L’ultima ad aver alzato bandiera bianca è Francesca Donato, che si dice “felice” della nuova collocazione politica – nella DC di Totò Cuffaro – anche se questo non le consentirà di essere rieletta a Bruxelles. Prima di lei, sono usciti dal giro gli ex grillini Ignazio Corrao e Dino Giarrusso, mentre del nucleo dei parlamentari uscenti, hanno discrete chance di riconferma Raffaele Stancanelli e Giuseppe Milazzo, compagni di partito per una buona fetta della scorsa legislatura, e adesso su fronti opposti: l’ex sindaco di Catania, infatti, è candidato nella lista della Lega dopo aver ceduto alle lusinghe di Matteo Salvini. Milazzo, che era stato eletto cinque anni fa con Forza Italia, è un altro esempio di “trasformismo politico”, per non chiamarlo mercato delle vacche: dopo qualche mese al fianco di Berlusconi, anche lui eletto in Europa nel ’19, scelse di aderire a Fratelli d’Italia, che oggi lo ricompensa con un’altra campagna elettorale in prima fila e quasi indisturbata.
La sorte dei deputati uscenti di Bruxelles, però, non sempre è lineare. Prendete, appunto, la Donato. Eletta in Sicilia grazie all’exploit di Matteo Salvini, ha cambiato schieramento – un’altra! – ormai tre anni fa, all’epoca dell’ingresso del Carroccio nel governo Draghi. Inaccettabile per una come lei, che si era professata no-Euro, no-Vax e tutta quella roba lì. Così ha pensato di fare i bagagli, rimanendo comunque al parlamento Ue. Dove sarebbe voluta tornare da esponente della DC di Cuffaro, che qualche tempo fa le ha assegnato la carica di vicepresidente nazionale di un partito, però, con cui nessuno ha voglia di allearsi. Non Forza Italia, che ha scaricato l’ex governatore nonostante l’apertura di Schifani; non Matteo Renzi, che l’ha liquidato dietro la richiesta di Emma Bonino di fare gli Stati Uniti d’Europa; e neppure la Lega, con cui sembrava quasi esserci l’intesa prima che esplodesse lo scandalo Sammartino.
Il nome di Francesca Donato, inserito in tutte le trattative, è rimasto poco appetibile per i potenziali alleati. “La disponibilità da parte mia a ricandidarmi c’è e c’è sempre stata – dice oggi la Donato, a pochi giorni dalla chiusura delle liste -, ma non a tutti i costi e nemmeno da parte del mio partito c’è la disponibilità a partecipare a queste elezioni europee a tutti i costi. Se ci sono le condizioni di fare alleanze che ci consentano di esprimere la nostra identità e i nostri valori a essere presenti a questa competizione allora abbiamo l’interesse a esserci, diversamente essere cercati solo per portare voti ad altri senza essere incisivi, anche no”. Così è difficile. Anche l’idea di incunearsi tra le fila dell’UDC (che ha scelto Esterina Bonafede) o di Noi Moderati, il partito di Lupi e Romano, è stata accantonata nel volgere di poche ore. Cuffaro è scomodo e forse lo è anche la Donato.
Un altro che rimarrà fuori dal giro, per propria scelta (così dice) è l’ex europarlamentare grillino, Ignazio Corrao, che nel 2019 ottenne la rielezione con oltre 115 mila preferenze. Non passa neppure un anno dal trionfo e comincia a fare le bizze: vota contro una risoluzione a favore del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, e viene sospeso dal M5s per un mese. Poi è incitato ad andarsene e nel giro di qualche settimana, assieme a tre colleghi, si organizza per un trasferimento ai Verdi. Coi grillini è finito l’amore. “Dopo dieci anni di servizio, ho tenuto fede a quanto più volte affermato pubblicamente decidendo di non ricandidarmi alle prossime elezioni europee – ha detto Corrao di recente -. Ringrazio di cuore sia tutti coloro che mi hanno sostenuto negli anni e incitato a partecipare anche a questa tornata, sia chi ha espresso apprezzamento verso il mio lavoro offrendomi un posto in lista”.
