Poi un giorno venne il Papa. E la città si trasformò. Spuntarono netturbini e operai a frotte. Ripulirono strade e piazze, le asfaltarono, le ingentilirono. Lavorarono di giorno e di notte e sparirono erbacce e sterpaglie, rifiuti e buche. Quell’otto maggio del 1993, Agrigento, la mia città, era imbellettata come una magnifica donna pronta per uno sposalizio regale. Non l’avevo mai vista come quel giorno. Se ne accorse (o forse glielo dissero) pure Giovanni Paolo II° che nel suo primo intervento di quella visita, prima del famoso anatema nella Valle dei templi contro i mafiosi, si complimentò, ma bacchettò pure in qualche modo le amministrazioni comunali che “aspettano che venga un Papa per ripulire la città” disse il Pontefice. E aggiunse: “Vorrà dire che dovrò venire più spesso”.
C’è un vecchio detto, una polirematica dicono i puristi, che recita “una volta ogni morte di Papa”, e si riferisce alle cose che accadono raramente. In quel caso ci volle la visita di un Papa, e non per fortuna la sua morte, per garantire ai cittadini quei servizi elementari che qualsiasi amministrazione dovrebbe assicurare quotidianamente senza renderli, appunto, eccezionali, legandoli a un evento straordinario. Si dirà: è così ovunque, ed è sempre stato e sarà sempre così. D’accordo. Ma proviamo a chiederci perché. Non “perché succede” che si faccia di tutto per pulire e abbellire la città in vista dell’evento eccezionale. Ma piuttosto “perché bisogna aspettare quell’evento!”.
Per intenderci, lasciamo perdere il caso di Agrigento, vecchio ormai di un quarto di secolo, e prendiamo Roma di questo tempo. C’è voluto il Giro d’Italia di ciclismo per far spuntare operai e macchine spanditrici, anche di notte, per tappare le buche lungo il percorso di gara, nel cuore della città. E attenzione, quando si parla di buche di Roma, non pensate a buche qualsiasi disseminate qua e là come ce ne sono inevitabilmente un po’ in ogni città: ma le buche di Roma! Che solo chi vive nella capitale sa di cosa si tratta. Le buche di Roma non si contano più. Si calcola, a occhio e croce, che siano più di cinquanta mila. Ce ne sono di ogni forma e dimensione e profondità. Puntellano come trappole ogni strada, di centro e di periferia. Per chi calasse da Marte e non capisse l’entità del fenomeno, prosaicamente potremmo raccontare che le buche ispirano da tempo sbeffeggiamenti e goliardie sui social. Come rassegnati, i romani provano almeno a riderci su e non perdono occasione per “sfottere” la sindaca Raggi, con fotomontaggi di ogni sorta. Ma bisogna affrontarne gli effetti tragici per dare contezza della portata del problema.
Di buche a Roma si muore. E non è un modo di dire. O quando si è fortunati, si finisce in ospedale. Oppure si è costretti a portare la moto, o la macchina, dal meccanico. E le richieste di risarcimenti fioccano. Per dare un’idea, nel 2017 sono state poco meno di quattromila, quasi 11 al giorno. E il comune paga: meglio, noi contribuenti paghiamo. Solo per il 2016 sono stati liquidati rimborsi per circa sette milioni di euro. E in questo tormentato 2018 si viaggia a una media di un’ottantina di casi al giorno. Insomma, ce n’è abbastanza per scomodare la procura della Corte dei Conti che recentemente ha aperto un’indagine e ordinato alla Guardia di Finanza un’ispezione al Campidoglio, negli uffici del dipartimento lavori pubblici.
