Ero in piazza Magione, a Palermo, e ho cercato di muovere quattro passi tra bottiglie rotte, cartacce, lattine e altri rifiuti abbandonati da persone che vivono vite infelici. Perché solo chi è infelice può pensare che un mondo lordo sia il posto ideale in cui stare e al quale dedicare disattenzioni ad hoc.
Poi ho percorso col mio monopattino i cinque chilometri che mi separavano da casa utilizzando le poche vie ciclabili della città – tutte criticate senza imbarazzo da un’intellighenzia prêt-à-porter che è una vera metastasi culturale – e ho rischiato di essere investito da una signora che dava più attenzioni al suo telefonino che alla strada. Ha frenato all’ultimo istante e, risentita per essere stata distratta dalla sua conversazione, mi ha incautamente guardato male: sui trenta secondi seguenti vi faccio omaggio di una rispettosa censura.
Poco più avanti, oscurato da una macchina posteggiata di traverso sulla mia corsia, ho quasi inciampato in un altro monopattino, abbandonato come si abbandonano in questa città le cose di tutti: senza rispetto, impuniti, tanto la cosa non è mia non me ne fotte niente.
Un chilometro oltre, una montagna di sacchetti dell’immondizia lasciati dove non c’è motivo che fossero mi ha causato un ulteriore brivido di indecenza. Li ho schivati con una strana consapevolezza: più che tensione per l’ennesimo scampato pericolo, ho provato schifo. Schifo per una comunità che non è comunità. Schifo per l’indecenza di ritenere normale il fatto di considerare i rifiuti qualcosa di cui non curarsi: un principio cardine della civiltà contemporanea.
Ultimo semaforo, casa in vista, coglioni rotanti (alla luce di quanto detto).
Verde per me, rosso per gli altri. Tranne che per un tipo in bicicletta che mi punta e quasi mi centra in pieno. Io verde, lui rosso. Io giusto, lui sbagliato. E mi guarda. E lo guardo. Sbando e mi fermo. Sono una iena. Lui pedala, bofonchia qualcosa in una lingua che non conosco (gli immigrati sanno essere incivili e coglioni esattamente come noi). E se ne va. Per fortuna.
Questa è Palermo. Questa è la città senza possibilità di redenzione. Una città dove, al di là dei luoghi comuni, non esiste un barlume di coscienza civica. Dove l’altro è solo un deretano di cui approfittare possibilmente a spese di un altro. Dove il colpevole è sempre il governo, chi comanda. Mentre vige un’indecente legittimazione di popolo a rubare, sporcare, delinquere, oltraggiare con la presunzione di rimanere impuniti. Sì, che schifo (detto da chi lo schifo lo combatte da sempre, senza successo).