Nulla da fare, la decisione è presa. Fra i detrattori di Corrao al momento del suo abbandono, uno dei più accaniti era Dino Giarrusso, l’ex Iena: “Dopo mesi di condotta imbarazzante – scrisse sui social – dopo circa 160 voti contrari alla delegazione Cinquestelle, dopo la prolungata assenza dalle riunioni interne e dopo innumerevoli attacchi pubblici interni al Movimento e ai suoi portavoce, quattro ex-colleghi eletti grazie al simbolo del MoVimento 5 Stelle, svelano definitivamente il loro volto di meschini voltagabbana e di traditori del mandato elettorale, aderendo ai Verdi europei”. Passa un anno e mezzo e anche Giarrusso – in rotta con la classe dirigente siciliana e furioso per le scarse attenzioni riservategli da Giuseppe Conte – si spoglia della casacca grillina: il M5s, infatti, sarebbe diventato lo “zerbino” del Partito Democratico, cui proverà ad aderire in seguito. Ma soltanto dopo aver siglato un patto, durato un paio di mesi, con quel “diavolo” di Cateno De Luca: i due saranno promotori, insieme, del primo esperimento di Sud chiama Nord, ed entrambi presenteranno il simbolo alle Politiche. Solo che quello di Giarrusso viene escluso. Per l’ex Iena – che è stato un collaboratore dell’ex ministro dell’Istruzione, Fioravanti – si tratta di una fine ingloriosa: conserverà il seggio fino al termine della legislatura, ma poi a Bruxelles non metterà più piede. Non da europarlamentare. Il tentativo di approcciare col Pd, e in modo particolare con l’ex candidato alla segreteria, Stefano Bonaccini, si è infranto sul nascere. “Chieda scusa per le persone che ha offeso”, gli chiese pubblicamente Bonaccini. Le sta ancora aspettando…
Chi non ha cancellato il proprio passato è, invece, Raffaele Stancanelli. L’ex sindaco di Catania, protagonista della destra siciliana, si è trovato però di fronte a un bivio: uscire mestamente di scena perché il suo partito – Fratelli d’Italia – aveva deciso di silenziarlo; o accettare le lusinghe di Salvini e proporsi per la seconda volta di fila al parlamento europeo. Ha scelto la seconda, e ieri mattina è stato presentato a Palermo dall’attuale commissario del partito, Claudio Durigon. Salvini gli ha steso un tappeto rosso, Sammartino (il suo sponsor politico) pure. La competitor interna più accanita è Annalisa Tardino, che è legata al Carroccio da un patto di fede, nonostante le manovre dei sammartiniani che, negli ultimi mesi, le hanno reso la vita impossibile. L’europarlamentare di Licata è stata costretta a cedere lo scettro del partito (era segretaria regionale) per impegnarsi in campagna elettorale. Alla fine sarà premiata dal ruolo di ‘capolista’, ma dovrà guadagnarsi ogni singolo voto a mani nude.
Gli altri due uscenti che non dovrebbero faticare più di tanto a ottenere un seggio a Bruxelles provengono entrambi dal Pd: ma se Pietro Bartolo aspetta la conferma ufficiale da Elly Schlein per stampare i 6×3, Caterina Chinnici l’ha già fatto. Ma solo dopo aver cambiato schieramento, un anno fa, comunicando la propria adesione a Forza Italia. Quanto possa esserci di più distante dalla sua storia e dal suo concetto di “giustizia”. Macché importa. Nel mercimonio di ideali e di valori che investe la politica, neppure un magistrato come lei si è posta due domande (ad esempio: chi è l’altro fondatore di Forza Italia assieme a Silvio Berlusconi? Indizio, il nome è Marcello…). Tajani la premierà col ruolo di capolista nella circoscrizione Isole. La Chinnici potrà beneficiare dello scontro ad alta quota tra Falcone e Tamajo (chiunque dovesse arrivarle davanti avrà la priorità di rimanere nella giunta Schifani) e dell’appoggio del Mpa di Raffaele Lombardo. Evviva la coerenza.