Prima di Natale Matteo Salvini potrebbe sciogliere le riserve sul prossimo segretario regionale della Lega. E fare ordine in un partito che all’indomani della modesta affermazione alle Amministrative, ha fatto registrare alcune scosse telluriche: l’arrivo di Vincenzo Figuccia, con la frammentazione del Carroccio a Palermo; le critiche di alcuni esponenti, come l’europarlamentare Francesca Donato, nei confronti del segretario Candiani; e infine l’esigenza di ricostruire i vertici – perché i dipartimenti e tutto il resto sono già stati consolidati – attraverso la nomina di una figura (siciliana) che possa ricucire le anime di un Carroccio troppo eterogeneo. L’obiettivo di Salvini è affidare le chiavi della sua creatura a qualcuno che abbia il rispetto della base e dei dirigenti, che sappia unire. Un uomo, o una donna, capace di “traghettare” il partito verso le prossime sfide. Ce n’è una, più di altre, che interessa il “capitano”: ossia le Regionali del 2022.
E se da un lato è giusto garantire alla Sicilia cinque anni di buon governo, come non si vede da tempo, dall’altro è naturale che la corsa presidenziale, nell’Isola, sia legata al destino della coalizione di centrodestra a livello nazionale. Proprio la Lega potrebbe essere depositaria di un compito elevato: esprimere il prossimo candidato a palazzo d’Orleans. E non sta scritto da nessuna parte che debba essere Musumeci. All’ultimo giro, infatti, sono stati gli alleati (Fratelli d’Italia in Puglia con Fitto e Forza Italia in Campania con Caldoro) a fare il nome dei candidati. Guarda caso, entrambi perdenti. Berlusconi, prima della tragica scomparsa di Jole Santelli, e Meloni, avevano “designato” i governatori di Calabria, Abruzzo (Marsilio) e Marche (Acquaroli). Nessun esponente leghista, al netto di Nino Spirlì che “regge” il governo calabrese in attesa delle prossime elezioni (dove i forzisti sembrano potersi garantire un “diritto di prelazione”), governa sotto Perugia (dove c’è la Tesei). Salinas, in Sardegna, è legato al Partito Sardo d’Azione, un movimento “solo” federato al Carroccio.
Un riequilibrio delle forze, soprattutto in virtù dei sondaggi che danno la Lega come primo partito nazionale, oltre che della coalizione, suggeriscono l’ipotesi che sia proprio Salvini a dare le carte in Sicilia. Ecco perché la successione di Candiani e la gestione del prossimo anno e mezzo sono questioni che riguardano tutta la coalizione di centrodestra, di cui la Lega vuole essere regista e centravanti. Sarà pertanto necessario capire l’entità del nuovo corso: se il partito, come nei desideri di alcuni, si appresta a diventare “più popolare e meno populista”, tendente al centro; o se, tuttavia, vorrà inseguire il sogno di restare “intonso” rispetto ai canoni della (mala)politica, adottando quella rigida selezione all’ingresso che in molti hanno imputato al senatore di Tradate. Ma c’è anche una terza via: permettere ai vecchi saggi di rimanere sulla cresta dell’onda. A ogni occasione buona – come i processi a Salvini – riemergono dal passato le figure di Alessandro Pagano e Angelo Attaguile, per citarne un paio. Gente che sarà difficilmente spendibile fra due anni.
Bisogna capire chi c’è. Chi ha le carte in regola e chi no. Chi potrebbe assumersi – anche se ogni ragionamento rischia di essere prematuro – l’onere di traghettare la Sicilia fuori dal pantano. Fra i papabili resta, comunque, Nello Musumeci. Il governatore ha più volte ribadito, suscitando il risentimento di alcuni “compagni” (fra cui Candiani), che “la Lega non è il mio partito” e “Salvini non è il mio leader”, e ha sbattuto le porte in faccia all’ex Ministro, scongiurando l’ipotesi di federazione fatta pervenire dal segretario in persona su un vassoio d’argento. Questa mossa incauta ha sgretolato i rapporti con l’attuale segretario Candiani. Ma non è detto che all’indomani del turnover ai vertici del partito, Musumeci non provi a riaccreditarsi in qualche modo (dipende anche da chi sarà il suo interlocutore). D’altronde ha già capito, il presidente, che la moral suasion non basterà a fargli ottenere una riconferma: dovrà scendere a “patti e condizioni”. Una cosa che nei primi tre anni della legislatura gli è riuscita piuttosto male. Diventerà Bellissima – un movimento di cui si sconosce, attualmente, il reale valore elettorale – da sola non basterà a garantirli una ricandidatura.
