Nuova doccia fredda per i nostri eroi. Dopo aver (appena) approvato la proroga dei commissari dei Liberi Consorzi, in attesa di una riforma che contempli il ritorno delle ex province e dell’elezione diretta, ieri la Corte Costituzionale è stata tranciante, e ha bocciato un precedente tentativo di allungare il brodo. Si tratta della legge n.16 del 2022, già impugnata da Palazzo Chigi, che i giudici hanno dichiarato incostituzionale perché “l’ultimo anello di una catena di rinvii”, che dal 2015 a oggi hanno continuamente posposto lo svolgimento delle elezioni. Che, secondo la legge Delrio tuttora vigente, dovrebbero essere di secondo livello, cioè aperte a sindaci e consiglieri comunali.
Ma in Sicilia, dove tutto è un’eccezione permanente, questi enti d’area vasta – inutili e inutilizzati – sono commissariati da anni. Da quando, cioè, il magnifico Crocetta scelse di abolirli in diretta tv da Giletti. E non è finita. Di dare la parola agli elettori, quelli in carne ed ossa, se ne riparlerà non prima della prossima primavera, anche se stavolta c’è qualche ragione in più per essere ottimisti: la riforma delle ex province è, infatti, uno dei pochissimi argomenti che tiene insieme una coalizione litigiosa e raccogliticcia. Il motivo? Mette in palio 300 poltrone di sottogoverno e ricchi cotillons. Ma l’impossibilità di legiferare in fretta, e con la condivisione unanime dei partiti (andrebbero ridefiniti i collegi elettorali e un sacco di altra roba), ha indotto l’Assemblea regionale a un piano-B: proroghiamo i commissari fino al 2024, così nessuno ci chiederà di accelerare.
E così hanno fatto. La legge è stata approvata qualche giorno fa, assieme al ‘collegato’ alla Finanziaria. E’ stata un’esibizione muscolare da parte della maggioranza, con un piccolo scivolone passato in rassegna dal capogruppo di Fratelli d’Italia, Giorgio Assenza: “La proroga dei commissariamenti dei Liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane è stato un provvedimento opportuno, considerando che le consultazioni di secondo livello sarebbero state nel giro di pochi mesi superate dalla prevista reintroduzione del voto diretto, auspicabilmente nella prossima primavera. Invece è stato illogico l’emendamento- purtroppo approvato dall’aula con il vergognoso ricorso al voto segreto- che ha modificato i requisiti necessari per la nomina dei commissari. Stabilire, infatti, che possano essere designati per questa carica esclusivamente i dirigenti regionali in servizio causerà un ulteriore depauperamento della già deficitaria macchina burocratica regionale”.
Ma a quanto pare, questo scivolone è il meno grave. Perché, a detta della Consulta, non è più tollerabile rinviare le elezioni di secondo livello: “Attraverso interventi puntuali e continui nel corso di otto anni – si lamentano i giudici nella sentenza che stoppa un’altra proroga annuale -, il legislatore regionale ha di fatto impedito la costituzione degli enti di area vasta in Sicilia”, in violazione degli articoli 3, 5 e 114 della Costituzione. Chissà come prenderanno l’ultimo colpo di coda di Palazzo d’Orleans. Nel caso di specie, non è ancora chiaro il percorso che porterà all’elezione diretta. L’Ars deve confezionare la riforma, che a sua volta deve superare lo scoglio dell’impugnativa. Il ministro Calderoli avrebbe spiegato che non è un problema. Raggiungere la congiuntura ideale, però, non sarà facile.
Il rischio è di aver sprecato altro tempo, come appare ovvio dalla disamina dei Cinque Stelle: “A questo punto il governo Meloni dovrebbe commissariare Schifani per manifesta incapacità, anche perché è facile prevedere che anche la legge che proroga i commissari sarà impugnata, come abbiamo già ampiamente preannunciato in aula. Schifani ha ingannato i siciliani, ma anche i partiti della sua maggioranza. Ora cosa succede? Schifani convocherà le elezioni di secondo grado o ignorerà la pronuncia della Consulta? E in questo secondo caso dobbiamo aspettarci un commissariamento statale per indire le elezioni?”. Il guaio è fatto. Troppo favorevole, per il centrodestra, il momento dal punto di vista elettorale. Troppo vacua l’opposizione di Pd e Cinque Stelle, che anche alle ultime Amministrative hanno palesato un gap difficilmente ricucibile con la coalizione guidata da Schifani.
Bisogna prendersi tutto. Anche le briciole e a costo di sbagliare. La riforma delle province, a cui la commissione Affari istituzionale e l’aula apporteranno le dovute modifiche, parte da uno schema di massima esitato dal governo che prevede: per le province con popolazione superiore al milione di abitanti (Palermo su tutte) 36 consiglieri e massimo 9 assessori; per quelle tra cinquecentomila e un milione di abitanti, 30 consiglieri e fino a 7 assessori, mentre quelle con meno di 500.000 abitanti potranno eleggere 24 consiglieri e le giunte avranno massimo sei assessori. Totale: 252 consiglieri e 63 assessori. Altro che contenimento dei costi. Tutti i trombati alle Regionali e alle Amministrative si sfregano le mani…
Ma questo, come detto, è l’orizzonte di primavera. Prima c’è un conflitto da dirimere: quello coi giudici ‘cattivi’ ai quali non sembra andar bene la superficialità del parlamento siciliano (Galvagno aveva promesso maggiori controlli). Né quella del governo, che ora come in passato, ha ispirato le riforme di natura più istituzionale. La proroga dei commissari, ormai che è andata in porto, suona come l’ennesimo schiaffo al buonsenso e alle regole. E c’è un solo modo per arginarla: l’impugnativa di Palazzo Chigi, se il governo ‘amico’ deciderà ancora una volta di non fare sconti.
L’Assemblea, però, già guarda ai prossimi traguardi: ieri, però, la seduta è stata rinviata a martedì prossimo perché non c’è un accordo sulle norme da inserire sul “collegato-bis” alla Finanziaria. Cioè il testo stralcio delle proposte che non passarono il vaglio di Sala d’Ercole e della presidenza una settimana fa. A Palazzo dei Normanni la sessione di bilancio resta aperta tutto l’anno, anche con l’aula chiusa. Ma è estate: vogliamo perdonarla qualcosa ai deputati o sempre questo fiato sul collo?