C’è, a dirla tutta, una cosa ancora più fastidiosa del matrimonio barocco e scomposto di Tony Colombo celebrato per le strade di Napoli. C’è, ai miei occhi e alle mie orecchie, qualcosa di ancor più dissonante rispetto allo sfarzo pomposo, ai cavalli, all’orchestra, ai ballerini e ai fuochi d’artificio con cui il neomelodico palermitano ha voluto suggellare l’amore con la sua donna. E riguarda proprio lei, la moglie, appellata dai media, sui social, da tutti, ripetutamente, insistentemente, inesorabilmente, come la vedova del boss, come fosse un marchio a fuoco sulla pelle, un tatuaggio indelebile, un fine pena mai; come se il nome fosse un ingombro inutile, un particolare di nessuna importanza.
Tony Colombo sposa l’ex moglie del boss, una litania fastidiosa a cui nessun titolista si è sottratto, avallando così – a prescindere dalle colpe presunte di lei – una sorta di razzismo strisciante, inchiodando la sposa a un’immagine – l’immagine appunto della vedova del boss – che dovrebbe farci gridare allo scandalo e inorridire, riducendo una donna, con tutta la sua storia, la sua complessità, la sua vita, a un brand, a uno stereotipo, a una semplificazione giornalistica. Tu sei quella e resti quella.
La cosa più fastidiosa, se ci pensate, non è il matrimonio inutilmente sfarzoso – di quello sfarzo che il nostro buongusto e il nostro senso della realtà ci impedisce, giustamente, di apprezzare – ma privare una donna del suo nome e cognome, sottraendole il diritto a una vita nuova, imprigionandola in fondo a un passato che diventa forzatamente presente e futuro.
A proposito, lei si chiama Tina Rispoli, e ho il sospetto che renderemmo un servizio a tutte le donne, anche a quelle col trucco pesante che si sposano coi cavalli per le strade di Napoli, se provassimo finalmente a chiamarla, senza con questo volere cancellare un passato fatto di scelte sbagliate, col suo nome e cognome.