Faccio questo mestiere da 45 anni, tanto da poter testimoniare quanto sia cambiato e non sempre in meglio. Le conferenze stampa, ad esempio: sembrano ormai noiosissime convention aziendali in attesa del segue buffet, messe cantate che da un momento all’altro ti aspetti che echeggi il tantum ergo sacramentum, recite scolastiche nelle quali nessuno ha giustamente cuore di cogliere l’ingenua imperizia nella piccola alunna che snocciola la Vispa Teresa. Non un’obiezione, non un dubbio, non una perplessità vengono sollevati e se qualche eroico collega vien colto dall’ormai inusuale estro gli altri lo osservano sgomenti o indispettiti, come fosse un’apparizione satanica o nel migliore dei casi un guastafeste.
Me lo chiedevo mentre il professor Orsini parlava in tv del suo immagino fitto epistolario con le mamme della martoriata Mariupol che gli scrivono affrante pregandolo di intercedere (credo) perché non vengano più spedite armi in quella che è al momento la più infelice plaga del mondo, di far capire col suo argomentare che per il futuro dei loro figli sarebbe auspicabile una resa onorevole o disonorevole purchessia. Oddio un cornuto (è un modo di dire gergale qui a Palermo, voglio rassicurare l’Ordine che non v’è volontà di contumelia alcuna verso gli esimi colleghi) che alzi il ditino per chiedere: scusi, professore, ci potrebbe mostrare qualche lettera di questo doloroso carteggio Mariupol-Roma? Omettendo le firme, ovviamente, per ragioni di sicurezza oltre che di privacy, ma un solo foglio, una sola delle mail accorate che quelle mamme indirizzano a lei in quanto inclito accademico italiano? Perché domandare è lecito. Qui. Ancora. Forse.
(tratto da Facebook)