Il governo ha iniziato ad annaspare: la sospensione del giudizio di parifica da parte della Corte dei Conti, e il pasticcio sull’emendamento ‘Salva Sicilia’ (declamato da Schifani), ha fatto conoscere ai siciliani la vera natura dell’opposizione. Finendo per confermare le premesse: che di opposizioni ne esistono almeno un paio. Per stile, per tono, per contenuti. E magari – ma questo lo scopriremo solo vivendo – per la capacità di incidere non soltanto sui processi della spesa, ma anche sugli aspetti più turbolenti e tormentati che un’esperienza di governo presuppone: vale a dire i rapporti con le lobby, coi potenti, con gli affaristi. Ne girano tanti all’interno degli assessorati. Ma la qualità dell’azione amministrativa va misurata in rapporto alla capacità di resistere agli interessi di parte, lasciando che a primeggiare siano quelli collettivi. Un sogno? Probabile.
E’ in base all’approccio a questa problematica, però, che è più facile discernere tra le opposizioni. Ad esempio, il presidente della commissione Antimafia, Antonello Cracolici (Pd), ha affidato un incarico legale – freschissimo – a Francesco Stallone e Pier Carmelo Russo, ossia i due avvocati che esigono dalla Regione una mega parcella da 5 milioni per averla difesa, su indicazione dell’ex governatore Raffaele Lombardo, contro i colossi dei termovalorizzatori. Il presidente Schifani ha sospeso il pagamento, chiedendo l’intervento del segretario generale Maria Mattarella per capire le origini di questo giallo. L’ex assessore Russo, per tutta risposta, ha deciso di tagliare i ponti con la Regione: informando Schifani e, per conoscenza, Cracolici, che a seguito del mancato rispetto di una scrittura privata dell’11 ottobre con l’Ufficio legale e legislativo (e sconticino annesso), sarà il Tribunale di Milano a far valere le sue ragioni, stabilendo l’ammontare della parcella.
Per Cracolici – che nel frattempo si è costituito in giudizio al Tar per resistere al ricorso dell’autonomista Di Salvo, escluso dall’Ars per una manciata di voti – non si tratta di una posizione comoda. Tutt’altro. Questa e altre situazioni, ma soprattutto altri comportamenti, finiranno per determinare le caratteristiche e l’imprinting dell’opposizione. Delle opposizioni. Cateno De Luca, al netto della versione populista a tratti preponderante, finora ha dimostrato di essere poco avvezzo ai compromessi. Potrebbe aver dato una mano all’elezione di Gaetano Galvagno alla presidenza dell’Ars, ma ha rifiutato – per sé e per il suo gruppo – un posto nel Consiglio di presidenza: Giuseppe Lombardo, eletto segretario deputato a sua insaputa, si è dimesso un minuto dopo. Difficile cogliere il confine fra la scelta di comodo e la scelta di principio. Ma ci vengono in aiuto le puntate successive.
De Luca è stato il primo a ‘impugnare’ l’accordicchio da 200 milioni fra Renato Schifani e Giancarlo Giorgetti, passando subito alle vie di fatto: la presentazione di una mozione di sfiducia nei confronti del presidente della Regione. L’accusa? Alto tradimento. “Si tratta di un accordo – evidenziano i deputati di Sud chiama Nord e Sicilia Vera – stipulato in assenza di una delibera di giunta che ne autorizzasse la trattativa”, che “ha disatteso l’iter previsto assumendo la connotazione di una mera trattativa privata tra Schifani e Giorgetti”. Il pactum sceleris, attraverso il quale la Sicilia rinuncia alle compensazioni finanziarie dal 2007 al 2021 in tema di accise, per De Luca rappresenta “una vera e propria truffa ai danni della Sicilia di cui si è reso responsabile lo stesso Schifani che, in quell’arco temporale ha ricoperto anche il ruolo di presidente del Senato e che con il suo silenzio e disinteresse non ha fatto nulla per risolvere la questione (…) Consideriamo il comportamento del Presidente Schifani imputabile di alto tradimento nei confronti dello Statuto siciliano”.
L’invito diretto alle opposizioni di sottoscrivere la mozione, probabilmente, cadrà nel vuoto. Siamo agli inizi e non ci sono i numeri per “licenziare” il presidente. E la sortita, di per sé, rischia di apparire velleitaria, oltre che strumentale. Ma stabilisce un confine “fra noi e gli altri”. D’altronde, il tentativo di De Luca, in questo avvio di legislatura, è di stabilire la vera connotazione dei suoi gruppi: allergici ai compromessi e agli inciuci; presìdi di legalità e giustizia. Con l’utilizzo di una teatralità (è arrivato a occupare il pulpito di Sala d’Ercole per contestare alcune norme delle variazioni di bilancio, ottenendone lo stralcio) che certamente lo rappresenta e lo differenzia dalla concorrenza.
M5s e Pd ai “compromessi” hanno ceduto eccome. I grillini hanno ottenuto la vicepresidenza dell’Ars con il referente regionale Nuccio Di Paola; i dem hanno eletto un deputato questore (Nello Dipasquale) e piazzato Cracolici ai vertici della commissione Antimafia. Due scelte frutto di accordi parlamentari che De Luca, sbagliando, demonizza. Fa parte del gioco. Però sarà difficile tornare indietro, per gli uni e per gli altri. Anche M5s e Pd hanno contestato, spesso in maniera aspra, le scelte del governo sui conti pubblici. Anche loro si sono ripromessi di non firmare assegni in bianco, e chiesto la presenza di Schifani in aula per avere qualche ragguaglio in più sulla svendita della Sicilia (la rinuncia ai famosi 9 miliardi). Ma nel frattempo continuano a contendere al centrodestra le caselle del sottogoverno o, comunque, a indirizzarle verso le soluzioni politicamente più digeribili.
I Cinque Stelle, nel corso dell’ultima legislatura, avevano trovato un feeling innaturale – per approccio e visione – con il presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché, arrivando a elogiarne le capacità di sintesi all’interno di un’aula svilita da Musumeci. E sembravano aver inaugurato, con l’ex leader Cancelleri, la stagione del “compromesso storico”, aprendo al modello Draghi e a un dialogo con gli Autonomisti di Lombardo. Anche Caterina Chinnici, l’ex candidata del Pd alla presidenza della Regione, non chiuse mai del tutto al coinvolgimento dell’ex governatore (suo mentore politico) durante le primarie di coalizione (facendo inorridire Claudio Fava). Di quel tentativo restano in giro molte tracce. Che in alcuni frangenti, come nel caso della parcella d’oro, riprendono vita. Russo, che oggi difende Cracolici al Tar, ha assistito la Regione per conto di Lombardo. Barbagallo, oggi segretario del Pd impegnato nella spola fra Palermo e Roma, è stato un autonomista della prima ora. C’è qualcosa, nelle inclinazioni della politica, che va oltre gli schieramenti e le questioni di principio. E talvolta ci inciampa sopra. Ma chi è disposto davvero ad aprire gli armadi degli scandali?
Da un lato De Luca, dall’altro il Pd, in mezzo i Cinque Stelle. Con questi chiari di luna Schifani potrebbe soffrire. Non a tal punto da temere una mozione. Al massimo qualche imboscata passeggera.