Ora succede che, nella magnifica Capitale, alle amministrazioni attuale e precedenti, non sia servito e non serve aspettare che il Papa venga in visita: ci vive a Roma! E capita abbastanza spesso che sua Santità si muova da un quartiere all’altro della città, per visitare chiese e quartieri anche delle periferie più difficili. Per i suoi spostamenti le uniche cose che gli vengono garantite, inevitabilmente, sono un puntiglioso ordine pubblico e la chiusura al traffico delle strade interessate dal suo passaggio (giusto il tempo che passi!). E chissà se Papa Francesco, lungo i suoi percorsi, se ne sia accorto delle condizioni delle strade romane. Improbabile che l’utilitaria con cui si sposta (la Papa-mobile la usa solo nel giro domenicale di piazza san Pietro), non abbia mai centrato una buca, non abbia sobbalzato su un avvallamento, o “ballato” sui disconnessi sampietrini. E chissà se l’autista del Papa rispetti i nuovi limiti di velocità imposti dal Campidoglio: 30 all’ora in molte strade urbane, contro il classico 50 Km/h, se non addirittura 10 all’ora in alcuni tratti. Limiti, sospettano i più maliziosi, abbassati non tanto per evitare che qualcuno si faccia male, quanto per mettersi al riparo da ulteriori richieste di risarcimenti danni, che stanno ingolfando gli uffici preposti.
Niente, qui la presenza del Papa non ha sortito gli stessi effetti che ha avuto ad Agrigento, e in tutte le altre città dove il Pontefice si reca in visita. Ma dove non poté lui, ecco che ha potuto niente di meno che una manifestazione sportiva. Sì, la giunta pentastellata guidata da Virginia Raggi, la stessa che è riuscita nell’impresa di far perdere a Roma addirittura le Olimpiadi, all’improvviso, folgorata sulla via di Damasco – per usare una metafora di sapore cristiano- dopo aver allargato le braccia alla Formula E, con le sue potenti auto elettriche a sfrecciare all’Eur, ecco blindare il centro della Capitale per la tappa finale del Giro d’Italia di ciclismo.
Una vetrina internazionale, di grande richiamo, (se ne sono infine convinti in Campidoglio) ed ecco allora, quasi per magia, spuntare operai e spanditrici di bitume, a lavorare anche di notte, per tappare le buche lungo gli undici chilometri di percorso, nel cuore antico della città. Chissà cosa avranno pensato tutti coloro che ogni giorno affrontano la gimkana romana per evitare le buche. L’equazione appare facile e prevedibile: quando vogliono, soldi e operai spuntano. Ma serve il grande evento, e non le denunce di migliaia e migliaia di automobilisti e centauri. Funziona sempre e dovunque così. Sì, è vero. Ma in questo caso, nonostante abbiano avuto sei mesi di tempo, è finita che si son ridotti alle ultime ore per tappare le buche.
E quando infine la Rai si è collegata per il Giro, le telecamere sugli elicotteri hanno diffuso in diretta internazionale, le strepitose immagini della ricchezza archeologica e architettonica di Roma, con le note stonate di quelle ferite sulle strade rattoppate alla meno peggio. Ma il bello, pardon, il brutto doveva ancora arrivare. Già al primo giro i corridori si sono resi conto che con le loro sofisticate bici quel percorso così accidentato era un pericolo, per la loro stessa incolumità. Si sono passati la voce e stavano per inscenare una protesta plateale e clamorosa: fermarsi! Sono stati consigliati di evitare che la figuraccia di Roma andasse in diretta in mondovisione. Ma l’effetto c’è stato lo stesso. Perché la gara è stata neutralizzata, come si dice in gergo. I tempi cioè annullati ai fini della classifica. Il trionfatore del Giro che si è fermato molto prima della fine della passerella, e i siti che rilanciavano la notizia, anzi, la vergogna, e i social che si scatenavano a sbeffeggiare il Campidoglio. Come dire? Dove non ha potuto il Papa, figuriamoci una corsa di ciclismo! Chissà se duemila anni dopo, per rifare le strade Roma non debba aspettare il ritorno del Messia. Ma questo, francamente, sarebbe chiedere troppo.