Le due autostrade senza padroni

La storia di corruttela che ruota attorno al Cas, dove sedicenti funzionari promettevano assunzioni in cambio di appalti, ha fatto esplodere la bolla del Consorzio per le Autostrade Siciliane, che il governo Musumeci avrebbe voluto rilanciare dopo anni di mala gestio (e anche per dare una lezione a quegli “inadempienti” di Anas). A poco valgono le parole dell’assessore alle Infrastrutture Marco Falcone (“Vogliamo formulare un plauso per l’accurato lavoro inquirente compiuto da Procura e Dia di Messina riguardo i presunti affidamenti truccati”) se poi la situazione è incendiaria. Non solo sul piano morale ed etico, ma anche sostanziale. Il Cas, infatti, controlla la Palermo-Messina (A20) e la Messina-Catania (A18), un asse viario che, come sottolinea il gip dell’inchiesta, è “già drammaticamente e notoriamente afflitto da gravi carenze strutturali”. E si occupa della parte esistente della Siracusa-Gela, fino allo svincolo di Rosolini. Un’arteria iniziata nel ’68 e mai terminata.

Il vice-ministro delle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri, già da mesi ha sottolineato le circa 800 procedure di “non conformità” del Cas e, all’indomani dello scandalo, è andato oltre: Il Ministero non ha competenza su quelle strade, ma ha la responsabilità di controllare cosa fa il concessionario con i beni dello Stato. Ebbene il Cas infrange 800 volte codice stradale, di sicurezza stradale e non assicura assistenza, insomma è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Credo che sia arrivato il momento di avviare un’operazione verità e prendere in serio esame la revoca della concessione. I cittadini – ha sottolineato l’ex vicepresidente dell’assemblea regionale siciliana – hanno il diritto di percorrere strade sicure e lo Stato ha il dovere di non permettere a nessuno di lucrare impunemente sui beni dello Stato e del popolo”. Falcone lo ha invitato ad accomodarsi (“Se ritiene sia la soluzione, faccia pure”), ma in realtà sul capitolo infrastrutture le spade si sono incrociate da tempo. Specie dopo l’ultima rivendicazione del governo Musumeci, che ha aperto una vertenza con Anas per denunciare lo stato d’abbandono delle infrastrutture gestite direttamente dall’azienda di Stato. Ma, come accade spesso, non ha guardato al proprio orticello.

Fra le 800 “non conformità” del Cas, ce n’è per tutti i gusti: una gestione delle emergenze considerata “non idonea per capacità tecnica, organizzative e gestionale” (sulla Palermo-Messina, ad esempio, le centraline sono ancora avvolte dal cellophane); una “ridotta attività di sorveglianza e monitoraggio delle opere d’arte e la mancata attuazione delle connesse prescrizioni”; la “non idonea attività di sorveglianza del patrimonio autostradale e la mancata attivazione e definizione dei relativi procedimenti”. Il 20 maggio scorso, lungo la A20, è stato sequestrato un viadotto a rischio crollo, nei pressi del Comune di Caronia. E che dire della frana di Letojanni, che a distanza di 5 anni, limita fortemente la circolazione sul versante Tirrenico, alle porte di Taormina. Dopo una lunghissima gestazione, il 15 novembre 2019 il presidente Musumeci aveva consegnato i lavori (costati circa 15 milioni) a un raggruppamento temporaneo d’imprese. Il Coronavirus ha rallentato tutto. Da qualche giorno gli operai sono tornati nel cantiere e hanno ripreso la messa in sicurezza del costone. Le opere di consolidamento dovrebbero concludersi ad agosto, mentre la consegna – con la riapertura della carreggiata in direzione Catania – è prevista nel maggio 2021 (al netto di ritardi).

Tutto va a rilento. In mezzo ci si mette anche l’ultima inchiesta giudiziaria, che ha spinto il gruppo dei Cinque Stelle all’Ars a richiedere l’intervento della commissione regionale Antimafia. “I continui episodi di corruttele e i cantieri infiniti dimostrano che sul Consorzio Autostrade Siciliane ci sono troppe ombre che pesano sulle tasche e sulla vita dei siciliani. Solo l’assessore Falcone qualifica il Cas come un gioiello di famiglia, dato che ad oggi il fallimento è sotto gli occhi di tutti. Chiedo – scrive Antonio De Luca – che si apra un’inchiesta in commissione antimafia”. “Da anni incalziamo la Regione – aggiunge la deputata messinese Valentina Zafarana – a mettere ordine in un consorzio che viene gestito come un carrozzone che non adempie ai più elementari compiti per cui è nato, come la manutenzione delle strade e che per di più ha accumulato debiti per milioni di euro”. “La cosa che più dispiace – concludono De Luca e Zafarana – è che questo governo regionale è sempre in prima linea quando si tratta di far polemica e criticare il governo nazionale sulle infrastrutture, quando invece chiude gli occhi sulle continue e pesanti inadempienze di casa propria”.

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