Il 3 aprile 2024, Giorgia Meloni ha promosso un ricorso avverso le Corte Costituzionale, contro Renato Schifani, impugnando la legge n.3 della Regione Siciliana 31 gennaio 2024 sull’ “Adeguamento delle rette sanitarie per i soggetti fragili” che stabilisce che per «fronteggiare i maggiori costi derivanti dall’esercizio delle funzioni rese dalle strutture riabilitative per disabili psico-fisico sensoriali, dalle comunità terapeutiche assistite, dalle residenze sanitarie assistenziali e dai centri diurni per soggetti autistici, è riconosciuto l’adeguamento tariffario delle prestazioni rese dalle medesime nella misura del 7 per cento, a valere sui fondi del servizio sanitario regionale previo rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative». Analogamente, il comma 2 dell’art. 49 prevede un adeguamento tariffario, nella misura massima del 2 per cento per i centri dialisi.
Giorgia Meloni, in rappresentanza del Consiglio dei Ministri sottolinea che la Regione Siciliana, rappresentata da Renato Schifani, è sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, in base al quale essa non può erogare livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale, con il conseguente rilievo che, secondo il disposto dell’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano medesimo.
Giorgia Meloni inoltre denuncia che la Regione, guidata dalla sua stessa maggioranza politica, non abbia indicato i criteri di calcolo per la quantificazione degli adeguamenti tariffari destinati a valere sui fondi del Servizio sanitario regionale (SSR) e delle relative fonti-dati, con la conseguente mancanza di «elementi informativi sufficienti» per valutare la correttezza dei medesimi adeguamenti, in coerenza con il programma operativo regionale e la relativa cornice economico-finanziaria.
Infine il ricorrente, sempre Giorgia Meloni, rammenta al Presidente della Regione, Renato Schifani, che seppure le regioni sono legittimate a riconoscere variazioni tariffarie sulle prestazioni a carico del SSR, deve restare ferma la garanzia dell’equilibrio economico-finanziario dello stesso SSR, e deve essere assicurato il rispetto della normativa specifica in materia tariffaria, cui devono vieppiù sottostare le regioni che si trovino in piano di rientro.
In parole povere Giorgia Meloni dice tre cose a Renato Schifani:
1 – Non hai i conti in ordine in sanità, sei in piano di rientro e non puoi alzare le tariffe come se nulla fosse.
2 – Non puoi governare a casaccio non individuando criteri precisi che giustifichino le percentuali di incremento delle tariffe.
3 – Le Regioni più ricche, con una sanità che funziona meglio, quelle che non sono in piano di rientro, possono aumentare le tariffe per strutture riabilitative per disabili e per i centri dialisi, le più povere no.
La Corte Costituzionale dà ragione a Giorgia Meloni e legittima tre schiaffoni in pieno volto a Renato Schifani che smontano la narrazione del governo regionale siciliano, sui conti in ordine in sanità e sull’efficienza di un governo accusato di amministrare alla “carlona”.
Successivamente il Tar del Lazio sospende l’entrata in vigore dei nuovi Lea introdotti dal Governo di Giorgia Meloni perché i rimborsi previsti per le prestazioni sono troppo bassi, le tariffe non tengono conto dell’incremento dei costi e delle difficolta’ operative causate dalla pandemia e dalla crisi economica, era cioè chiarissimo che occorressero piu’ risorse. Inoltre pone dubbi serissimi sul fatto che si possano aggiornare tariffari fermi da anni con lo strumento del decreto. Salvo poi, dopo appena 24 ore, sempre il tar sospendere la sospensiva per il rischio caos che genererebbe. Un vero pasticcio.
Anche la “maestrina” prende i suoi sonori schiaffoni e così il sistema sanitario italiano ed in particolare quello delle regioni più povere, commissariate o in piano di rientro, sprofonda sempre più giù.
Se poi vogliamo concentrarci maggiormente sulla Sicilia emerge chiaramente un punto sul quale né la Meloni, né Schifani, sembrano voler trovare una soluzione: sono già 18 anni che la sanità siciliana è in piano di rientro. Un limbo infinito che condiziona pesantemente le scelte strategiche sulla nostra sanità. Con questa storia delle tariffe, nonostante la sentenza che ha smontato il progetto Calderoli, appoggiato incredibilmente dal governo Schifani, emerge chiaramente che in sanità l’autonomia differenziata è pienamente applicata e che il divario nord/sud è destinato a crescere e con esso l’esodo verso il nord dei cittadini del mezzogiorno che hanno bisogno di cure.
Nel nostro Paese, piaccia o non piaccia, il nostro sistema sanitario è fondato prevalentemente su due pilastri: il pubblico e il privato convenzionato. Se uno dei due cede l’altro ne risente pesantemente e le cure per i pazienti sono penalizzate. Rinverdire uno scontro ideologico, in tempi di carenza di investimenti da parte dei governi centrale e regionali in sanità, sarebbe un errore clamoroso che colpirebbe soltanto i cittadini. Invece, far funzionare bene il sistema, valorizzare le sinergie, eliminare gli sprechi, considerare ambedue gli ambiti servizio pubblico è la scelta più corretta e lungimirante.
Naturalmente questo schema può funzionare soltanto se aumentano gli investimenti in sanità e il privato applica gli stessi principi del pubblico: spirito universalistico e nessuna distinzione nelle cure fra chi dispone di denaro e chi no. Per quel che riguarda la Sicilia devo dire che il governo nazionale e quello regionale per non essere accusati di discriminazione, non fanno alcuna distinzione tra pubblico e privato convenzionato, si dedicano con cura a massacrarli uniformemente.
La collaborazione tra il pubblico e il privato emerge nella gestione emergenziale dei pronto soccorso, dove i pazienti in attesa vengono inviati alle strutture private per il ricovero, a causa dell’insufficiente disponibilità di posti letto negli ospedali pubblici. Questa situazione, esplosa con la pandemia, è diventata un problema ormai strutturale, dato che la riduzione dei posti letto è un fenomeno cronico.
Tuttavia, il Governo Regionale stabilisce un budget annuale che risulta insufficiente a soddisfare la domanda crescente di prestazioni sanitarie. Le strutture private si trovano quindi costrette a rimanere entro i limiti del budget assegnato, ma a causa dell’aumento dei bisogni sanitari, le risorse disponibili finiscono già a novembre. Si moltiplicano sempre più i casi di permanenza per giorni e giorni in pronto soccorso dei pazienti che non trovano posti né nei reparti degli ospedali pubblici, né nelle strutture private, l’ho potuto toccare con mano io che sto girando tanto gli ospedali.
La soluzione a questo problema richiede maggiori investimenti in sanità e una riforma strutturale del sistema di finanziamento, per garantire la continuità dei servizi e non interrompere le cure essenziali, soprattutto in un contesto di crescente domanda sanitaria.
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Davide Faraone è il capogruppo alla Camera di Italia Viva