Fosse stato solo l’abito da mezza sera di pizzo, schiena scollata, volants sulle spalle, indossato a mezza giornata da Virginia Saba, la signorina che accompagna il vicepremier Luigi Di Maio nel ruolo di fidanzata. Fossero stati solo gli stivali leopardati di Barbara Palombelli (non possiamo crederci: una signora di così buona educazione, una giornalista così in gamba); fosse stato solo il tripudio di nero, erroneamente considerato un passepartout, delle mogli dei nuovi notabili, incerte e spaesate, e delle ex ministre insicure di sé e mal consigliate. Il ricevimento al Quirinale per la Festa della Repubblica, un tempo ambitissimo dai banchieri e dai grand commis che restavano a Roma anche oltre al data dell’annuale relazione del governatore della Banca d’Italia, ora ne è rifuggito come la peste.
C’è un limite anche alla prevalenza del cafone, dicono. Lo scorso week end si è visto di tutto e soprattutto, ça va sans dire, sulle signore. Una delle poche che avessero capito dove si trovava, che ora fosse e per quale scopo dovesse essere lì era la figlia del presidente Sergio Mattarella, Laura. Ma lei lo sa per nascita, cultura, censo. Come lo sanno Chiara Beria di Argentine, elegantissima in abito bianco/nero, capelli raccolti, Elsa Monti, e tutte le signore in abito da giorno elegante, leggermente colorato, lungo al ginocchio (avere belle gambe non è motivo sufficiente per mostrarle nel palazzo del presidente della Repubblica: ci sono altre occasioni). Il bon ton, le regole del vivere civile, saranno pure ufficialmente passate di moda. Ma continuano ad esistere. E non smettono di tenere chiuse certe porte che nemmeno il plebiscito su Rousseau, e il cerimoniale della Presidenza della Repubblica, bastano a forzare.