Uomini del Nord che conquistano la Sicilia, e la storia si ripete. Un tempo furono i normanni, due fratelli venuti da un villaggio sperduto della Francia scesero fin qui e finì che qui nacque il parlamento più antico d’Europa. Oggi sono i neolongobardi, che di percentuale in percentuale sono scesi fin qui e andò a finire che qui è nato uno dei feudi più granitici della Lega nord. Proprio così, proprio loro, quelli del “Prima il nord ” e cose del genere. Cose che rimangono lì, sospese a mezz’aria tra le memorie più tenaci e il maquillage di chi è riuscito a passare la dogana tenendo ben nascosto quella formidabile, nuova fragranza d’oppio che sfuma in un greve populismo di rottura.
Matteo fa di nome, Salvini è il suo cognome di battaglia, Noi il suo pronome preferito. Battezzato sulle acque del grande fiume Po, pasciuto a “quote latte prima che le quote tonno”, viaggiatore del mondo, meglio se da Orio al Serio che da Fontanarossa, cultore della produttività ed untore dei terroni fannulloni, ha prestato giuramento sul sacro suolo di Pontida intonando Va, pensiero ed è approdato sulle secche rive dell’Oreto fischiettando, disinvolto, Vitti ‘na crozza. Chapeau! Potere della politica e dei numeri. E di un politico di razza, va riconosciuto.
Felpe verdi e megafoni alla mano, il rampollo di casa meneghina è calato giù come un barbaro ribelle, saccheggiando Roma, l’Europa e tutto il popolo del Sud, che ora s’inginocchia al divin tonante; lo stesso che prima tuonava contro di loro ed invocava il Vesuvio, l’Etna e i Titani mangia negri. Oggi non più, oggi non invoca più l’ira piroclastica del gigante con un occhio solo, oggi il vulcano s’è messo a farlo lui, da sé. E che vulcano! Un vulcano che erutta idee, slogan e proclami, che a chiamarle buttanate mi verrebbe pure bene se non fosse che, proprio qui, sarebbe un po’ come rubare in casa del ladro; ad ogni modo, erutta che è un piacere, il vulcano Salvini, alla salute dei siciliani, i quali adesso addirittura lo chiamano capitano.
Dei siciliani e dei politicanti siciliani. Tutti lì, in fila per sei col resto di due. Sì, perché non sono più i quattro gatti di un tempo e, a dire il vero, non sono più nemmeno quarantaquattro e non sono più soltanto gatti. Ci sono i re leoni, le tigri ruggenti, qualche dinosauro e diversi saltimbanchi. Un circo siculo dalle tende color verde, urlato, sparolacciato e senza cravatta, che attrae folle oceaniche, accorrenti entusiaste al “venghino, venghino” (e al “vadino, vadino”), che penetra nelle orecchie stanche della solita musica. Un circo social mediatico spettacolare, esilarante, al passo coi tempi, dove attori e spettatori si mescolano e si combinano, legati da un sottilissimo filo rosso, o nero (fate voi), sul quale l’equilibrista capitano e gli equilibristi capitanicchi locali si muovono con rozza eleganza, sputando fuoco e sputacchiando sul piatto dove fin’ora hanno mangiato. Partiti, appartenenze, cultura, principi, campanile: su tutto, sputacchiano sull’intero menù. Altro che piatto! Tanto alla fine c’è il dolce, una bel pezzo di panettone con frutta candita e, sopra, un’abbondante spolverata di voti e battimano del popolo.
Del resto, il popolo c’è abituato e non va tanto per il sottile. Nel tempo li abbiamo chiamati in diversi modi: trasversalisti, trasformisti, quelli dell’attaccapanni di depretiana memoria, cambiacasacca e canciabanniera. Oggi sono i leghisti sdoganati e alla tavola si siedono sempre.
Già li vedo, i leghisti sdoganati. Belli, virulenti, incazzosi e duri, perché anche i leghisti sdoganati ce l’hanno duro. Quelli che alla coppola preferiscono una felpa con la scritta SICILIA bella grande. Quelli che si selfano col capitano, quando lui scende in quel paradiso che ieri chiamava inferi. Quelli che entrano al bar e poco ci vuole che ti chiedono un‘arancina alla polenta. Quelli che: “Capitano, mio capitano …” e s‘issano sul predellino che un tempo fu casa loro, giurando amore eterno al nuovo profeta.
Tutti con la Lega, tutti con Salvini. Perché lì si vince facile, Salvini c’ha (voce del ciavere … ciavare …) i voti, la gente gli da fiducia. Perché Salvini fa quello che dice, è uno che mantiene. Cosa? Ah sì, ha fermato quella nave al porto di Catania e chi l’aveva mai fatto? Vabbè, poi sono sbarcati lo stesso, ma che importa? Finalmente uno cazzuto! Chissà cosa direbbe mio nonno! Lui, quando sbarcò in America, pure assai ci stette sulla nave, settimane; menomale che poi, una volta attraccati, lo fecero scendere subito. Comunque, dettagli. Il capitano è il capitano e ora pure l’Etna è ai suoi piedi. Politici e politacanti etnei che gridano: “Capitano, mio capitano!” e, a quel grido, si preparano a conquistare uno scranno in Europa. L’odiata e tanto sbuttanata (qui ci sta) Europa, con i vincoli, lo spread e tutte le altre buttanate (anche qui ci sta) europee. Ma così è se vi pare, perché cosi pare al capitano. E’ suo il carro migliore, perché in quello giallo, con le stelle sulle fiancate, non fanno salire nessuno; e allora perché perdere il treno, pardòn, il carro? Carro o treno, poco importa. La differenza la fanno i numeri, quelli che non ti fanno dormire la notte, quelli che ti fanno scordare chi sei.
Anzi no, lo ricordiamo bene chi siamo: siamo siciliani e dopo mille anni torniamo a baciare le mani a un uomo venuto dal nord, che invocava il Vesuvio, l’Etna e i Titani mangia negri.