Una domenica di novembre del 2007, Berlusconi, in piazza San Babila a Milano, dal predellino di una macchina, annunciò la nascita di un “nuovo grande partito del popolo delle libertà” e invitò tutti a seguirlo nell’impegno “contro i parrucconi della politica”.
Una domenica del mese appena passato, Grillo, con un casco da marziano in testa, è sceso a Roma ad annunciare la rifondazione del Movimento cinque stelle. Le analogie non finiscono con i colpi di teatro di due grandi protagonisti dello spettacolo e padroni incontrastati di due formazioni molto diverse eppure con evidenti affinità, ma proseguono nella contrapposizione ai “parrucconi” e alla “casta” e nella pratica del populismo che, in forme diverse, ha caratterizzato molta parte della seconda Repubblica, lasciando pesanti scorie che non sarà facile eliminare. La storia e l’evoluzione del popolo della libertà e di Berlusconi sono note e, con dimensioni e capacità di incidenza diversi rispetto al passato, quell’esperienza e il suo leader continuano a far parte del nostro eterno presente.
Neppure i più attenti osservatori sanno prevedere cosa diventerà il Movimento cinque stelle con la guida di Conte. Sarà un partito moderato di centro, come sostiene Di Maio, una simil democrazia cristiana tutta dorotea, moderata appunto, una realtà priva quindi delle proposte e delle iniziative della sinistra interna che, insieme alla sua cultura e al suo insediamento sociale resero forte e articolato il partito dei cattolici? Sarà la “forza trainante” della transizione ecologica e digitale, impegnata nella lotta alla corruzione, alla diseguaglianza, alle rendite di posizione e ai privilegi? Che detta così si risolve in una scontata petizione di principi condivisibili.
Senza un dibattito vero, un congresso, un documento, in assenza di un riferimento culturale, tutto rimane oscuro o resta affidato alle dichiarazioni di qualcuno degli esponenti e, in modo principale, alle sibilline, fantasiose esternazioni di Grillo. Dall’ultima domenica di febbraio, comunque, una cosa non di poco conto è certa: il Movimento ha esaurito il carburante per esplorare Marte e, schiantandosi sulla terra, ha perso, pare in modo definitivo, piumaggio e coriandoli, infantilismo e velleità di palingenesi, democrazia diretta, “uno vale uno” e tutto il resto, con il quale i suoi esponenti hanno raccolto l’entusiasmo di tantissimi che, con molte ragioni, volevano cambiare l’Italia. E l’Italia, con la sua complessa e difficile realtà, costringendoli a svegliarsi dal sogno, ha cambiato loro. Ora, nel tentativo di evitare l’estinzione, che sarebbe una clamorosa parabola dal trionfo di tre anni addietro all’irrilevanza, devono per forza affidarsi ad un leader che ha posto la condizione di “rifondare” il Movimento, cambiarne le “strutture e regole astruse, aprirlo alla società civile, renderlo accogliente”, cambiarne probabilmente anche il nome. L’atterraggio della navicella con i marziani è avvenuto dopo alcune settimane convulse e persino drammatiche, nel corso delle quali sono capitate cose che, a metterle in fila, si rischia di avere il mal d’aria.
Conte o morte, mai con il banchiere, assolutamente no all’alleanza con lo psiconano, la votazione sulla piattaforma con quel capolavoro di quesito del tutto imparziale, la scelta di un direttorio mai nato che sarebbe dovuto essere composto da cinque persone, la espulsione di alcune decine di parlamentari per non avere votato il governo del “banchiere”. Ancora una volta, tutto ciò è stato spazzato da Grillo con una delle sue consuete alzate d’ingegno. Per fare che cosa della sua creatura? Forse per tentare di evitarne l’estinzione, per adottare norme dotate di un minimo di chiarezza ed in grado di reggere la vita interna di una comunità, per modificarne il regolamento e lo statuto e adottare modelli organizzativi propri di qualunque forza politica, per trovare un orientamento, una linea e, infine, per affidarsi ad un leader che di sicuro non sarà un portavoce o uno che “vale uno”. Intanto, l’ex avvocato del popolo dovrà mettere a frutto tutta la propria cultura giuridica per regolare i conti con Casaleggio che ha fatto pervenire al Movimento una sorta di decreto ingiuntivo per recuperare crediti vicini a mezzo milione di euro – la politica costa! – per fronteggiare i ricorsi degli espulsi e la prevedibile richiesta di danni. Conte dovrà tentare di evitare che poco o nulla resti di un esperimento che ha segnato la recente storia del Paese, ha entusiasmato tanti giovani, ha dato loro la speranza di diventare protagonisti diretti della vita politica, li ha resi magari rauchi a motivo del grido ripetuto “onestà, onestà”, ha suggerito tanti “no” facili da accettare perché non hanno bisogno di alcun fondamento culturale e non è necessario sostituirli con altrettanti “sì”. Siamo arrivati a un punto nel quale, come sostiene il siciliano Giorgio Trizzino, “nemmeno la visionarietà dell’elevato potrà poggiare sul vuoto degli argomenti”.
Trizzino, a quanto pare, è l’ultimo a lasciare il Movimento, portando a cento i parlamentari che hanno fatto la stessa scelta, disperdendosi in gruppi diversi e contrastanti, un dato che lascia senza risposta due interrogativi: dove e come sono stati scelti i gruppi dirigenti, quale bevanda alcolica ha indotto milioni di elettori a votarli? Nelle condizioni nelle quali ne diventa capo, Conte avrà molte difficoltà a trasformare una realtà confusionaria e spappolata in una che vive di regole condivise e comprensibili, a far valere una linea che abbia non dico un retroterra culturale che si costruisce con il tempo, ma un minimo di coerenza. L’ex presidente del Consiglio dovrebbe chiarire agli esponenti del Movimento che è un ossimoro “sovranismo gentile”, che non può esistere un “populismo sano”, che risultano contraddittorie la posizione liberal democratica e la prospettiva di aderire al Partito socialista europeo. Può darsi che qualche possibilità di riuscita possa venire dalla natura liquida e indefinita del Movimento, che si è proclamato di destra e di sinistra, è stato con la destra e con la sinistra, e che ora, sembra, voglia confermare l’alleanza con il Partito democratico. Se Conte riuscirà a rifondare il Movimento con ciò che resta, e non è poco, darà un utile contributo alla politica italiana, stabilizzerà una parte almeno dei consensi che lo premiarono nel 2018, consoliderà un fronte alternativo alla destra, confermerà con il Pd un’alleanza che rischia, tuttavia, di essere conflittuale, se sono attendibili i sondaggi che danno questo partito fortemente danneggiato dalla sua leadership. Le elezioni sono ancora lontane e in due anni gli assetti politici possono cambiare radicalmente. In ogni caso il Pd, che ha celebrato l’ex presidente del Consiglio, ha contribuito alla crescita della sua popolarità, lo ha acclamato come punto di riferimento anche in una prospettiva elettorale e che ora potrebbe trovarselo concorrente, sta già reagendo al rischio di vedersi sottrarre dei voti. Nel solco delle sue migliori tradizioni, le correnti interne hanno intensificato i loro contrasti e bombardano ogni giorno Zingaretti, che, come tutti i suoi predecessori, vince le primarie e il giorno dopo diventa bersaglio di polemiche e di delegittimazione. Fuori un altro.