Non ha fiatato di fronte alle decisioni di Giuseppe Conte, che ha riportato l’Italia in “zona gialla” e dato qualche suggerimento su come affrontare le feste; né di fronte alle richieste pressanti di Micciché, che da mesi gli chiede di poter fare un “rimpastino” in giunta; tanto meno al cospetto di Nas e ispettori del Ministero, la cui presenza è suonata come un avvertimento a manager e politici: non si sgarra. Così Nello Musumeci ha cambiato strategia. La mozione di censura nei confronti di Ruggero Razza – un chiaro avviso ai naviganti, un atto che l’ha fatto vacillare soprattutto di fronte alla propria coalizione di governo – l’ha segnato e anche un po’ ferito. Toccato negli affetti più cari – l’assessore alla Salute è una sua scoperta e una sua scommessa – il presidente della Regione non si è ancora levato di dosso l’amara sensazione di essere vulnerabile. Non più invincibile.
Musumeci si è scoperto improvvisamente debole. Lo è diventato ancora di più nei giorni che hanno preceduto quel dibattito in Assemblea, da cui il governo è uscito fiaccato ma non sconfitto. E questo perché la mozione di censura si è trasformata in moneta di scambio. Cioè l’unico strumento per appianare numeri e divergenze. Per curare le ferite di un rapporto che non è mai sbocciato. Di un vissuto sempre più logoro, fra alleati rivali. Forza Italia era pronta a fargli la festa (ma il piano non è mai diventato operativo). Ha sfruttato l’onda che andava abbattendosi sul discepolo Razza, per far valere tutto il peso della sua deputazione: o così o pomì. E gli ha proposto un turnover degli assessori in giunta. Dei propri, non di quelli altrui. Un atto che Micciché ha sempre ritenuto ragionevole, in nome di un’esigenza: rappresentare tutti i territori.
Musumeci, troppo abituato a fare e disfare a proprio piacimento, certo della distanza che separa il suo palazzo da quello del parlamento, ha inghiottito il rospo con sofferenza. E non è ancora convinto fino in fondo, tanto che le operazioni stanno andando a rilento e rimangono alcuni aspetti da limare: il governatore pretende che l’assetto della giunta rimanga tale e quale, che le deleghe non vengano intaccate da spostamenti che finirebbero per coinvolgere anche gli altri partiti in un giro di valzer più ampio. Così sta zitto, e acconsente o grugnisce solo nelle segrete stanze.
In realtà, il “rimpastino” è un pannicello caldo. Coi giorni che passano Musumeci comincia seriamente a dubitare che possa essere ancora lui il candidato unitario del centrodestra alle prossime Regionali. L’accostamento di Miccichè a Lombardo, l’indifferenza di Fratelli d’Italia, la vibrante contrapposizione della Lega – che non gliene perdona una da quando Nello ha rifiutato l’offerta di federazione di Salvini – ma anche e soprattutto la galoppante diffidenza al centro (da Romano a Cuffaro) lo hanno fatto precipitare in una condizione nuova. Da leader indiscusso ad allenatore in bilico. Senza contare che il vecchio Cateno De Luca, diventato il piano-B in assenza di concorrenti (va valutata la situazione di Salvo Pogliese alla luce della condanna sulle “spese pazze”), è sempre una spina nel fianco. Musumeci resta convinto che i siciliani, di lui, sanno di potersi fidare. Ma per tornare a palazzo d’Orleans non serve il loro endorsement – che secondo Micciché, almeno i palermitani, non garantirebbero in alcun modo – ma quello dei partiti alleati e bistrattati. Che in questi tre anni di legislatura Musumeci l’hanno sempre visto sui giornali.
Ecco perché si è deciso di utilizzare Razza come potenziale cavallo di Troia. Non un Armao qualunque, il cui operato è nettamente peggiore del collega più giovane. O di altri assessori, che si muovono a comando come fossero soldatini, fra l’altro con risultati assai modesti. Ma Razza. Quello che, comunque vada, sarà al fianco di Musumeci, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. E’ stato lui, inconsapevolmente, a metterlo nei guai: prima coi tentativi di arpionare consensi a destra (dalla Lega, progetto svanito, a quelli di Attiva, che di certo non l’hanno fatto diventare popolare fra i grillini); e poi con la questione dei posti letto, delle Terapie intensive, dei piani Covid, delle chat Avengers. Tutti argomenti estremamente delicati, che appena non sai destreggiare, ti mandano gambe all’aria.
In questo contesto, Musumeci è ancora in attesa dei risultati dei Nas. Che avrebbero ravvisato qualche discrasia nella dotazione del personale di alcuni ospedali – era naturale, mancando da sempre medici anestesisti e rianimatori – non nel numero effettivo dei posti letto a disposizione, che più o meno coinciderebbero con quelli comunicati al Ministero sulla piattaforma Gecos. Ottenere questo responso sarà come liberarsi di un peso. Lasciarsi il peggio alle spalle. E a quel punto Musumeci potrà tornare a urlare il proprio perbenismo, e a cantare i successi del governo regionale nella gestione critica di questa seconda ondata.
Una fase che potrebbe ancora riservare qualche straordinario di lavoro. A lanciare l’allarme è stato il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, che teme l’esodo dei milanesi “acquisiti” alla vigilia del 21 dicembre, data limite per spostarsi. Tanta gente, soprattutto studenti e lavoratori fuorisede, potrebbe fiondarsi in Sicilia per raggiungere i propri cari. Dichiarando uno “stato di necessità” (il ricongiungimento familiare “semplice” non è ammesso) e ricreando l’ansia della scorsa primavera, della notte fra il 7 e l’8 marzo, quando Musumeci denunciò l’invasione dello Stretto di Messina in maniera burbera e un po’ frettolosa.
La nuova ordinanza, attesa in queste ore, potrebbe essere un nuovo banco di prova, per capire che fine abbia fatto il vecchio Nello. Se esiste ancora o se nel frattempo sia diventato altro. Mansueto, riflessivo, persino un po’ dimesso. L’unica cosa certa è che, rispetto ai calcoli di Regione e Comitato tecnico scientifico, al momento non è stata assunta alcuna decisione particolare sui trasporti che riguardi la Sicilia. Anzi, dal 18 dicembre partiranno pure i voli in continuità territoriale dagli aeroporti di Trapani e Comiso, che permetteranno ai “ritardatari” di fiondarsi nell’Isola per il pranzo di Natale. Il Musumeci di qualche mese fa avrebbe già scatenato l’inferno. Questo, invece, osserva con attenzione le mosse di Roma. Pensa, assieme al Cts, a “misure di contenimento o sorveglianza sanitaria” per chi torna a casa, da condividere, però, con il Ministero della Salute. Musumeci non polemizza, semmai annuisce. E’ un presidente meno disposto allo scontro, alle fughe in avanti, alla schizofrenia normativa. Meno avvezzo alle prove muscolari e alle comparsate tv. Un presidente certamente più debole e, forse, anche un po’ più solo.