Il professor Gaetano Armao, assessore all’Economia, non disdegna mai l’analisi. Ha un’opinione su tutto: sui costi dell’insularità per la Sicilia (“Una tassa da 6,54 miliardi l’anno”); sulle politiche inique di Roma; su quanto sia difficile ottenere dallo Stato “patrigno” il riconoscimento di risorse aggiuntive che “alla Regione spettano” (il cosiddetto accordo di Finanza pubblica che non è mai riuscito a chiudere). Eppure sembra che l’assessore all’Economia sia messo lì, in via Notarbartolo, soltanto per osservare e giudicare (male) gli altri.
Nella nota di aggiornamento al Defr, il documento di Economia e finanza regionale, Armao ha sottolineato come la previsione del Pil si aggravi ulteriormente rispetto al dato dei mesi scorsi e passi dal-7,8 al -9,5%. Uno sprofondo rosso. “Vi è il rischio che le dinamiche negative innescate dalla pandemia e dalle connesse misure di salvaguardia, seppur accompagnate da iniziative di mitigazione quali sussidi, ristori, sostegno a famiglie e lavoro, non scongiurino gli effetti profondamente negativi sui lavoratori e le imprese – ha detto il vice di Musumeci -. La Regione siciliana deve fare i conti non solo con una gravissima pandemia che continua drammaticamente a mietere vittime, dispensando malattie e sofferenze, ma anche con la più grave recessione economica della sua storia e che ha portato il livello del prodotto interno lordo all’inizio degli anni ’90”. E poi altre frasi ad effetto, del tipo: “Non solo il Sud patisce un pesantissimo aumento della riduzione del Pil, ma inoltre gli effetti rischiano di essere più pervasivi e lunghi, attenuando il rimbalzo che ci sarà in altre regioni italiane”. E ancora: “Ogni siciliano avrà una perdita pro-capite di 1.300 euro”.
L’assessore sembra l’uccello del malaugurio, e in parte ha ragione. Le prospettive sono cupe. Ma sfugge un pezzo del suo non-discorso. Cosa ha fatto, in tutti questi mesi, la Regione per mitigare i rischi delle imprese e delle famiglie siciliane? Quali provvedimenti ha messo in campo – assieme alla task force per la “ricostruzione economica” – allo scopo di risollevare le sorti economiche dell’Isola. L’unico strumento di guerra, elaborato per mesi prima di ottenere il visto dell’Ars – la cosiddetta Finanziaria anti Covid – più che un cannone si è rivelato un fuscello. E della mastodontica manovra approvata fra mille difficoltà in parlamento, oggi non è rimasta che l’ombra. Un miliardo e quattrocento milioni “bruciati” sull’altare delle buone intenzioni e di una riprogrammazione delle risorse extraregionali, che chissà se potrà mai sbloccarsi. Imprenditori illusi e mai ricompensati (il Bonus Sicilia è lì che grida vendetta); famiglie che ancora aspettano la seconda tranche dei voucher per la spesa (anche il primo, in realtà); operatori turistici e agenzie di viaggio al collasso; comuni a un passo dal default. Ciò che dipende da Palermo e da Armao è rimasto in alto mare. A Palazzo d’Orleans sono convinti che lo scaricabarile giustifichi il resto. Che sia utile infangare il governo nazionale – brutto cattivo e schierato politicamente – per salvare le apparenze. Invece no, non è così. L’unico modo per rimediare sarebbero le scuse, queste sconosciute.