La Lega, in questi mesi, deve capire se di Musumeci ci si potrà fidare oppure no. Nel frattempo dovrà “allevare” la sua classe dirigente. Mettere da parte le divisioni, rimarginare le ferite e costruire il futuro. Scegliere le donne e gli uomini funzionali al progetto di governare tutta la Regione, e non solo i Beni culturali. A interpretare questa visione nuova difficilmente saranno “quelli di sempre”: è vero che Attaguile e Pagano sono gli antesignani del “salvinismo” siculo. Ma l’evoluzione ha portato il primo a schiantarsi (alle ultime Europee, è arrivato settimo su otto candidati in lista), il secondo a perdere brillantezza e seguaci.
Quasi tutte le strade, invece, portano a Bruxelles: Annalisa Tardino è il volto nuovo e fresco della “rivoluzione green” (nel senso più leghista del termine). Eletta a sorpresa in Europa con oltre 32 mila preferenze, mai un cambio di casacca alle spalle, è componente della commissione Libe (diritti civili, affari interni e giustizia). Sprizza voglia di fare, ha un piglio deciso e non si trincera dietro i canoni dell’appartenenza: “Credo che il modello Zaia possa essere importato anche in Sicilia – ha detto, qualche mese fa, a Buttanissima -. Ma non si può riprodurre con uno schiocco di dita, usando alcuni ex politici per passare dall’1% al 35%. Significherebbe cambiare etichetta a un prodotto già fatto. Quindi dico: ok, apriamoci. Ma con le persone giuste”. La Tardino crede più nell’ascensore sociale, meno su quello dei partiti: “C’è chi si vuole federare con la Lega solo ed esclusivamente per avere un ascensore per Roma o per Bruxelles – ha ribadito poche settimane fa -, e in queste Amministrative l’ha dimostrato, facendo propria la teoria del “federiamoci, ma domani”. Al contrario, c’è chi crede nella serietà della nostra struttura politica. Noi non siamo i 5 Stelle”.
Solo che nell’Isola, tranne casi sparutissimi, non esiste prova di questa abilità. Se non si riesce ad amministrare, è colpa degli scarsi risultati a livello locale, delle difficoltà di radicamento. Alle ultime Comunali ha provato a metterci la faccia Francesca Donato, collega della Tardino in Europa, che a Marsala ha collezionato appena 97 preferenze. Sono più le presenze nei talk show. La Donato, anconetana di nascita, cresciuta in Veneto e trapiantata in Sicilia grazie ai suoi affetti, non ha mai lesinato critiche dall’interno. Una, feroce, all’indomani delle debacle del 4 e 5 ottobre: “La struttura messa in piedi si è rivelata troppo rigida e poco permeabile agli appelli di attenzione e coinvolgimento da parte del territorio – ha detto, riferendosi alla Lega -. Candiani ha sempre sostenuto che la guida del partito in Sicilia, appena possibile, avrebbe dovuto essere affidata ad un siciliano. Credo che i tempi per questo cambio di passo siano maturi”. C’è voluto qualche mesetto in più, ma ci siamo. La Donato non avrà capacità divinatorie, ma ne sa di economia: prima di scendere in politica, aveva creato a Palermo il movimento Eurexit. Poi l’euroscetticismo l’ha condotta dritta a Strasburgo.
Tra coloro che sembrano avere le carte in regola (è già nel lotto dei favoriti per la segreteria), c’è pure Nino Minardo. Un giovane 42enne che mastica politica da sempre. Con lui la Lega scivolerebbe verso il centro e verso un’impostazione più “meridionale” (a colpi di hashtag #iosonoterrone). Ma nel curriculum di Minardo emerge anche un’ottima predisposizione alle public relations. Non è un mistero che il suo approdo alla Lega, conseguente alla fuoriuscita da Forza Italia, ha ridato slancio al dialogo fra i due partiti. E lo stesso Minardo è stato il “pontiere” che, nel febbraio scorso, ha introdotto Salvini nelle stanze di palazzo dei Normanni, casa di Gianfranco Micciché (dopo le accuse furibonde sui migranti). E’ già, in un certo senso, il garante di questa coalizione a Palermo. Inoltre, è stato fra i primi a proporre federazioni “allargate” (non solo con Diventerà Bellissima) e a suggerire un nuovo target di riferimento al Carroccio di Sicilia: i moderati come lui.
Da qui al prossimo appuntamento elettorale, però, la Lega dovrà fare i conti con un’ampia gamma di variabili: la tenuta e i risultati di Musumeci, gli umori della coalizione, la partita a scacchi fra i leader nazionali, l’abilità nel raccogliere consenso. Inoltre, risulterà decisiva la capacità di emergere dal dibattito all’Ars come una reale forza di cambiamento. Saper fare la differenza, conta.