I grillini hanno conosciuto da molto vicino il fenomeno del trasformismo (prendi Laura Castelli, divenuta “supplente” di Cateno De Luca alla guida di Sud chiama Nord, o Giancarlo Cancelleri, approdato alla corte di Forza Italia), così – nel mortorio legislativo di questi tempi – hanno deciso di intraprendere l’ennesima battaglia che muove da principi nobili ma rischia di tradursi in una semplice trovata populista: “Multiamo i cambiacasacca”. All’Assemblea regionale, restando alla dimensione pecuniaria della vicenda, ci avrebbero tirato su un altro bilancio interno, con la possibilità di evitare l’adeguamento Istat per stipendi già molto alti (come quelli dei deputati regionali). Ma è un dazio inapplicabile, all’apparenza. Perché coinvolge tutti, da destra a sinistra, e per questo nessuno si sognerebbe di votarlo.
Non può la sanzione sostituirsi all’etica per riabilitare il “colpevole”. Al contrario. Esistono celebri voltagabbana che, nella nuova collocazione geografica e partitica, riescono a ricavare più di quanto avessero già ottenuto in precedenza. Il caso più attuale, uscendo da palazzo dei Normanni per qualche attimo, è quello dell’europarlamentare Caterina Chinnici. Non avrebbe avuto molte chance di riconferma a Bruxelles se avesse continuato a indossare la maglietta del Pd. Così, un anno fa, ha comunicato a mezzo stampa che si sarebbe trasferita in Forza Italia perché più incline a lavorare coi colleghi del Ppe. Tajani le ha fatto ponti d’oro, fino a candidarla capolista nella Circoscrizione Isole. In sostanza, avrà molte più chance di ri-ottenere il seggio a Bruxelles in un partito di cui non condivide la storia e – si presume – la fondazione, che non rimanendo coerente rispetto alle proprie scelte e al proprio vissuto: quello di magistrato che dieci anni prima era scesa nell’agone politico sposando il progetto dem. Facile parlare da “indipendente” dopo aver lucrato un seggio per due legislature di fila.
Un altro che grazie al trasformismo, anzi al doppio trasformismo, è tornato nel grande giro è Gaetano Armao. Senza neppure dichiararsi. L’unica cosa certa, all’indomani del suo rientro a Palazzo d’Orleans in quota Schifani, è aver ammainato il vessillo di Azione e di Carlo Calenda, che lo aveva candidato col Terzo Polo alle elezioni regionali e che in seguito alla disfatta nelle urne – dove l’ex assessore raccolse uno stentato 2,2% – lo nominò responsabile del Dipartimento nazionale delle politiche euromediterranee nell’ambito di quel partito. Ma erano superiori gli interessi di palazzo e le amicizie nella vecchia Forza Italia, che alcuni hanno spolpato fino all’osso, per poi uscirne e, infine, rientrare. Ce ne sono di esempi: dallo stesso Schifani, che per qualche tempo era passato con il Nuovo Centrodestra, a Giuseppe Castiglione, un altro fedelissimo (della seconda versione) di Angelino Alfano. Mentre un caso a parte è quello di Giancarlo Cancelleri: convinto grillino, sottosegretario di Conte, amico di Di Maio, finché la pacchia non è finita. Si è riscoperto berluscones (e ha persino omaggiato il Cav. dopo la sua morte), anche se a sua parziale discolpa c’è il fatto di non aver preteso (forse) né ottenuto (questo è certo) alcun incarico con la nuova casacca.
“Non è possibile che i deputati, una volta eletti, passino da un partito all’altro per mero tornaconto personale, tradendo la volontà degli elettori che li avevano votati. Quello dei voltagabbana – dicono le deputate del M5s, Ardizzone e Ciminnisi – è un malcostume inaccettabile e ormai diffusissimo che vede tanti politici cambiare partito con impressionante facilità, passando magari a formazioni politiche con idee e programmi totalmente opposti a quelli graditi agli elettori che li avevano votati per rappresentarli in Parlamento. Tra l’altro questi passaggi alterano la rappresentatività dei partiti, che deve essere assicurata a tutti all’interno degli uffici di presidenza. E questo è inaccettabile. All’Ars, tra la passata legislatura e quella in corso, i cambi di gruppo sono stati una trentina. È ora di dire basta, prevedendo delle sanzioni che fungano da deterrente a questi passaggi”.
Le sanzioni a cui si riferiscono Ardizzone e Ciminnisi sono la decadenza dagli incarichi negli uffici di presidenza dell’Ars e in quelli delle commissioni parlamentari, con la perdita delle indennità supplementari (che per deputati questori e segretari, ma anche per i presidenti di commissione non è affare secondario). Tali disposizioni, secondo la proposta M5S, non si applicherebbero comunque quando lo stop all’appartenenza al gruppo parlamentare è deliberato dallo stesso gruppo di provenienza o in caso di scioglimento del gruppo. “Queste sanzioni – dicono Ciminnisi e Ardizzone – sono operative al Senato dal luglio del 2022 e sono diventate norme di legge pure nelle Marche il 9 Aprile scorso su proposta del M5S. Contiamo che anche qui queste modifiche vadano in porto. È giunto il momento di cercare di restituire etica alla politica, la cui credibilità tra l’altro è continuamente minata dagli scandali che la travolgono con inaccettabile frequenza”.
Un cambio di casacca però non rappresenta più uno scandalo, ma la normalità. E spesso viene premiato dalla futura collocazione del transfugo. Alcuni esempi citati testé lo dimostrano. Per altro, in questa legislatura, si sono registrati parecchi franchi tiratori nella maggioranza (hanno affossato la riforma delle province e la legge salva-ineleggibili), anche se le defaillance più clamorose si sono verificate nell’opposizione. Specie in Sud chiama Nord, che ha perso il capogruppo, Salvo Geraci, passato alla Lega, e Alessandro De Leo, espulso dal partito per infedeltà (per i grillini, quindi, non sarebbe passibile di ammenda). Mentre in seguito all’ineleggibilità e alla decadenza di Davide Vasta, il subentrato Salvo Giuffrida ha subito rafforzato il gruppo della Democrazia Cristiana. Per Scateno è stato un bagno di sangue. Nella precedente legislatura il fenomeno è stato più accentuato, con alcuni protagonisti di giravolte – ricordate Marianna Caronia o l’ex assessore all’Agricoltura Sammartino? – che incolpavano i partiti per questo andirivieni: “Sono loro che cambiano, mica noi”.
Ma poi davvero le sanzioni risolverebbero qualcosa? O sarebbero solo uno stratagemma moralista che finirebbe per oscurare i veri scandali (e alla Regione se ne contano parecchi)?. Qualche giorno fa, in occasione del primo maggio, il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, che avrebbe dovuto vigilare sulla regolarità tecnica delle norme adottate dall’aula (allo scopo di prevenire le impugnative da Roma), ha annunciato gaudium magnum l’ultima trovata: un provvedimento secondo cui “i deputati che si assenteranno in occasione delle votazioni in Assemblea riceveranno una sanzione di 180 euro e potranno chiedere non più due congedi al mese ma soltanto uno. Simili sanzioni anche per le assenze in commissione”. Come se il rischio di perdere 180 euro, rispetto ai quasi 7 mila euro guadagnati al mese da un parlamentare, davvero potessero incitare gli onorevoli a restarsene in aula e votare gli atti dal primo all’ultimo, nel completo interesse dei siciliani. Come si può pretendere che una sanzione funga da deterrente alla giostra impazzita della politica, e archivi una volta per tutte il malcostume e la ricerca sfrenata di posizioni di rendita? Semplicemente non può.