garantirgli il bis – traccia l’identikit di chi può riunire il centrodestra: “Ci vuole abilità, comprensione… Chi fa politica e assume un ruolo di aggregatore, deve parlare con tutti, valutare le esigenze, fare un passo indietro quando è richiesto. La politica è compromesso, nel senso più nobile del termine. Il centrodestra deve trovare un’intesa su un federatore che sia affidabile e dia legittimazione alle esigenze politiche di ognuno”. No all’uomo solo al comando.

Lo stesso Stancanelli, parlando con Buttanissima, il 9 febbraio 2021 aveva invocato l’utilizzo del metodo Confindustria per la scelta del candidato. Un sistema basato su una serie di “consultazioni non solo coi partiti politici, ma anche con le associazioni, le forze sociali e del terzo settore, i sindaci e gli amministratori del centrodestra, allo scopo di trovare la figura che possa rappresentare meglio le sfumature di questo universo. Che oggi è composito: ci sono i riformisti, i conservatori, i centristi, i leghisti… Bisogna trovare una sintesi attorno alla persona che sia in grado di rappresentare questi valori e che sia concordemente ritenuto affidabile negli impegni, oltre che capace”. Non sembra affatto il profiling dell’ex amico Nello.

Sulla sua capacità di coinvolgere i partiti si era espresso, all’indomani dello Spasimo (in cui il governatore aveva asserito di avere come unici referenti gli assessori del suo governo), anche Saverio Romano, leader del Cantiere Popolare: “Senza i partiti non può esservi alcuna democrazia. È una cosa che tutti dovrebbero sapere ma, evidentemente, taluni fingono di ignorarlo. Che i partiti siano in crisi non vuol dire che se ne possa fare a meno. L’alternativa ai partiti è l’uomo solo al comando, la lotta del potere per il potere. È talmente importante la loro funzione che godono di un riconoscimento costituzionale”.  Un concetto ribadito più volte e condiviso, di recente, anche da Raffaele Lombardo.

L’ex governatore di Grammichele, che per lunghi anni era rimasto nell’ombra a causa delle sue vicende giudiziarie, è tornato a esprimersi in un’intervista a ‘La Sicilia’ lo scorso 21 febbraio. Erano passate poche settimane dal voto dei grandi elettori per il Quirinale e dall’invettiva pronunciata da Nello contro gli “scappati di casa”: il voto sui delegati, secondo Lombardo, era “solo l’espressione di un malcontento. Poi certo, un presidente ecumenico poteva prendere anche i voti dell’opposizione. E Nello Musumeci non è ecumenico…”. S’è visto anche coi partiti: “Ho sollecitato Musumeci perché desse luogo a uno straccio di confronto, ma non c’è stato nulla da fare…”. Tuttavia, “è legittimo che il governatore in carica voglia ricandidarsi. C’è, allo stesso tempo, il grande dissenso dei partiti della sua stessa coalizione, per come ‘non’ li ha trattati Musumeci. E’ stato allergico a dialogare, limitandosi al lavoro che ha ritenuto sufficiente con gli assessori nella giunta”.

Forse è questo il motivo per cui nessuno è disposto a riprenderselo. Non perché sia colluso coi mafiosi. Anche Miccichè, tuttavia, sembra disposto a perdonare: “Mi dispiace molto che si sia creata questa contrapposizione con il presidente della Regione, ma Musumeci non si è mai messo in discussione – ha detto ieri il presidente dell’Ars -. Spero ancora, fino all’ultimo, che lui possa capire i suoi errori e cambiare atteggiamento, per il bene e l’unità della coalizione di centrodestra”. Ma la profezia del governatore – quella di dividere il centrodestra – purtroppo per lui si è avverata. Tornare indietro è impossibile. Per andare avanti basterebbe ammetterlo.

La Meloni: per me è un ottimo governatore

“Per una ragione non chiara Lega e Forza Italia hanno delle perplessità su Musumeci. A me pare un ottimo presidente di Regione”. L’ha detto la leader di Fratelli d’Italia a margine della presentazione della Conferenza programmatica del partito. Alcuni dei motivi per cui gli (ex) alleati hanno smesso di fidarsi del governatore li abbiamo riassunti sopra. Ma Giorgia continua a fidarsi di chi le racconta mezze verità e non le dà gli strumenti necessari per un’analisi compiuta. Per cui, ecco il solito refrain: “Musumeci? E’ un governatore uscente, quelli uscenti che hanno ben lavorato generalmente vengono ricandidati, non capisco perché questo sia l’unico caso per cui ciò non accade”.

La Meloni non ha ancora rivelato la strategia sul candidato sindaco a Palermo (resta in pista Carolina Varchi, ma FdI potrebbe convergere su Roberto Lagalla), ma ha detto di sentire continuamente Berlusconi, al quale FdI aveva chiesto di sciogliere i nodi di un’alleanza sempre più barcollante: “Le interlocuzioni sono in corso”. Sulle Amministrative “la deadline è naturale, nel senso che a un certo punto c’è una scadenza e bisogna prendere decisioni. Chiaramente cerchiamo di fare il primo possibile, ormai siamo abbastanza vicini alla scadenza elettorale e tutti devono fare campagna elettorale e sapere a quali condizioni. Ora stiamo dilatando i tempi per fare qualche sforzo in più, ma non è che alla fine possiamo non prendere le decisioni. Le prenderemo in tempo utile e se poi non ci sarà corrispondenza nei nostri intendimenti, faremo le nostre scelte”.

La Meloni ha anche ammesso di non sentire Salvini “dal giorno della rielezione di Sergio Mattarella”, il 29 gennaio. “I rapporti con Salvini – ha spiegato – non sono il problema, né con quanta costanza ci si sente. Il problema sono le scelte di fondo e capire se da parte degli altri partiti del centrodestra l’obiettivo sia ancora dare a questa nazione un governo di centrodestra. Da questo punto di vista ho segnali altalenanti, non sempre ho l’impressione che la priorità sia far vincere il centrodestra. A volte sembra che si prenda anche in considerazione di riproporre maggioranze arcobaleno”.

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