Le due piaghe di Sicilia

Gianfranco Micciché, presidente dell'Assemblea regionale, sul prossimo assessore: "Non sarà facile dopo Sebastiano"

Una splendida donna e attrice, quale fu Ingrid Bergman, affermava che per essere felici occorre buona salute e cattiva memoria.

Se prendiamo per buona la cosa, noi siciliani, con la memoria cortissima di cui disponiamo, a quest’ora dovremmo essere tutti quanti felicissimi. Purtroppo così non è.

Anzi abbiamo patito per cinquant’anni sulla nostra pellaccia la piaga del fenomeno mafioso e non contenti, una volta estirpata buona parte della malerba, ci siamo anche sorbiti qualche decennio di antimafia. Una pianta che, in fin dei conti, s’è dimostrata altrettanto dannosa e infestante.

Altro che felici: cornuti e mazziati!

Sì, perché in nome di quest’ultima – l’antimafia – abbiamo permesso che si esercitasse, come usava dire Sciascia, “una specie di terrorismo, perché chi dissentiva da certi metodi o da certe cose era subito accusato di essere un mafioso o un simpatizzante”.

Abbiamo permesso, spirito critico mancando – per citare nuovamente lo scrittore di Racalmuto -, che sulla carcassa ormai fredda di un’organizzazione criminale decapitata proliferasse un parassita della società il quale ha costruito carriere, strutture di affari e relazioni di potere.

Invece di chiudere la partita con la mafia, dopo averla combattuta con gli strumenti consoni, quelli propri della democrazia – la giustizia -, abbiamo issato i gonfaloni dell’antimafia militante e portato in processione i nuovi idoli: le manette. Abbiamo creato dei mostri – i manettari – e una narrazione epica tutta per loro – l’imbattibilità dei mafiosi.

Abbiamo dimenticato e cito ancora Sciascia: “Al simbolo della bilancia abbiamo sostituito quello delle manette – come alcuni fanatici dell’antimafia in cuor loro desideravano – e ci siamo perduti irrimediabilmente”.

Storditi da refrain e ritornelli, non ci siamo nemmeno accorti di aver nutrito schiere su schiere di professionisti dell’antimafia, sciacalli, degenerazioni della lotta ad una organizzazione criminale che altrove sarebbe stata di competenza delle istituzioni, mentre in Sicilia prendeva le forme dell’ennesima trionfale pupiata.

Che cali allora, una volta e per tutte, il sipario su marionette, pupari e palcoscenico. Mettiamoci una pietra su ma non dimentichiamo come andarono veramente le cose: chi furono i carnefici, le vittime e gli sciacalli.

Ricordiamo. Anche a costo di dover dar torto alla Bergman. Meno felici magari, ma certamente più consapevoli.

Gianfranco Micciché :

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